L’arte e la storia a San Miniato dal Cinquecento
Il fecondo dialogo con l’ambiente umanistico, l’amore anche filologico per la grande tradizione patristica, il paziente investimento del tempo nella cura della bellezza e nondimeno dell’utilità espressa attraverso l’arte del minio, della calligrafia, della cartografia, unitamente alle opere di assistenza e di carità offerte ad una città intera sono soltanto alcune preziose tracce di santità e di cultura lasciate da quella primitiva presenza olivetana su questa collina e nella memoria della città.
Arrivò poi, repentino ed inatteso, il tempo in cui le “porte sante” di San Miniato spalancate sul cielo di Firenze quasi dovettero serrarsi e tutto il monastero, da luogo aperto sulla città e sul suo contado, scoprirsi abbracciato, se non soffocato, da baluardi e terrapieni improvvisati dal genio militare di Michelangelo a partire dal gennaio del 1529. Non è difficile immaginare come l’epica difesa di Firenze e della sua Repubblica, che qui a San Miniato e soprattutto sul suo campanile conobbe alcune delle sue pagine più avvincenti, avesse costretto i monaci a modificare l’armonioso ritmo delle loro giornate e delle loro liturgie.
D’altra parte la loro pervicace ostinazione a non abbandonare il monastero e la loro paziente convivenza con le nuove esigenze belliche testimoniano una volta di più, nel frangente di quella memorabile resistenza popolare contro il potentissimo esercito di Carlo V, quanto forte fosse il legame che si stabilì fra le istanze di libertà di un’intera città e un certo mondo ecclesiale, soprattutto quello riferibile ad alcuni ordini monastici e mendicanti che proprio in quei febbrili anni raccoglievano l’eredità ancora viva dell’intensa predicazione di Girolamo Savonarola, finalizzata a una radicale riforma evangelica della società contro qualsiasi abuso di potere.
Soltanto nel 1924, dopo che la basilica e il monastero erano stati adattati, spesso con pesanti conseguenze architettoniche, addirittura a lazzaretto, poi a casa di esercizi spirituali e infine a cimitero monumentale, i monaci benedettini di Monte Oliveto sono tornati a San Miniato al Monte perché la loro presenza testimoniasse quello che da sempre è lo scopo essenziale della vita monastica: dare voce al grido dell’uomo che nell’abisso del suo fragile cuore sperimenta l’urgenza di aprirsi all’invocazione orante e quella di rendere grazie nella lode a quel Dio compassionevole che è lento all’ira, ricco di misericordia e che mai abbandona.
In questa luce è forse possibile percepire il delinearsi di un disegno storico, che, oltre ogni tormentata vicenda, si mostra armonioso e coerente, così da lasciarci intuire come in realtà quassù mai si sia chiusa la «Porta del Cielo» alla civitas terrena, raccogliendone anzi gli sguardi, le speranze e le attese, secondo quell’antica e profonda intuizione spirituale di un vescovo desideroso, quasi mille anni fa, di orientare al cielo le vicende della sua città e di far riecheggiare il canto nuovo del Verbo celeste nella bellezza di una basilica e di un monastero che Dio – è la nostra speranza – ama, visita e continua ancora oggi ad avere nel cuore.
L’ARTE E LA STORIA DI SAN MINIATO AL MONTE
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I primi secoli
La memoria liturgica di san Miniato è il 25 ottobre, ma la sua fama è ogni giorno alimentata dalla bellezza del duecentesco mosaico di stile tardo-bizantino della grande abside.
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Abbazia di San Miniato
Credere nel Dio di Gesù Cristo significa credere in un Dio che si rivela nella storia, donando così una qualità fortissima alla nostra esperienza del tempo.