«Un grido fatto di luce». Omelia del padre abate Bernardo per la XXX Domenica del Tempo Ordinario
«Un grido fatto di luce». Omelia per la XXX Domenica del Tempo Ordinario
28 ottobre 2018
Dal libro del profeta Geremìa
Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
“Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto d’Israele”.
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».
Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l’ordine di Melchìsedek».
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Omelia:
Fratelli e sorelle, sentiamo con forza il bisogno di una vera e propria rigenerazione della nostra vita, della nostra storia, dei nostri tempi e dei nostri spazi.
Perché censurare questo bisogno del nostro cuore?
Perché non riscoprirci prescelti dal Signore proprio per essere testimoni, prima di tutto, di questo desiderio?
Forse davvero già riscoprire e rigenerare questo desiderio è profezia, è missione, è testimonianza, in un mondo che invece quasi inevitabilmente si accascia in una dimensione temporale e spaziale che non conosce più apertura, non solo al futuro, ma alla possibilità che questo futuro sia inabitato da una forza che rigenera tutto di noi.
Ci viene donata con la fede nel Signore Gesù, in altre parole, una qualità interpretativa della storia che troppe volte dimentichiamo, al massimo, come molte volte ricordiamo, apriamo il nostro cuore ad una dimensione metafisica della presenza di Dio, cioè trasformiamo l’urgenza del Vangelo, il fermento del Vangelo, la sapienza del Vangelo, in una dottrina teologica, filosofica, alla quale prestiamo una certa quale obbedienza, ma di fatto incapace di scindere in profondità il nostro cuore, di ferirlo con una urgenza e una passione che ci trasformi davvero in uomini e donne ebbri di una novità che noi per primi sappiamo riconoscere, e come tale invocare, e come tale farla diventare davvero buona notizia che rende i nostri corpi, i nostri cuori, il luogo di quella novità.
E’ esattamente quello che succede a Bartimeo, fratelli e sorelle, e credo che nessuno di noi sia qui per sentirsi ridire una storiella che in fondo, più o meno, sappiamo tutti come va a finire, questo cieco che ritrova la vista e tutti felici e contenti e abbiamo ricevuto così la buona notizia della settimana per illuderci che forse potrebbe capitare anche a noi qualcosa di simile, vincendo una sorta di lotteria della buona sorte.
No fratelli e sorelle!
Qui ci viene detto attraverso una forma narrativa, una esperienza sapienziale, esistenziale che deve davvero diventare chiave interpretativa della realtà tutta intera, non di una realtà che va bene a qualcuno e a tutti gli altri…peccato, poveretti, Dio se n’è dimenticato!
Come se il miracolo davvero fosse il tiro al bersaglio col quale il Signore sceglie qualcuno e dimentica gli altri, questa è una visione umana, troppo umana, del mistero di Dio: dietro Bartimeo ci sta un’urgenza che è nel cuore di tutti noi se solo la riscopriamo, qual è questa urgenza se non sentire che effettivamente la nostra visione non è sufficiente, il nostro cammino non è adeguato, il nostro passo non ha abbastanza energie e ritmo per tutto quello che brucia e arde nel profondo del nostro cuore, vorrei dire anche nel profondo della nostra coscienza, della nostra inquietudine.
E allora vedete fratelli e sorelle, anche qui dalla regola di San Benedetto impariamo ad avere un Abate così come lo sappiamo generare, buono con i buoni, severo con chi effettivamente cerca di farla franca, vorrei applicare questo sapiente paradigma benedettino all’idea stessa di Dio, cioè in fondo il Dio che impariamo a pregare non può che corrispondere a tutto quello che brucia nel nostro cuore, vogliamo incasellare Dio davvero in un semplice e banale tappabuchi da invocare perché si svegli secondo le mie urgenze e necessità del momento o piuttosto l’inquietudine profonda del nostro cuore gradualmente ridisegna finalmente un’idea alta del mistero di Dio, intangibile del mistero di Dio, cioè indisponibile ai bassi desideri con cui troppe volte ci accontentiamo di un rapporto poco più che formale o per lo meno deformato dal piccolo bisogno.
E voi vedete come nel grido di Bartimeo c’è qualcosa di radicalmente esistenziale, anzitutto la riscoperta del fatto che la nostra vita, se non è chiamata da qualcuno, non è vita, se non è obbedienza, cioè risposta ad un grido, ad una parola di qualcuno, non è vera vita, questo significa che anche quella parola che incorniciamo per qualche vicenda ecclesiale esemplare, cioè vocazione, è una parola che riguarda il respiro di ciascuno di noi, perché non c’è vita, non c’è presenza, non c’è storia di ciascuno di noi, se prima non c’è stata una vocazione con cui il Signore ha scelto dal niente la mia vicenda, la tua vicenda, la sua vicenda, la sua storia, la nostra storia.
