Omelie

«Una stella perché l’uomo superi se stesso». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Epifania

«Una stella perché l’uomo superi se stesso». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Epifania

Domenica 6 gennaio 2019 – Epifania

Fratelli e sorelle, davvero come abbiamo cantato, gli estremi confini della terra hanno visto la salvezza del Signore, fatta carne nell’infanzia del Figlio di Dio, che raccorda la nostra piccolezza all’infinita maestà di quei cieli abitati dall’onnipotenza del creatore. Ci colma di stupore la stella che è il segno col quale il nostro desiderio si risveglia, un desiderio di essere desiderato da un amore sconfinato che parla la lingua del cuore di tutta l’umanità, senza escludere nessuno, oggi rappresentata dalla sapienza devota e lontana di quei tre magi di cui le orme ripercorriamo anche noi con rinnovata curiosità di quel mistero che oggi riscalda i nostri cuori.

Perché niente ostacoli la contemplazione davanti al presepe di Betlemme domandiamo il perdono perché si diradi ogni nebbia nel nostro sguardo.

 

Dal libro del profeta Isaìa
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

 

Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, la profezia di Isaia ci impone di guardare con forte realismo alla nostra storia, e di riconoscere oggettivamente come ancora oggi tanta tenebra ricopra la terra e tanta nebbia ben fitta avvolga i popoli.

Fratelli e sorelle, vogliamo o non vogliamo riconoscerci, almeno noi, raggiunti dalla buona notizia della rivelazione, del manifestarsi, del consegnarsi di Dio alla penombra dei nostri cuori come luce irradiante esperienza di amore e di speranza nella nostra storia e come tale, riconoscendoci raggiunti da questa buona notizia, vogliamo o non vogliamo fare in modo che la nostra parola, la nostra testimonianza, la nostra visione della realtà possa essere, con umiltà ma anche con passione, argine, sponda, diga, a tali tenebre, a tali fitte nebbie?

Vogliamo o non vogliamo riconoscerci raggiunti da questa parola profetica di Isaia che ritaglia su Gerusalemme la consapevolezza di essere pervasa di una luce che scende dall’alto, restituendo a lei, ma anche a noi una vocazione formidabile per i nostri cuori, i nostri sensi, la nostra intelligenza, parteggiare -direi proprio così- parteggiare per la luce, parteggiare per la consistenza della vita, parteggiare per una visione amorosa e amorevole di tutto quello che è creato e creabile, che trovi in quella stessa luce che scende dall’alto l’adempiersi della sua più vera vocazione: le cose ci sono per rispondere a quella luce, per diventarne bagliore, scintillìo e dunque riferimento e segno per tutti coloro che ancora, per mille e mille ragioni di ogni genere, giacciono nelle tenebre, nella nebbia, in un senso ovviamente esistenziale.

In altre parole non sto dicendo che noi possediamo la luce, che noi abbiamo la verità, dico solo che se noi siamo qui è perché il nostro cuore ha intuito che l’uomo da solo non ce la può fare, che è veramente se stesso quando sul suo volto brilla il volto di questo infante che ci rivela proprio l’amore libero e generoso di un Dio che si contrae pur di parlare il linguaggio dei nostri desideri.

E riconoscendoci abitati nello stesso tempo da questa esigenza e da ciò che la trasfigura, come non sentire l’urgenza di contagiare la realtà che ci circonda di questa straordinaria intuizione: l’uomo non viene, non sopravvive e non si compie con le sole sue esclusive forze! E anzi, in questa prospettiva davvero tutta la realtà oggi, nella solennità dell’Epifania, si lascia ammirare in una sinfonica corrispondenza che avvicina gli astri più remoti ai desideri più intimi del nostro cuore, ne è simbolo il sogno dei Magi, una intuizione onirica che rafforza l’esperienza di bello e di vero che hanno avuto davanti al presepe, proteggendolo dai disegni perversi di Erode e a quella mirabile esperienza onirica corrisponde la vastità dei cieli solcati da una cometa, che altro non ci ricorda se non un dato essenziale sul quale tante volte in questi giorni di Natale ho sentito l’esigenza di ricordare a me stesso e agli altri: cosa svela il Natale, non banalmente un Dio dei buoni sentimenti che a un dato momento si ricorda dell’umanità, della sua condizione di fragilità e con un ascensore stellare manda giù il suo unico figlio per riscaldare banalmente i nostri cuori. No fratelli e sorelle!

Questo bambino Gesù, ce lo ha insegnato il prologo di San Giovanni, è colui che era nelle mani e soprattutto nei pensieri, nei desideri del creatore quando ha posto in essere le cose che sono, ponendole proprio in essere mediante quella intima sinfonia fra Figlio e Padre, fra Padre e Figlio che è l’amore, la libertà generativa con la quale Dio stesso, generando il Figlio, prima ancora del tempo, è un Dio che esce da se stesso per amore, genera amore, costituisce amore e l’amore amato del Figlio non poteva che essere il grande strumento col quale far riverberare nella storia e negli spazi l’intimo loro amore, ed ecco allora che la nostra avventura nella storia e negli spazi creati e creabili riconosce la preesistenza del Signore Gesù come l’amato fecondo nelle mani del creatore perché tutto abbia origine fratelli e sorelle.

