Omelie

«Il metodo del Natale». Tre omelie natalizie del padre abate Bernardo

25 Dicembre 2023 – Natale del Signore

Messa della notte

 

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

 

Omelia:

 

 

Cari fratelli e sorelle la misurazione del tempo scandita dalla liturgia ci avvicina stanotte alla consapevolezza di una nascita, una nascita per noi, destinata a noi, rivolta a noi, veramente provvidenziale è la vostra corale adesione a questa proposta di misurazione del tempo che la liturgia propizia per lasciarci accorgere che accanto e soprattutto oltre gli avvenimenti consunti riportati dalle cronache ostinate del nostro tempo, esiste per noi un’altra storia e questa altra storia per noi sboccia nei nostri cuori col sapore, la fragranza, l’emozione, lo stupore, la meraviglia, la possibilità di una nascita.

Vorrei insistere moltissimo su questa ritrovata fecondità della nostra storia, una fecondità fratelli e sorelle non soltanto mnemonica, archeologica, storica, intesa come possibilità di accedere attraverso uno sforzo intellettuale e cronachistico ad un evento del passato, ma una nascita attuale, una fecondità presente, una potenzialità che diventa atto che coinvolge quello che ai nostri sensi sembra ormai staticità, comportando così una sorta di capitolazione delle nostre attese, dei nostri desideri in una rassegnazione altrettanto sterile e infruttuosa.

Questa lettura del presente fratelli e sorelle non vuole in modo supino accordarsi alle numerose potenzialità con le quali il nostro cuore si adagia nell’elogio del tempo passato, la nostra constatazione è una constatazione che si pone in ascolto della nostra umanità che lasciata a se stessa si direbbe incapace di proiettarsi verso il futuro con le sole proprie forze.

È vero, esiste una raffinata tecnologia, è vero esiste una capacità statistica di proiezione attraverso vari indici, verso un futuro che possiamo prevedere, in parte modificare ma di fatto, fratelli e sorelle, credo che nel profondo del nostro cuore lasciato a se stesso, esso non provi altro che la grande tentazione di arrestarsi in sé, di garantirsi quello che già ha, di chiudersi ed avvitarsi in questo rantolo esistenziale che ci sembra l’ultimo sussulto ancora in grado di poter esprimere questo nostro respiro, polveroso per gli spari di guerra, per le indifferenze dilaganti, per le violenze gratuite, per questa sorta di rassegnazione ad una morale costruita secondo l’interesse individualistico che esalta l’affermazione univoca del mio io a spese degli altri e in questa prospettiva sostanzialmente di disperazione e di sopravvivenza, fratelli e sorelle, è molto difficile fare uno sforzo di sprogettualità che non sia soltanto esito di un lancio muscolare della nostra forza.

Stasera invece siamo raggiunti dalla meraviglia e dallo stupore di una nascita, la notizia di una nascita per noi, qualcosa che può trovarci preparati o impreparati, ricchi o poveri, colti o incolti, frequentatori assidui della liturgia o, come può accadere stasera, persone che si trovano qui, non certo per caso, ma perché obbedienti ad un ritmo annuale che sa, ricorda, che in questa notte si annuncia una fecondità attuale che irrompendo nel nostro cuore, squarcia questa cortina di ferro, invitandoci ad uscire, invitandoci a riscoprire la possibilità della vita come un dono, la possibilità della nascita come riscoperta che a monte di ogni novità, a monte di ogni fecondità, a monte di ogni nascita c’è qualcuno che consegna se stesso attraverso quella nascita donandoci così nella traslazione della vita  il mistero stesso della vita,  nella possibilità finalmente di interpretarla non circoscrivendola a tutto quello che noi sperimentiamo nella solitudine della nostra soggettività in autodifesa, ma nella possibilità finalmente di scorgere immaginare qualcuno che attraverso la nascita ci fa dono di sé, invitandoci così ad uscire dal nostro sé.

Per questo la notizia della nascita fratelli e sorelle dovrebbe risuonare nei nostri cuori come un rintocco, come un’esperienza che scocca nei nostri cuori per squarciare questa guaina autoprotettiva che finalmente cadendo, ci rende disponibili a lasciarsi amare da colui che attraverso la nascita del figlio accorcia ogni distanza fra il suo mistero, altrimenti invisibile e ineffabile, e questa nostra ritrovata sete e fame di verità, ovvero, di relazione, ovvero, di comunione, ovvero, di coralità, ovvero, di gratuità.

