«Verso una città ad oriente del desiderio». Omelia del padre abate Bernardo per la II Domenica di Avvento
Domenica 9 dicembre 2018 – II Domenica di Avvento ©
Dal libro del profeta Baruc
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore
a ogni creatura sotto il cielo.
Sarai chiamata da Dio per sempre:
«Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».
Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi,
incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce
in trionfo come sopra un trono regale.
Poiché Dio ha deciso di spianare
ogni alta montagna e le rupi perenni,
di colmare le valli livellando il terreno,
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.
Anche le selve e ogni albero odoroso
hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio.
Perché Dio ricondurrà Israele con gioia
alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia
che vengono da lui.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.
Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Omelia:
Fratelli e sorelle, risuona una parola di grande incoraggiamento in questa liturgia della seconda domenica di Avvento, che si qualifica come parola rivolta a un popolo intero, al quale la voce oracolare del profeta Baruc tratteggia, da un fondovalle di grigiore, di disperazione, di esilio e di rassegnazione l’immagine fulgida e colma di luce di una Gerusalemme radicalmente rinnovata nella sua capacità di essere spazio di bellezza, di accoglienza, di destinazione piena e rassicurante, per tutti quei passi che invece si erano compiuti in direzione opposta, in una dispersione, in un esilio, in una frammentazione, nella quale ravvisiamo una cifra esistenziale anche del nostro tempo, seppur diversi siano per forza di cose, le nostre situazioni sociali, geografiche e politiche.
Ma in questa prospettiva ci vogliamo radicalmente riconoscere, sentiamo anche noi il peso di una storia che, non ci stanchiamo di riconoscerlo con lucidità, troppe volte toglie respiro alla nostra vita, toglie forza ai nostri passi e consegna i nostri giorni ad un senso forte di frammentazione e di dispersione.
E dunque vorrei che in questa celebrazione restasse forte il dono di un Dio che in questo tempo di Avvento si qualifica ancora una volta come il Dio di una promessa, il Dio promettente, il Dio che come in ogni alleanza si mette in gioco, quasi in discussione, obbligandosi quasi a che qualcosa di lui entri con forza nella nostra vita perché si ingaggi una sorta di rincorsa verso una ritrovata conciliazione piena fra le nostre fragilità e le sue alte esigenze, che non siano nel segno di una frustrazione che mortifichi quelli ideali, quei desideri per i quali ci riscopriamo incapaci, ma al contrario apra nuove nuove vie mediante la conversione al Signore Gesù, per ritrovare in noi radici e possibilità e fruttificazioni davvero alte, profonde, corrispondenti alla misura alta di quella dignità umana che troppe volte la nostra contemporaneità squalifica in prospettive esclusivamente mercantili o culturalmente rassegnate nel riconoscere nella nostra vicenda umana, come avrebbe detto Jean Paul Sartre, una sostanziale passione inutile.
E devo dire che risuona molto bella la parola dell’Apostolo Paolo quando egli dice, io nutro un desiderio per voi: “il Signore è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù”.
Cioè riconoscere al nostro essere Chiesa , tutti noi, nella comunanza di novità di vita, generati dal Battesimo che abbiamo ricevuto, la testimonianza di essere tutti noi, non diversamente da Paolo, soggetti di un desiderio che restituisca all’umanità intera la percezione di sentirsi desiderati da qualcuno, essere cioè ambasciatore di un movimento di amore con il quale il Signore nella forma bellissima del desiderio, si è aperto alla possibilità della nostra libera esistenza accettando che ci fosse oltre a se stesso un’alterità. E il desiderio segnala come Dio ci abbia voluti proprio per questo liberi soggetti, desiderabili, in una esperienza che presuppone proprio quanto il desiderio inaugura e propizia cioè un dialogo, fatto di attesa, fatto di speranza, fatto di passione, che l’altro cioè corrisponda al desiderio che io ho per lui.
E questo fratelli e sorelle non è vero soltanto a livello esclusivamente psicologico o relazionale, ma è vero soprattutto a un livello spirituale esistenziale che è ciò che più profondamente ci interessa e ciò per cui siamo qui adesso insieme, cioè a riscoprire le coordinate forti della nostra esistenza perché, scossi dall’amore di Dio che riceviamo, accogliamo col dono della parola e dell’Eucaristia, e prima ancora di quella convocazione dello Spirito Santo che ricordavamo in apertura della celebrazione, la nostra vita si senta rinnovata nello scoprirsi desiderata, e desiderata proprio perché l’uomo liberi ogni sua potenzialità, l’uomo riscopra ogni sua facoltà e si metta in gioco verso l’altro così come Dio ha fatto creandoci, riportando cioè tutta la storia a questa dinamica di libertà, di liberazione, ma anche di responsabilità che come ripeto ha quale suo più vero esito, non la dispersione, non la frammentazione, non la disperazione, ma come Baruc oggi ci lascia finalmente intravedere, una ricomposizione in quella Gerusalemme che guarda verso oriente per ritrovare tutti i suoi figli.
Bellissima questa sorta di bussola con la quale riconosciamo, nella direzione da cui sorge il sole, il tratto geografico giusto, fecondo, da cui e verso cui tracciare nuove strade che ci tolgano da questa circolarità chiusa in se stessa, vivendo il tempo come maledizione che ruota invecchiandoci e stritolandoci, senza portare alcuna novità, vivendo gli spazi della nostra geografia come un monotono contorno che non ci regala più ispirazioni nuove, vivendo i fatti del nostro quotidiano personale, familiare, sociale e politico, come il lampeggiare di speranze variopinte, ma inaffidabili.