Dunque il Natale diventa davvero la lente, il microscopio, che ci permette una visione vertiginosa su spazi altrimenti inimmaginabili, veniamo dall’amore, siamo fatti per l’amore, questa realtà in definitiva è amore, sta alla nostra libertà, alla nostra responsabilità, alla nostra umiltà, ma lo vorrei dire davvero parlando alla nostra umanità, sta al nostro desiderio, alla nostra fantasia, alla nostra curiosità, attraversare, solcare questa realtà amorosa per coglierne i riverberi e le sorgenti sempre più pure, sempre più limpide di tutto quello che ha posto in essere le cose che sono, lasciandole lì come sempre succede con il rischio della libertà, che l’attrito le sciupasse, le consumasse, le limasse, in certi casi addirittura, come dieci anni fa abbiamo sperimentato in una notte drammatica, lasciandole libere anche in quella contraddizione suprema, ma non invincibile dell’amore che è la morte stessa.

Ecco allora fratelli e sorelle, perché ci piacciono i Magi, perché diversamente dalla corte sacerdotale e dei funzionari del re che conoscono, ma senza amore non sperimentano, i Magi pur non conoscendo, pieni di amore, sono alla ricerca dell’esperienza che restituisca la loro nobile curiosità a quella sorgente che, come amore, libera ogni loro visione, adempie ogni loro ricerca e nello stesso tempo non li incatena alla soggezione del potente di turno, ma come quel sogno ci ha fatto intuire, raffina il loro sentirsi partecipi della sovrumana sinfonia di amore, lasciando libero questo bambino e mortificando i desideri di soppressione del perverso Erode

E allora fratelli e sorelle sentiamo anche noi come loro di tornare a guardare la realtà con uno stupore intelligente, insonne, inesausto, perché la stella in realtà sorge anche per noi se solo e soltanto decidiamo di abitare la notte senza lasciarci intorpidire il cuore, i sensi, la volontà e l’intelligenza, né da una morale statica come quella vigente nella corte di Erode, né da ogni esclusione di principio di responsabilità che non può che essere assunto a tutte le età come esercizio nobile e appassionato di quello che ci distingue, lasciatemelo dire con forza, dall’istintività degli animale. Abbiamo appunto un’intelligenza per rispondere e corrispondere all’amore senza doverci vincolare da leggi mortificanti, e lo dico in modo particolare al cuore dei più giovani che certamente faticano a dover pensare la vita nella strettoia di una norma vincolante, ma nello stesso tempo l’esperienza della libertà e della responsabilità, illuminate dal cuore, dall’amore e dall’intelligenza sanno che esiste un confine che segna la fine del mio interesse e l’inaugurarsi dell’interesse dell’altro, e la mia vita e la nostra vita eccome se dovrà essere sinfonia di queste reciproche attese, reciproche doverosità, reciproche curiosità.

E allora si potrà finalmente ingrossare la carovana dei Magi: vogliamo stare dalla loro parte, inquieti, mai fermi, mai statici, in movimento, mai tentati dalla corte che rasserena nella soggezione al potere, ma sempre mossi dalla inquietudine che talvolta chiede anche l’attraversamento del deserto di notte, perché è l’unico spazio quella vastità che qui in terra corrisponde all’assenza di forme del cielo dove cioè finalmente l’uomo ritrova il firmamento del suo cuore, il desiderio che contiene nella sua etimologia quella stella apparsa a loro e a noi per ricordarci quel dato essenziale, mirabilmente sigillato dalla sapienza profetica, filosofica e spirituale di Pascal “L’uomo supera infinitamente se stesso”.

Ed è in questo suo superarsi che può iniziare finalmente la traversata di quella notte che porta l’umanità intera, qualsiasi cultura, provenienza, storia, nascita abbia, ad affacciarsi alle vertiginose soglie di luce di questa mirabile Epifania, unico antidoto all’oscurità e alla nebbia del nostro presente. Amen!

 

PREGHIERE

Chiediamo per questa Epifania che un rinnovato stupore nel nostro cuore si apra con l’esercizio appassionato dei nostri sensi e della nostra intelligenza, della curiosità, della passione e della fantasia alla riscoperta di una realtà riverbero di un amore che viene da lontano, che si è fatto fattezza tenera e fragile di infante per risvegliare tutto questo in noi.

Per questo, con cuore grato di figli, invochiamo l’amore del Padre, perché doni la stella dinamica di luce, di amore e di consolazione a tutti coloro che sono nella prova e nella sofferenza.

Perché liberi la Chiesa dalla tentazione di chiudersi nella coorte in cui tutto viene conosciuto ma niente sperimentato e patito, per essere annuncio evangelico della Pasqua di Cristo.

Non possiamo non ricordare con particolare intensità, dieci anni dopo, la notte in cui è parsa eclissata per sempre quella cometa dalla vita di Francesca, di Margaux e di Mario e che invece è sorta nei loro cuori per misterioso prodigio pasquale per condurli tutti e tre in un’altra strada, al cospetto di quel Padre celeste preesistente alla loro stessa vita che è capace di circondarli di un amore senza fine il cui riverbero di consolazione chiediamo che si rinsaldi nel cuore di chi li rimpiange: gli amici carissimi, i genitori, i nonni, i cugini, tutti coloro che in quei giorni freddi di inverno di dieci anni fa in questa Basilica li hanno pianti, chiedendo al cielo una nuova cometa per riprendere a camminare.

Con loro tre ricordiamo anche il nostro caro Filippo, morto anche lui misteriosamente, a Londra su strade trasformate in deserti di speranza e il nostro fratello Lorenzo.

Per tutti loro invochiamo l’abbraccio del Padre e per tutti noi la sapienza inquieta e dinamica dei Re Magi. Lo domandiamo per Cristo, nostro unico Signore. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

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