Scandisco con forza queste parole fratelli e sorelle perché ritengo che sia molto importante che questa celebrazione sia vissuta come possibilità estrema accordata al nostro cuore per risvegliarci da questo torpore di rassegnazione, questa tentazione vigente contro la forza violante delle armi e quando parlo di armi e di guerra fratelli e sorelle, non voglio inchiodarvi semplicemente ai telegiornali o alle nostre fonti di informazione, ma vorrei parlare di quella tentazione sottile che abita il nostro cuore, che in uno scenario di questo tipo,   è inevitabilmente tentato dalla seduzione del violare quell’armonia,  quella relazione, quella comunione, quella coralità, quella gratuità di cui vi sto parlando, elementi tanto delicati quanto essenziali per definire la pienezza dell’umano nella sua capacità di riconoscersi amato e amabile, e come tale estraneo alla forza della violazione perché questo noi stiamo celebrando fratelli e sorelle, la grande risposta dell’amore di Dio rispetto alla vigente e permanente violazione della comunione e della relazione, della coralità e della gratuità, non è il suo irrigidirsi, il suo indurirsi, il suo ritrarsi, ma è esattamente il contrario, questo è l’aspetto bellissimo del Natale, l’amore di Dio, l’amore del Padre è come se facesse una cosmica rincorsa per afferrarci, scuoterci, scoccare un dardo ardente che percuota il nostro cuore, si lasci attraversare da questa fonte sorgente comunicazione di amore fratelli e sorelle, che non può lasciarci indifferenti, estranei, perché questa nascita è esattamente per noi. Dunque di fronte al presepe ci è chiesto stanotte e forse davvero queste mie povere parole andrebbero situate nell’oscurità romanica della Basilica, e non per un artificio teatrale fratelli e sorelle o più ancora scenografico, ma perché vorrei che chiudendo gli occhi, chiudendo gli occhi, voi con una fantasia ispirata dallo Spirito Santo riprendiate confidenza con colui che ci dona il figlio perché noi siamo ormai talmente ripiegati nell’immediato, nel riscontro empirico, nella consapevolezza tattile, visiva, nel riscontro digitale della simultaneità che ci immergiamo, e non è poco, nel presente, ma questo nostro viaggio nel mistero finisce lì e voi che invece sfidate il sonno, sfidate l’oscurità, duellate con la notte, io vi considero vedette del mistero e a voi, solo a voi, non domani, di giorno, a poche ore dal giusto e altrettanto corale pranzo di Natale, a voi invece io dico che, abitando la notte, dovete essere perlustratori di tutto quello che sta a monte del presepe, il silenzio, l’oscurità, l’indecifrabilità del Padre celeste, il Padre celeste perché Gesù viene da lui, lui ce lo dona, lui glielo comunica, lui ce lo fa sbocciare nel nostro cuore, lui ce lo riconsegna il suo figlio unigenito, fratelli e sorelle.

Possiamo restare indifferenti a questo Padre che si priva del figlio per comunicarci fino in fondo chi sia veramente lui per noi e chi noi siamo per lui? Questa tensione, altrimenti indecifrabile, altrimenti destinata solo e soltanto alla speculazione intellettuale diventa fratelli e sorelle, torno a dirlo, relazione, comunione, coralità, gratuità intorno alla presenza viva fisica del Signore Gesù, suo figlio nel presepe, palpitante questo amore, questo cuore, questo vagito, questa umiltà, questa contrazione fratelli e sorelle, ma noi non possiamo fermarci lì accogliendo Gesù come non è successo a Betlemme, lo avete ascoltato, non c’era posto per loro, noi dobbiamo aver chiaro da dove viene questa emorragia d’amore perché questo è l’altissimo messaggio  del Natale, imperdibile in un momento in cui si fa fatica fratelli e sorelle a costruire relazioni che vanno un poco più oltre quello che vediamo, quello che conosciamo, quello che abbracciamo, quello che constatiamo, rischiando così di risucchiare in questa brama possessiva del riscontro anche Gesù bambino.

So di dire cose forti, quasi offensive però fratelli e sorelle in questo dono che è un dono di cui il Padre sa l’esito, noi non possiamo non pensare a un Padre che diventa orfano di suo figlio pur di donarci questa consapevolezza  filiale, attenua, impoverisce vorrei quasi dire la sua paternità donandoci suo figlio, pur di invitare ciascuno di noi a riscoprirsi così amati, origine di altrettanto amore da distribuire a piene mani, fratelli e sorelle, con la sua stessa capacità di essere fonte questo nostro Padre, di relazione, di comunione, di coralità, di gratuità.

Capite fratelli e sorelle quale altra grandiosa rilettura della nostra vicenda umana, storica ci viene offerta da questa straordinaria manifestazione dell’amore del Padre nella concretezza oggettiva del figlio Gesù?

Vengono e devono venire i brividi fratelli e sorelle, perché non possiamo addomesticare questo mistero, certo è un mistero di tenerezza, di infanzia, di nascita, lo dicevo all’inizio e come tale parla anzitutto ai semplici, agli umili con il linguaggio dei semplici e degli umili che è l’emozione, che è lo stupore, però fratelli e sorelle, torno a dirlo, perdonatemi, questo nostro mondo ha bisogno della fede di uomini e donne che come voi, duellano con il sonno e con la notte per perlustrare la sorgente di questo mistero e quella di stanotte è una piccola grande cordata, un misterioso equipaggio, molti fra di voi non si conoscono, non possono conoscersi, in modo tutto speciale a San Miniato che è un monastero la cui diocesi, diceva Thomas Merton, è la notte, non c’è legame territoriale fra di noi, solo e soltanto l’obbedienza spirituale dei vostri cuori a questa misurazione del tempo offerta dalla liturgia nel suo schiudersi come altro tempo che racconta l’innesco di una energia nuova, contro il tempo che si logora e ci logora, e questo innesco fratelli e sorelle, che divamperà in modo incontenibile nella Santa Pasqua, ha questa miccia qui stasera, la nascita, la scintilla, inattesa, insperata, nel cuore della notte, nel cuore del silenzio, quando più nessuno prestava ascolto alle profezie, più nessuno era vigilante se non i pastori, che si sono accorti, come voi stanotte, grazie alla vostra e loro vigilanza che in questa oscurità dilagante, l’amore del Padre ha preso tempo per noi, energia per noi,