Quindi noi in Bartimeo fratelli e sorelle, letti in questo respiro, permettetemi, un pochino più profondo, come non vedere questo bisogno di sentire la nostra vita ri-creata dall’amore di Dio, nella misura in cui riscopriamo la consapevolezza di questo nostro limite che ci rende ciechi, ci rende rallentati e allora, l’essere chiamati anzitutto, con cui effettivamente sentiamo che quello che Genesi ci racconta come inizio della storia Dio che chiama le cose perché esistano, è una esperienza che la fede restituisce ad una consapevolezza quotidiana del mio cammino, ogni giorno dovrei trovare un momento almeno in cui riecheggia il mio nome come pronunciato dal Dio dell’amore, dal Dio della vita, dal Dio della salvezza, in una mediazione sacerdotale nel senso più alto di questa parola che non è l’istituzione, la categoria, la casta come lettera agli Ebrei ci sta facendo intuire, ma è quell’esperienza con la quale Gesù stesso, per primo, si riconosce chiamato dal Padre, in una esperienza che mette a nudo quello che per i normali sacerdoti antichi di Israele è frustrazione, ripetere i sacrifici nella consapevolezza dei loro limiti, per Gesù è il contrario, è Lui, Figlio di Dio che offre se stesso perché le nostre fragilità siano assunte dalla sua carne, dalla sua compassione, dal suo farsi limite, tenero, intelligente, capace di ascolto, che come si diceva domenica scorsa, trasforma veramente tutta questa terra, tutta questa nostra storia, nell’unico altare dove il sacrificio, come direbbe Paolo, sono proprio i nostri corpi, nella loro dinamica di amore, di relazione, di convocazione, di domanda, di risposta, di dialogo, cioè sentire come veramente questo mistero dell’amore debba tradursi in una gamma inesauribile di attenzione, fratelli e sorelle, come esattamente non vorrebbero che accadesse i discepoli del Signore Gesù, che allontanano Bartimeo, come gli allontanavano i piccoli e il Signore al contrario sceglie i piccoli, sceglie coloro che devono urlare ancora più forte per sentirsi finalmente oggetto di un grido che restituisce con quella chiamata, dignità alla loro esistenza di abbandonati.
E questo è bellissimo, fratelli e sorelle, vuol dire che il Signore Gesù è qui per frequenze che altre antenne non vogliono captare, che Lui invece capta perfettamente e nitidamente. E’ venuto per le frequenze troppo basse, per depressione, per tristezza, per disillusione o alle volte eccessivamente alte, per ideali che gli altri disprezzano, perché troppo elevati, troppo ideali, troppo virtuali.
Allora il Signore davvero abbraccia l’umanità tutta intera, restituendola ad una novità che, non a caso, ha nel primo segno quello della luce, quello della visione, l’aspetto importante, bellissimo, con cosa inizia la creazione se non proprio con la generazione di quella luce che restituisce la riconoscibilità delle cose che ci sono?
E poi ancora fratelli e sorelle, questo balzare in piedi, gettare via il mantello, mettersi in cammino, cioè una sequela che non è esteriore adesione al Signore, ma è davvero scoprire come questa storia io me la debba bere fino in fondo, camminando, esplorando, cercando, seguendo. Ecco davvero quel discepolato esistenziale che il Signore si attende da ciascuno di noi, nella riscoperta di una potenzialità del nostro cuore che altri non avevano creduto, di cui nemmeno io mi ero accorto… bellissimo, è proprio l’epicità della ri-creazione di ciascuno di noi.
Una possibilità che la liturgia propizia nella fatica di ogni giorno e in questa Pasqua settimanale per riavvolgere davvero tutta la nostra storia, nella consapevolezza che io sono Bartimeo e non un altro più fortunato di me che ha avuto qualche anno fa la possibilità di incontrare il Signore Gesù, noi siamo gli accecati, noi gli stanchi, noi i disillusi, noi gli interpellati, noi quelli raggiunti da un sacerdozio della vita che il Signore sposa, per estendere nei dettagli della storia l’universale amore del Padre che lo chiama proprio per questo, per farsi, per così dire, contingenza, come stiamo per celebrare nel Natale del Signore Gesù. Cosa non è stato il Natale di Gesù se non un attimo, quasi impercettibile nella storia, un secondo in cui Lui effettivamente si è fatto strada nei nostri minuti, però noi così siamo diventati capaci di riconoscere che per l’amore infinito di Dio basta un attimo impercettibile per cambiare la storia tutta intera e allora, perché non credere che questo può e deve accadere nell’istante minimale anche della mia vita?
Bartimeo oggi ci insegna proprio questo e fa irrompere nel Natale della sua nuova vita tutta quella forza incontenibile della Pasqua del Signore Gesù che stiamo per celebrare, trasformando tutte queste parole nell’evento eucaristico, perché tutti, piccoli, grandi, ricchi e poveri, i fragili e i forti siano in comunione piena e definitiva con la vita divina del Signore Gesù. Amen.
Trascrizione a cura di Grazia Collini