Allora fratelli e sorelle abbiamo veramente bisogno di radicarci nella storia santa che queste parole ci consegnano, voi avete ascoltato lo straordinario incipit di Luca con quelle notazioni molto dettagliate, che non sono lì per fare erudizione, ma sono lì per dirci che c’è un qui e un ora nella nostra storia, incisa, tagliata vorrei dire a sangue, dalla parola di Dio che parla attraverso il Battista proprio perché questo anello disperante si spezzi, si scardini e doni alla nostra frammentazione una bussola che ci orienta verso oriente e cioè la direzione da cui sorge il sole, simbolicamente la possibilità di una storia che apporti novità, generata dallo Spirito Santo, fratelli e sorelle, eccome se abbiamo bisogno di questo, anche se culturalmente siamo lontanissimi dalla prospettiva di un Sartre e dalla sua visione di un uomo come passione inutile, come non riconoscere nei nostri temperamenti psicologici, nei nostri accadimenti quotidiani, penso al dramma di Ancona, l’essere, per così dire, meccanicamente bloccati e deformati da una storia che non può conoscere a prima vista alcun germe di novità.
E come invece l’Avvento, attraverso questa dinamica del desiderio, “Fratelli -dice Paolo- io nutro un desiderio per voi in Gesù Cristo” significa davvero che la nostra storia andrà piuttosto riletta come un impulso che non viene da questo nostro succedersi di fatti senza senso, ma viene da un impulso desiderante di Dio verso il quale tornare a sintonizzare i nostri cuori, la nostra intelligenza, la nostra capacità di decifrazione, non partendo dall’astrattezza, Luca ci dà un grande insegnamento oggi partendo dalla concretezza: era governatore Pilato, erano sacerdoti Anna e Caifa, potremmo traslare questa indicazione cronologica al nostro presente dove oggi il Signore dona la sua parola!
Abbiamo nel nostro cuore un frammento di deserto, cioè di vuoto, di sterilità, ma anche evidentemente di disponibilità dove possa finalmente trovare spazio la parola del Signore, di modo che possiamo finalmente riconoscerci invitati ad un dialogo, perché se il Signore ci dona una parola, fratelli e sorelle, è perché ci desidera e se noi ci riscopriamo desiderati da qualcuno, eccome se il nostro cuore non torna a sperare, non torna a risvegliarsi, non torna a riorientarsi là da dove viene la parola, per l’appunto da oriente, per costituire tutti insieme, qui e ora, come facciamo nella bellezza e nello splendore della celebrazione liturgica, la nuova Gerusalemme, sì perché questo voglio infine dirvi, fratelli e sorelle, possa essere più o meno capace il predicatore, più o meno sontuosa la liturgia, più o meno bella la chiesa dove ci ritroviamo, fratelli e sorelle, questo corpo unto dal Signore, che noi qui adesso siamo, unico corpo del Signore Gesù, bagnato dalla rugiada della sua parola e nutrito dall’unico pane e dall’unico calice, ad essere profezia della Gerusalemme Celeste, manifestazione visibile allo sguardo disperato della città che realizza qualcosa di quanto Baruc sogna con immagini che vi prego di riportare nel vostro cuore, immagini che segnalano un’iniziativa fortissima del Signore, che mi piace tratteggiare come l’iniziativa per la quale ha trovato anche al cuore di ciascuno di voi stamani la via più o meno dritta, con la valle colmata e il burrone spianato, per essere qui, insieme a noi, fratelli e sorelle, è bellissimo questo frutto semplice, ma prezioso e fedele dell’essere insieme ogni domenica, per vivere questo fratelli e sorelle, un anticipo di unità, un riscoprirci desiderati da una parola comune e questo scava nei nostri cuori una prospettiva sapienziale che ci rende e ci deve rendere ingegneri di una modalità nuova e feconda di accogliere la parola, non tanto nel deserto del mio piccolo cuore, o per lo meno non solo lì, ma anche e soprattutto nel cuore della città degli uomini e delle donne del nostro presente, perché tutta la città si riscopra desiderata, fratelli e sorelle, da qualcuno che propone finalmente una luce orientale che risvegli e qualifichi le coordinate dei nostri spazi e dei nostri tempi.
Se non fosse così, e concludo davvero, non avremmo dovuto celebrare ieri l’Immacolata Concezione, vi ho invitati a ritornare per questa celebrazione perché è così fondamentale aver chiaro un dato essenziale, ed è propria la struttura promettente dell’amore di Dio a renderlo inevitabilmente mai sconfitto e mai impedito dal male chepurtroppo tante volte l’uomo, con la sua antica e rinnovata disobbedienza, gli ripropone a quel cuore infinito di desiderio, ma il Signore non resta bloccato, il Signore, come ci ha raccontato quella notte di immacolato concepimento, riavvolge la storia dell’inizio e oggi per noi in questa giornata grigia, ci dona la possibilità oltre le nubi di ravvisare un sole di giustizia che splende, e vuole splendere, se solo lo accogliamo attraverso vie dritte e sicure nel nostro cuore, per essere tutti noi riverbero di una grazia di speranza e desiderio che il mondo ha dimenticato. Amen
Trascrizione a cura di Grazia Collini
Nella foto un’immagine di Gerusalemme del 1898