accendendo una scintilla in questa oscurità. Questa scintilla è affidata al vostro respiro fratelli e sorelle, alla vostra intelligenza, alla vostra custodia ma, torno a dirlo, oggi più che mai, a questa disponibilità alla perlustrazione della sorgente di questa scintilla, il Padre, restituire all’umanità orfana di speranza la consapevolezza di avere un’origine in un Dio Padre che ci dona il figlio, svuotandosi della pienezza della sua paternità, uso un linguaggio forte, teologicamente discutibile, ma il mio non è un trattato non è una  dissertazione fratelli e sorelle, io devo, devo, emozionarmi, devo condurvi con forza  al cuore della passione di Dio per noi, perché altrimenti questo nostro cristianesimo diventa un’esperienza addomesticata di segni residuali cui nessuno più crede e facciamo notizia per le benedizioni che possiamo o non possiamo dare, per quello o quell’altro caso, per quella o quell’altra apertura, quando per perder tempo in dettagli tutto sommato inessenziali non mettiamo più a fuoco la grande notizia del Natale: il Padre dal suo cuore infinito di amore squarciato ci dona il figlio in una nascita fratelli e sorelle che non può lasciarci indifferenti, anche concettualmente il non credente non può esimersi dal porsi una questione, questa vicenda raccontata dal Santo Vangelo che abbiamo ascoltato con devozione in cui di questo Dio si sfida, per così dire, l’estremo del suo rigore intangibile raccontando, come ci viene raccontata la nascita del figlio unigenito, fratelli e sorelle, la nascita del figlio unigenito, l’ingresso della vita divina attraverso le fibre della nostra carne, i minuti della nostra vita, i bisogni della nostra infanzia perché questa è la nascita di Gesù, può non porci e non porre delle domande circa la credibilità di una narrazione di questa portata qui, noi che non crediamo più a niente perché ormai sappiamo tutto, custodiamo in tasca i meccanismi della realtà.

Ecco, fratelli e sorelle, questo grande mistero si radichi nei vostri cuori, schiuda delle potenzialità che soltanto la buona notizia del Vangelo ha portato dallo Spirito Santo nel vivo della vostra intelligenza e vi renda così testimoni di possibilità ulteriori accordate per grazia e misericordia alla nostra condizione umana, nonostante gli orrori che vediamo la nostra condizione umana resta fratelli e sorelle, resta, amabile, desiderabile e il Natale questo canta al mondo intero, non smentite questa consapevolezza filiale, raccontatela, costruendo comunità, coralità, gratuità, che si riassumono nell’espressione ormai logora, quasi ideologica della fraternità, che va smentita nella sua portata puramente ideologica con quella intensità cordiale con cui ci scambieremo la pace, con cui ci riconosceremo, pur non conoscendoci, con cui ci sentiremo tutti fratelli e sorelle nell’emozione grata di questa notte, figli di un unico Padre, invitati in Cristo sentendoci figli con lui ad essere anche noi nel nostro piccolo, costi quello che costi, sorgente di un amore nuovo, di un innesco inatteso, di una combustione inesausta con cui accendere di speranza e di verità, perché questa è la verità, questa nostra opaca storia. Amen.

1 Gennaio 2024  – Messa Vespertina

Maria Santissima Madre di Dio

 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 

 

Omelia

 

Cari fratelli e sorelle, con particolare gratitudine e intensità vi accolgo nella celebrazione liturgica del primo giorno dell’anno. Perché credo   sia davvero  in essa che trovi, direbbe con un verso splendido Mario Luzi, sostanza di futuro il nostro augurio per un anno 2024 che sia foriero di tutto quello che di più profondo, di più vero, di più buono, di più giusto, di più bello abbia indigenza il nostro cuore, perché è esattamente nel dinamismo della liturgia che noi anzitutto ci riscopriamo indigenti, sazi, saturi, se abbiamo avuto la fortuna non solo di qualche giusto e doveroso banchetto di particolare ricchezza e abbondanza nei giorni di festa, ma soprattutto se i nostri cuori sono in felice relazione l’uno con l’altro, di amore, di ascolto, di reciprocità, di comunione, ma sappiamo anche bene che nel profondo delle viscere del nostro cuore, nella sua silenziosa abissalità non può non abitare anche l’ombra delle tenebre, della paura, dell’angoscia, talvolta anche di una insuperabile e incomunicabile solitudine, di sbigottimento e di angustia di fronte ai grandi interrogativi posti dai limiti personali della propria esistenza o dai limiti della altrui esistenza soprattutto se a soffrire sono persone che ci sono sommamente care, e anche se non abbiamo in casa o fra gli amici l’interrogativo cocente e cogente della sofferenza altrui, basta la cronaca di questo anno appena trascorso a dirci di quel mistero del male che assume la forma disgregante e diabolica della guerra, della conflittualità, dell’egoismo, dell’indifferenza, di tutta una serie di patologie che siamo abilissimi a diagnosticare su vasta scala e nelle macroscopiche geografie delle cronache internazionali, molto meno se queste stesse patologie è la nostra coscienza a indicarcele come, se non patologie, quanto meno tentazioni anche del nostro cuore.

