Omelie

«La miglior cosa da fare stamattina». Omelia del padre abate Bernardo per le esequie di Cristina, oblata benedettina di San Miniato al Monte

24 Febbraio 2025

Omelia del padre abate Bernardo per le esequie di Cristina, oblata benedettina secolare

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel giorno Gesù, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo” “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò.

La miglior cosa da fare stamattina
per sollevare il mondo e la mia specie
è di stare sul gradino al sole
con la gatta in braccio a far le fusa.
Sparpagliare le fusa
per i campi la valle
la collina, fino alle cime, alle costellazioni
ai mondi più lontani. Fare le fusa
con lei – la mia sovrana.
Imparare quel mantra che contiene
l’antica vibrazione musicale
forse la prima, quando dal buio immoto
per traboccante felicità
un gettito innescò la creazione.

Cara Maria Carla, cari fratelli e sorelle, cari oblati e oblate, cari fedeli, ho chiesto aiuto a Mariangela Gualtieri per immaginare Cristina adesso, oltre questo suo estremo passaggio verso quel Mistero che ha già trasformato il suo gemito, il suo soffrire, il suo investigare, il suo domandarsi perplessa, il suo inquieto vagare in fusa, in fusa da sparpagliare per campi, valli, colline fino alle cime, alle costellazioni, fino e oltre i mondi lontani, lontanissimi, mescolando così la sua voce, il suo silenzio che non è più rantolo, ma mantra, con quell’espressione dei suoi amatissimi gatti che rendono così riconoscibile il loro compiacimento, il loro sentirsi amati, coccolati, completamente capiti in una perfetta empatia di tatto e di cuore.
Così, credo, potrebbe riconoscersi la nostra Cristina, così credo, per fede, possiamo davvero percepire questa nuova postura di questa nostra sorella, lassù, ai bordi dell’universo, sollevata dalla misericordia del Padre in una contemplazione distante dalla nostra realtà quanto basta perché il suo cuore non perda quel punto di vista sempre inedito, originale e singolare che la rendeva non totalmente addomesticabile anche nei battuti sentieri del nostro cammino di oblati e di oblate, che bene ricordano come Cristina avesse avuto sempre una sillaba, non dissonante, sia chiaro, nemmeno discordante, ma segnata da una sua specificità, da un suo tratto irriducibile di singolarità di cui avevamo e avremo sempre pieno bisogno per ritornare a quel mosaico di complementarietà che adesso sentiamo insufficiente e vuoto senza il suo sguardo e il suo volto, solo a prima vista in tralice e perplesso, ma in realtà sempre gravido di una intuizione destinata a trasformare la rabbia in speranza.
Così sono veramente certo viva adesso per sempre la nostra Cristina che ci guarda da una distanza obliqua, da una distanza conquistata, da una distanza abitata da un suo amore che la renderà a suo modo partecipe del nostro quotidiano, del nostro cercare, del nostro patire.
Avremo bisogno di tanto silenzio per riconoscere, al di là del chiasso, il riverberarsi di questo mantra che ci ricorda, come ha intuito perfettamente Mariangela, la nota iniziale che ha posto in essere le cose che sono, per traboccante felicità di colui che ci ha donato qualcosa del suo essere, qualcosa, non tutto, altrimenti sarebbe stata una uniformità che non ci avrebbe dato libertà, distinzione, ricerca, inquietudine, insomma tutto quello che Cristina ha vissuto con la sua irriducibile indipendenza come espressione di una umanità sì integralmente riconquistata dall’amore di Dio, ma con i suoi puntigliosi e per tanti versi amabilissimi e non addomesticabili distinguo.
Ed è così, cari fratelli e sorelle, che noi, accogliendo adesso l’estremo dono della nostra Cristina, dobbiamo torniamo a doverci occupare del gran mistero dell’essere e di questa nostra sciocca pretesa di sostituirlo con l’avere, presuntuosamente convinti così di essere al sicuro da tutto e da tutti.
La nostra sorella Cristina nel suo doversi vedere consumata dalla forza indomita di quella orrenda malattia, ci ha ricordato ben altro primato, il primato dell’esserci, esserci per amore, esserci per mistero, esserci per libertà, esserci per non lasciarsi addomesticare da nessuna artificiosa consolazione, ma nemmeno per reagire con quella rabbia avvelenata che l’avrebbe staccata dalla sua quotidiana realtà che, abitata dal suo infinito cuore, è diventata per lei l’estremo spazio dove apprendere e addestrarsi in questo mantra, in queste fusa, in questa riconciliazione innamorata che, come dono di fede, restituisce a tutti noi la consapevolezza di essere vivi non per caso, ma per quel disegno celeste che non può risparmiarci dai limiti della nostra creaturalità, ma nemmeno abbandonarci alle sue estreme conseguenze.
Per questo sono certo che in questo congedo del Signore Gesù da questa nostra vita, dall’alto della Croce, dove ha voluto sposare la morte, la nostra morte, per unire per sempre in nuzialità assolutamente indissolubile l’umano e il divino, Maria Carla intuisce molto bene che adesso la sua dimora è quella di san Giovanni, il prediletto discepolo del Signore e che il prediletto discepolo adesso abita la sua casa, silenziosa, segnata da ricordi quasi ingestibili, ma nello stesso tempo disponibili a far riecheggiare quello che Giovanni ha ascoltato appoggiando l’orecchio sul petto del suo Gesù: il battito ritmico e pulsante dell’amore infinito del suo Maestro e nostro Salvatore.
Poco importa se in quella casa umile e gloriosa di Pontassieve al posto del cuore di Gesù Maria Carla udirà le fusa del suo gatto e di quello, fedele e affezionatissimo fino alla fine, della sua figliola.
Ella ormai sa che quella è la nuova voce, il nuovo mantra, il nuovo canto della sua e della nostra indissolubile Cristina.
Amen!

Condividi sui social