E la liturgia che oggi noi abbiamo la grazia di vivere insieme, con la sua generosa emorragia di amore che viene dal Padre che si incanala attraverso i gesti ispirati dallo Spirito, l’ascolto della Parola, prima ancora la confessione delle nostre indigenze e dopo la Parola, la fame, la sete, di un pane disceso dal cielo che sazia il nostro bisogno di essere nutriti di assoluto, in questa liturgia fratelli e sorelle, questa gratuità, generosità, sovrabbondanza, eccedenza di amore plasma, forma, modula i nostri reciproci scambi di auguri orizzontali, l’uno con l’altro, ad una vettorialità verticale sia nella dimensione ricettiva di una parola che  scende dall’alto per stupirci,  meravigliarci, avviarci  all’incontro con il frutto di un amore insperato e proprio per questo ragione di stupore: l’esperienza dei pastori, ma anche fratelli e sorelle l’augurio che noi osiamo fare non soltanto stringendoci la mano e abbracciando i nostri corpi, ma insieme sollevando i nostri sguardi al cielo alla ricerca del volto del Signore, consapevolmente o inconsapevolmente memori che la benedizione di Dio come ci ha appena detto la Parola del Signore attraverso il  Libro dei Numeri, è una benedizione che assume già nell’economia del Primo Testamento, lontana, lontanissima dall’incarnazione del Signore Gesù, tuttavia già assume la forma umana del volto e questo per noi è molto importante fratelli e sorelle, un Dio che benedice  attraverso il volto, cercando i nostri volti, perché è un Dio il nostro, fratelli e sorelle, che attraverso il mistero del Natale riacquisiamo essere nella sua profonda sostanza di verità, Dio amore, e nella consapevolezza di un Dio amore, fratelli e sorelle, non ci potrà più sorprendere che il suo effondersi come amore e dunque anche come benedizione, cerca  ramingo nella storia,  i nostri volti perché siano il riflesso del suo volto.

Dunque pensateci, non un Dio narcisista, non un Dio autoreferenziale, non un Dio perfezione geometrica, la prospettiva se vogliamo appagante, almeno da un punto di vista intellettuale con la quale tanta riflessione filosofica  ha appuntato la sua raffinata interpretazione, intuizione e conoscenza nell’elaborazione concettuale di una metafisica, cioè di un oltre tutto quello che ha la consistenza delle cose fisiche per dare ragione, almeno a livello intellettuale, nella possibilità dell’esistenza di una sostanza pensabile come causa, ragione, finalità di tutto il nostro essere. Bellissimo. Raffinatissimo lo come può essere  la mirabile intelaiatura  geometrica della nostra Basilica e tuttavia fratelli e sorelle, anch’essa per essere il luogo dove si riverbera l’amore salvifico del Padre lascia che in un determinato spazio autenticamente apicale, zenitale, segnatamente il grande catino absidale, tutta questa mirabile geometria di trascendenza metafisica cede,  illustrandoci e manifestandoci il volto del Dio che salva, perché in esso combaci il volto dell’uomo salvato, Gesù Cristo, lì splende il riflesso del divino nell’umano e dell’umano nel divino e si rompe lo specchio di Narciso fratelli e sorelle, in mille frammenti che magari noi assurdamente proviamo a raccogliere, tagliandoci le mani pur di rifugiarci in un noi stessi, io stesso, dentro il quale specchiarmi  con le mie certezze, le mie rassicurazioni, i miei compiacimenti, perdendo di vista fratelli e sorelle che il fuoco dello Spirito inviato dal Padre per risvegliare il nostro desiderio, come lo ha risvegliato nei pastori che vigilanti nel cuore della notte si sono mossi verso la mangiatoia di Betlemme, è l’esperienza fratelli e sorelle di una nudità mediante la quale esporre il cuore fragile della nostra esistenza a quella sovrabbondanza di amore gratuito  che il Padre cerca, implora, perché si risvegli in noi l’altissima coscienza di quello che veramente siamo e possiamo diventare se ci lasciamo amare.

Dunque, direi un incremento fratelli e sorelle, non lo chiamerei diversamente, un incremento, una lievitazione, una fermentazione dell’autoconsapevolezza umana, non nella forma narcisistica ed egoica, ma nella dimensione aperta e accogliente che vede i nostri volti affacciarsi pieni di stupore, di meraviglia, di fronte al volto di Gesù nella mangiatoia di Betlemme perché lì sperimentiamo fratelli e sorelle, che il nostro Dio prima ancora di essere perfezione è relazione,  prima ancora di essere trascendenza è la nostra carne assunta nella pienezza di una consegna senza riserve che di se stesso egli fa attraverso il Signore Gesù, nella certezza che un amore così grande, testimoniato nel Natale, da parte di Dio attraverso un metodo, direi ragionevolmente e addirittura esclusivamente umano, come umano è il volto del Bambino Gesù, è un metodo di cui possiamo fidarci e a cui finalmente arrenderci.

Allora questa prospettiva fratelli e sorelle è davvero immettere nel  nostro cuore un processo di trasformazione direi inarrestabile, l’incremento appunto, che ci sembra sostanzi di qualità fecondante,  generativa il nostro augurio per l’anno che inizia, questa dimensione irrinunciabile che si caratterizza come grammatica civile di una civiltà che è costretta a trovare nelle coordinate della misurazione del suo tempo segnato dal calendario, un inizio, dal quale far ripartire una propria storia, possibilmente diversa da quella che l’ha preceduta, esponendoci peraltro fratelli e sorelle all’assurdità di attendere il nuovo propiziandolo nel migliore dei casi con botti, petardi, manifestazioni penose, che hanno il loro significato simbolico quando non diventano motivo di violenza e sofferenza, segnalano  questo bisogno di fare chiasso per allontanare ciò che ci minaccia e per anticipare il sole che sorge nel cuore della mezzanotte, portando, ci si augura, luce, novità, ma noi con queste forze davvero, fratelli e sorelle, con queste sole forze, possiamo pensare di trascinare la novità nell’orizzonte  della nostra storia? con ragionevolezza fratelli e sorelle possiamo davvero immaginare che siano i nostri auguri, che siano i begli auspici, che siano le nobilissime riflessioni del Presidente della Repubblica, a dirci a darci la possibilità di una novità? o non piuttosto fratelli e sorelle, vi pongo questo interrogativo, non è forse il combustibile acceso dalla gratuità del sentirci amati senza perché e nella consapevolezza lucida del nostro limite, ad accendere nei nostri cuori la combustione, in forza della quale possiamo sperare che se davvero questo Dio, come è vero, è dalla nostra parte, possiamo veramente con Lui costruire una novità che estenda nell’anno nuovo qualche fermento che introduca quell’incremento che avvertiamo nel nostro cuore nella misura in cui lo esponiamo, letteralmente esponiamo, allo stupore della mangiatoia di Betlemme, il luogo dove la nostra umanità, dimenticata da tutti e da tutto, i pastori, nella sua povertà diventa protagonista di una storia nuova, lo avete ascoltato, i pastori lodano e ringraziano il Signore perché si sono accorti del suo metodo natalizio, avevano ascoltato un annuncio e verificano un fatto che corrisponde alle parole dell’annuncio, qualcosa di così insolito per noi che siamo abituati a mille parole che alla realtà dei fatti corrispondono spesso  in minima parte

E allora fratelli e sorelle recepire il metodo del Natale significa davvero, vorrei dirlo così, fare pace con Dio che spesso ci sembra lontano, assente, distratto, indifferente più per la nostra indisponibilità a lasciarci amare, provocare, scomodare, da tutto quello che scomoda di fatto la nostra umanità, perché lasciarsi amare senza merito per noi performativi è un’impresa che umilia le nostre presunte capacità, ma è proprio l’assunzione di questo amore gratuito fratelli e sorelle, a illuminare le tenebre abissali di quel cuore di cui parlavamo all’inizio, a introdurci in questo mistero generativo, fratelli e sorelle, mediante il quale il divino e l’umano si incontrano e si incontrano fratelli e sorelle, non negli spazi siderali consegnati alle nostre competenze tecnologiche e scientifiche, non si incontrano nelle prospettive lungimiranti di chissà quale analisi sociologica, non si incontrano nemmeno, già ve l’ho detto, nelle pagine di raffinata speculazione di qualche altissima dottrina filosofica. No, si incontrano nel grembo umile e silenzioso di una donna, Maria Santissima, la cui maternità è l’inizio non solo della vicenda umana e divina del Signore Gesù, senza distinzione, senza separazione, ma anche l’inizio per noi di questo anno nuovo, nella consapevolezza che questa nascita di amore e per amore sostanzi di futuro il nostro bisogno, il nostro desiderio di pace, di pienezza, di consolazione, di illuminazione, aggiungerei anche fratelli e sorelle per voi che amate come noi questo luogo, alcuni valori specifici che incontrate nell’esperienza di una Basilica monastica, il silenzio, la contemplazione, la bellezza, l’estetica, uso volentieri questa parola nel suo vero significato, voi che pazientate per una celebrazione liturgica che spesso supera un’ora di durata, mi raccontate con la vostra presenza che se non risvegliate i vostri sensi alla percezione della bellezza, il vostro cuore, così nobile e bello, muore.

Grazie per questa testimonianza cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra pazienza, grazie per la vostra perseveranza, grazie per la vostra obbedienza e grazie per la vostra figliolanza che afferma, come ci ha detto Paolo,  e concludo, che davvero non siete più schiavi della legge, non siete più orfani, ma nella libertà dell’amore, urlate, gridate, Abbà, Padre, le stesse parole pronunciate al compimento della vicenda terrena del Bambino di Betlemme che sta alle mie spalle, una mirabile inclusione, l‘inizio e la fine, nel segno di una consegna all’amore del Padre, origine e compimento della nostra storia, origine e compimento della nostra storia nella nostra storia, consapevolezza che il dono dello Spirito ci offre, per non avere paura di tutto quello che sta dentro e oltre la storia, per una vita umana di qualità, per una morte che sia solo passaggio pasquale, per un male che pur restando enigma abbiamo spodestato e per sempre, dalla sua folle pretesa di avere l’ultima parola sulla nostra vita e sui nostri giorni. Amen

 

Domenica 7 gennaio 2024 – Battesimo del Signore (B)

 

Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.

 

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Omelia

Cari fratelli e sorelle,  la stagione liturgica del Natale con oggi trova il suo compimento in una visione riassuntiva della rivelazione dell’amore del Padre, anzitutto la sottolineatura ormai scontata della articolazione di intensità, qualità, modulazioni diverse che costituiscono nel loro polifonico insieme l’intera scansione del tempo liturgico e gustiamo e sperimentiamo più profondamente tali articolazioni proprio al confine tra una stagione e l’altra.

Domani riprenderà il cosiddetto tempus per annum, il tempo ordinario, nella simbolica non solo di una indistinzione generica dei giorni che subito irromperanno con il non troppo lontano Mercoledì delle Ceneri per l’inizio della nuova stagione liturgica della Quaresima, ma una ordinarietà che intende distendere nell’arco dei nostri giorni l’intensità davvero straordinaria di quello che ci è stato dato di vivere, contemplare, acquisire, recepire dal tempo, non a caso forte, del Natale.

Dunque la mia povera raccomandazione è come già detto all’inizio di questa celebrazione eucaristica, verificare, ma sono certo che è una verifica in positivo, la potenzialità e la capacità ulteriore del vostro cuore nel saper accogliere ancora del mistero del Natale, quello che oggi vi viene dallo Spirito riversato perché aderisca alle pareti profonde della vostra abissale interiorità, perché non succeda, come potrebbe accadere e di fatto accadrà in quella celebrazione piuttosto superficiale del Natale che si vive nelle nostre strade nelle diverse attività che, direi giustamente, fanno di questo tempo particolare dell’anno un’occasione importante di festa, di scambio di auguri, perché no anche di qualche guadagno.

Per noi il Natale è anche questo, ma è soprattutto la disponibilità a crescere nel discepolato ricettivo di una verità che l’amore del Padre intende comunicarci per dare alla nostra condizione umana uno spessore diverso, più consistente, più elastico, ma nello stesso tempo più radicato e radicabile nell’avventura della vita e della storia. E proprio perché la vita la intendiamo attraverso la vicenda complessiva del Signore Gesù come una esperienza tutt’altro che riposta nelle maglie strette e sicura di qualche certificazione e garanzia, avvertiamo assieme al Signore Gesù, non diversamente dal Signore Gesù ma assieme al Signore Gesù, che abbiamo già contemplato in una nascita estremamente difficoltosa e perigliosa, abbiamo già provato a inseguire nella sua fuga in Egitto per mettersi in salvo coi suoi genitori dalle persecuzioni di Erode, abbiamo già provato ad immaginare, perso nei labirinti del tempio di Gerusalemme in ascolto dell’antica sapienza di coloro che scrutavano la parola per essere davanti al popolo gli esperti delle cose del Padre suo e Padre nostro e impareremo a seguire ancora il Signore Gesù nelle sue sofferte peregrinazioni alla ricerca di tutte quelle sofferenze sulle quali dispensare l’unzione consolante e guaritrice dell’amore del Padre fino a diventare Lui stesso sofferenza patimento e morte nella vicenda pasquale che avrà come conclusione l’energia elastica della risurrezione, la forza restauratrice della Pasqua, l’azione dinamizzante e direi rilanciante dello Spirito Santo.

Ecco noi ci prepariamo a seguire così il Signore Gesù, a percorrere con Lui, assieme a Lui, il mistero della creatura, in tutte le sue diverse e imponderabili sollecitazioni, per questo insisto sempre, grato per la vostra partecipazione alla vita liturgica di questa Basilica, come il vostro esserci sottoponga tutto di voi alle stesse energie inviate dal Padre e che oggi contempliamo proprio nella ricezione che il Signore Gesù apre perché quelle energie non siano disperse dal suo corpo, dal suo cuore, dalla sua intelligenza e lo preparino in quella relazione inscindibile tra Lui e il Padre Celeste alla sua avventura di vita, alla sua, possiamo dire, nostra avventura di vita.

Ecco perchè è importantissimo che la nostra vita liturgica fratelli e sorelle, schiusa all’invisibile attraverso il collirio della Fede e l’estetica liturgica, sottoponga al vostro sguardo, alla vostra attenzione, come se fosse veramente qui, ed è veramente qui, il Signore Gesù, nella sua oggettiva concretezza personale, molto importante questo fratelli e sorelle, altrimenti la liturgia scade in ritualità, ad obbligo, a convenzione, a rassicurazione che sconfina, o per lo meno può sconfinare nella superstizione, obbligando le nostre paure ad attraversarle quelle ritualità per sentirsi in qualche misura allentati da qualche sottile e inconscia angustia. Invece no! Per noi la liturgia è gioia, è manifestazione oggettiva di una presenza sempre meglio verificabile attraverso il restauro dei nostri sensi, del nostro cuore, della nostra intelligenza attraverso quello che oggi è il porre tutto di noi, perché le tre grandi testimonianze di cui parla San Giovanni col suo consueto e mirabile linguaggio mistico, confermino anche voi, anche voi, in questa relazione binaria fra Padre e Figlio e fra Figlio e Padre, dentro la quale scorre verità, amore, giustizia, pace, compiacimento, consapevolezza, reciprocità, mutualità, vita, speranza, gloria, umiliazione e umiltà, obbedienza, parola, silenzio, luce, fulgore e le tre testimonianze, lo avete ascoltato, sono spirito, acqua e sangue, gli ingredienti potremmo quasi dire di ogni celebrazione liturgica in realtà, gli ingredienti anche, ci avvertono non a caso in singolare consonanza anche tante scienze umane, biologiche, della nostra concretezza personale, sangue e acqua ma anche respiro, spiritus, soffio, vitalità, dunque fratelli e sorelle, queste parole così antiche, arcane, che la liturgia nella sua dimensione nello stesso tempo velatrice e rivelatrice, velatrice e rivelatrice vi propone perché non le sentiate più formule lontane, remote, astratte, di chissà quale devozione secolare alla quale per una certa nostra rassicurazione vogliamo accedere per sentirci un po’ rincuorati. No. No. Queste parole fratelli e sorelle dicono il nostro oggi, la verità odierna della nostra configurazione personale, relazionale, nell’orizzontalità della nostra vicenda umana, ma non meno nella verticalità di questa nostra faticosa ricerca del volto di un mistero che più ancora che chiamare Dio, parola di fatto vorrei dire religiosa, concettuale, intellettuale, scaldati da tutta l’economia rivelativa del Natale possiamo finalmente chiamare col suo vero nome dando retta a Giovanni il vero nome di Dio per noi è Amore. Amore. Giovanni è chiarissimo fratelli  sorelle, è amore, anzi vi dirò di più in forza di questa parola così dinamica, inclusiva , eccedente, chiamare Dio Dio è impoverirlo perché il nostro amore  definendosi, qualificandosi, rivelandosi, lasciandosi sperimentare così, è irriducibile alle altre divinità, dei che sono oggetto di speculazioni metafisiche, dei ricavabili da manifestazioni impetuose della natura, divinità che sono nel profondo che risuona attraverso silenzi sostanzialmente percettibili in meditazioni che quasi ci obbligano a discendere con nobili sapienze nell’intimità della nostra intimità e tante altre modalità, ma noi invece fratelli e sorelle, il nostro Dio lo chiamiamo Amore perché Lui per primo ci chiede, per farne piena esperienza, di mettere da parte le speculazioni, gli intellettualismi, le profonde arti di meditazione, di ripararci dai tuoni, dai frastuoni, dai terremoti, ci chiede semmai di stringerci la mano, di lasciarci stringere la mano e di scoprirci in questa nostra vulnerabilità anche affettiva e psicologica, figli e figlie di un Dio per l’appunto Amore ed essendo Amore, generativo di una relazione che non possiamo non chiamare paterna, perché implica una persona, questa paternità, con una sua volontà, una sua libertà, una sua inquietudine, un suo desiderio di dare storia a questo Amore, di dare un termine a questo Amore, per questo ci ha creati! E per questo l’avventura della liberazione da sé che Egli consegna al creato perché sia veramente tale con una sua compiutezza di libertà, implica da parte Sua tutto un desiderio che tenendo salva la libertà riavvicini tutti a noi a tale consapevolezza filiale e il metodo per ritrovarci fratelli e sorelle, lo abbiamo capito, è il metodo del Natale, un metodo così profondamente divino, ma anche così profondamente umano, dove per farci capire chi sia veramente Lui, chi siamo veramente noi, altro metodo non impiega, questo nostro Amore, Padre, Dio, che mostrarsi nell’infante Gesù, nel Bambino Gesù, capite voi che straordinaria scuola di libertà e di amore sia questo metodo fratelli e sorelle? Un metodo che recepito come voi lo avete recepito, non solo scambiandovi auguri, regali, non solo perdendovi nella gioia in realtà piuttosto pellicolare, superficiale, variopinta, cangiante delle nostre strade cittadine, ma immergendovi nella penombra di questo luogo, voi avete appreso fratelli e sorelle che questa occasione è davvero imperdibile perché vi dice tantissimo dello spessore della vostra esistenza, fragile, avventurosa, esposta a perdite, dolori, sofferenze, a gioie che quando le gustiamo in pienezza quasi abbiamo paura di provarle, tanto ci spaventa la provvisorietà del nostro vivere e in effetti fratelli e sorelle, l’ultima parola che dovremo assegnare a questa nostra stesura esistenziale è una parola inevitabilmente di provvisorietà, di impermanenza come  ci insegnano le pur nobili arti di meditazione del mondo buddista, tutto è impermanente, però fratelli e sorelle, quando scopriamo con pazienza, con passione, per grazia, ma nello stesso tempo anche per questa nostra santa ostinazione testarda nel non volersi arrendere alla ragionevolezza dell’amore e all’avventura della libertà sentiamo che questo dono che è il Figlio Gesù non può venire da sé, non può essere soltanto inscritto in una cornice puramente umana, tanto straordinaria è l’intuizione di un neonato Figlio di Dio e allora, fratelli e sorelle, aiutati, innescati nelle nostre combustioni dal dinamismo liturgico, quando ci affacciamo sull’oltre di questo bambino e intuiamo che Lui è il dono di un altro che attraverso questo bambino cerca i nostri cuori, ecco che sentiamo davvero anche noi la concordia, la concordia autorevolissima e autenticante delle tre testimonianze, spirito, acqua e sangue che in una parola potremmo dire la vita. La vita fratelli e sorelle. Pensate la vita senza acqua, pensate la vita senza sangue, pensate la vita senza soffio, respiro e possiamo ritenere l’amore senza sangue, senza acqua, senza spirito e possiamo pensare noi in questo orizzonte dentro il quale con ostinazione santa e testarda ascoltando la parola, lasciandoci trasformare dalla forza performante della liturgia, possiamo pensare fratelli e sorelle ad una vita senza amore e dunque a una vita amore senza spirito, acqua e sangue? Certo che no. Ecco questa fratelli e sorelle è direi la viva eredità natalizia che con umiltà consegno all’intelligenza del vostro cuore, al cuore della vostra intelligenza, facciamo anche noi un po’ di pratica che spesso dobbiamo pensare sia ormai soltanto dei nostri amici dell’estremo oriente, bere un bicchier d’acqua, con grande semplicità, un bicchier d’acqua, quello lo dico all’amico Rolando lo so cucinare anch’io un bicchiere d’acqua, il resto no, ma versare un bicchier d’acqua io che in cucina, loro lo sanno, sono un disastro, arrivo anch’io, nell’acqua c’è la vita, c’è la trasparenza, c’è il sentirsi dissetato da una indigenza che il tempo d’Avvento, non ve la dimenticate mai la successione delle stagioni liturgiche, aveva risvegliato in noi, quante volte lo abbiamo detto, prepariamoci al ritorno del Signore alla fine dei tempi perché sentiamo che non abbiamo tutto, grazie a Dio, in questa vita, l’acqua ci disseta e ci aiuta a scoprire davvero come la nostra corporeità sia questo miracolo idrico dove tanti fluidi entrano in movimento, in comunicazione, basta strizzarci una mano per rendercene conto e ancora, fratelli e sorelle, e soprattutto, basta vivere una sofferenza, una perdita, iniziare a lacrimare, per scoprire che siamo acqua, vita, ed è attraverso la sofferenza che scopriamo che siamo anche e direi soprattutto sangue, passione, delicatezza trasfigurante di quest’acqua che chissà attraverso quale formulazione non alchemica, grazie a Dio, ma misteriosamente d’amore il Padre ha saputo trasformare dentro di noi perché noi non siamo soltanto acqua fratelli e sorelle, non siamo soltanto equilibrio idrico, siamo soprattutto passione, indigenza di passione, sete di una pienezza, sete di una comunione, sete di un amore, per entrare nella quale non a caso il Signore Gesù ha versato il suo sangue e ha lasciato aperto questo valico di comunione con la sua interiorità che è il Sacro Cuore dentro il quale accederemo nell’estremo compimento della rivelazione pasquale, a primavera inoltrata, non tanto oltre perché vi avverto subito, già lo avete ascoltato, quest’anno Pasqua arriva molto presto e quindi purtroppo anche Le Ceneri arrivano abbastanza presto ma ci serviranno per smaltire i tanti panettoni di questi giorni.

E poi fratelli e sorelle, il grande miracolo e chiudo, di scoprirci immersi in un battesimo di amore e quindi invitati a nuotare in un’acqua che senza dare sfogo ad accenti di inutile eloquenza di sanguinolenta intensità, è però anche acqua santa, non è solo il Mar Rosso, è questa immersione nella morte del Signore Gesù dal quale rinasciamo a vita nuova col nostro battesimo che riviviamo in ogni celebrazione eucaristica e dunque scoprire fratelli e sorelle che la Pasqua del Signore Gesù ci ha reso capaci di scorgere l’invisibile e di sentire che la struttura piena della nostra configurazione personale e di tutta la struttura di questo cosmo creato e benedetto da Dio non è soltanto l’atmosfera che pure noi vediamo e sentiamo ma è lo Spirito, l’energia dell’amore che il Padre invia sul Figlio nella sua umiltà, che lo immerge in mezzo a dei penitenti nella fanghiglia del Giordano, che immerge noi domenica dopo domenica nella penombra umile di San Miniato e che ci fa uscire da qui rinati fratelli e sorelle, sostenuti da un’energia che non è soltanto l’ossigeno necessario per i nostri polmoni è soprattutto l’amore necessario per il nostro cuore, per continuare a trasformare l’acqua delle nostre lacrime in sangue di speranza, in energia pasquale, in novità di vita.

Dunque fratelli e sorelle possiamo e dobbiamo aggrapparci al corpo del Signore Gesù, fatelo fra poco nell’Eucaristia, fatelo con la stessa intensità delle mistiche della nostra Umbria, della nostra Toscana, non avevano paura, con una audacia incredibile a raccontare i loro amplessi erotici col Signore Gesù, non scandalizzo nessuno, leggetevi la Beata Angela da Foligno, e faceva bene ad amare così, carne nella carne, corpo nel corpo, il Signore Gesù. Come amarlo diversamente

un amore sconfinato donatoci dal Padre, se non abbracciarlo intensamente e farci portare via da Lui perché se non camminiamo la vita su piedi diversi che i suoi, al primo fango sprofonderemmo in un’acqua molto meno benedetta del Giordano, il primo vento che non sarà quello dello Spirito ci porterà via fratelli e sorelle, il primo schizzo di sangue magari per qualche ordigno di guerra cancellerà per sempre la nostra memoria e il nostro ricordo.

Aggrappatevi a Cristo, lui con i suoi piedi nel fango del Giordano, lui col suo cuore all’altezza del nostro volto, Lui con la sua testa baciata dallo Spirito Santo e unta dal Padre è la colonna della verità aggrappata alla quale niente e nessuno può farci paura. Amen

Trascrizione a cura di Grazia Collini

 

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