Omelie

«Un telescopio di luce». Omelia del padre abate Bernardo per il giorno di Natale

«Un telescopio di luce»

Omelia del padre abate Bernardo per il giorno di Natale

25 Dicembre 2018 – Natale del Signore – Messa del giorno

 

Dal libro del profeta Isaìa
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

 

Dalla lettera agli Ebrei
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

 

Omelia:

Fratelli e sorelle oggi l’esigente prologo del Vangelo di Giovanni che abbiamo solennemente proclamato, è come se ci permettesse uno sguardo radiografico e nello stesso tempo telescopico su questa consuetudine così intima e familiare che è la costruzione di un piccolo o grande presepe, nel cuore delle nostre case.

Un presepe che ci riporta a quella narrazione, intonata nel cuore vigilante della celebrazione notturna della Messa di Natale, poche ore fa e in questa stessa Basilica immersa nelle tenebre, ma rischiarata da una parola che ci ha raccontato, con tono evocativo e narrativo, quanto San Giovanni invece oggi attraversa, quasi perfora per lasciarci intuire una verità irriducibile ad un semplice dato narrativo, una verità che si fa sostanza e nello stesso tempo impronta di una realtà che eccede la portata, non solo della nostra comprensione, ahimè inevitabilmente limitata -o forse per fortuna limitata- ma eccede anche le coordinate dello spazio e del tempo dentro il quale ci troviamo a vivere.

E’ per l’appunto la realtà che fa del mistero di Dio una esperienza di amore costitutivo e creativo di tutto quello che noi siamo, un’esperienza di amore, di dialogo, di relazione, di generazione che oggi siamo invitati da queste parole a scorgere nel mistero di una attenzione reciproca, quella del Padre e del Figlio in una intimità, il Vangelo ci parla di un seno verso il quale è rivolto il Figlio, di una intimità protetta, custodita e resa nello stesso tempo feconda dalla forza dello Spirito Santo.

Vi invito a riflettere sul cuore stesso del mistero del nostro Dio, non per astrattezze teologiche, le quali a niente ci servono, ma perché il Natale, essendo mistero di luce, mistero di rivelazione, mistero dell’umiltà di un Dio che vuole farsi conoscere e riconoscere dall’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, questo offre alla nostra intelligenza fratelli e sorelle, lasciarsi scoprire per lasciarsi amare.

E come è bello in questo giorno di festa scoprire che abbiamo un Dio amante e dunque amabile, per questo so che in tanti, vincendo qualche rassegnazione, siete tornati in uno spazio di adorazione, di contemplazione, di celebrazione, come è questa Basilica, perché avete intuito che il Natale è veramente Natale se disponiamo i nostri cuori, anzitutto a lasciarsi ancora stupire dall’amore che ama e amando, dall’amore che svela se stesso, denuda se stesso, impoverisce se stesso pur di avvolgere tutto quello che ama di una luce intramontabile. Questo è il mistero che il Natale non solo ci racconta, ma ci fa vivere, e facendocelo vivere, ci fa intuire quale sia il fiume carsico di luce che scorre sotto il nostro piccolo presepe, sotto scorre davvero, fratelli e sorelle, un fiume di verità amorosa che riporta quel gesto, quella narrazione che il nostro presepe incarna, oltre il tempo e oltre lo spazio, lasciandoci intuire come quel piccolo bambino in realtà sia davvero logos, pensiero pensato dall’amore del Padre per costituire tutta la realtà nella quale viviamo.

Oggi fratelli e sorelle, questa liturgia risveglia la consapevolezza del nostro fortissimo e definitivo radicamento in Cristo delle nostre esistenze, delle cose create e creabili, una prospettiva che assicura, fratelli e sorelle, un ancoraggio fortissimo a tutto quello che noi siamo, a tutto quello che noi siamo stati, a tutto quello che noi possiamo diventare, un ancoraggio che ha la forma e la consistenza di Dio e dell’uomo insieme, questa è la buona notizia del Natale, Dio e l’uomo hanno fatto pace in Cristo con un’intensità così definitiva che riporta al nostro cuore la possibilità di rivivere quell’inizio degli inizi che credevamo perso per sempre in forza del peccato.

Per questo i vostri piccoli presepi, lasciatemelo dire, sono quasi una doppia macchina del tempo, da un lato ci riportano coi passi della fede e dello stupore, ed è il sentiero che tanto volentieri invitiamo a fare i nostri bambini, alla grotta di Betlemme, cioè a uno spazio notturno, oscuro -Gesù nasce nella notte e nasce nel ventre della terra- per farci vivere questa aurora di luce che riempie gli occhi dei nostri piccoli dello stupore, se ancora oggi possono vivere lo stupore i nostri bambini. Abbiate cura che vivano di stupore, insegnategli ad osservare le stelle, le cose belle, semplici della natura restituendo i loro sensi alla capacità di accorgersi delle cose che possono cambiare, possono crescere, possono lievitare. Ed osservando e scrutando il cielo accorgersi che una cometa passa nel firmamento della loro vita per insegnare loro a crescere in sapienza e grazia e non avere più paura del buio.

Ma è una doppia macchina del tempo, fratelli e sorelle, perché c’è un altro passaggio forse più esigente che forse magari noi meno piccoli siamo invitati a fare, ed è proprio questa scoperta radicale che fa del nostro presepe una lente che ci invita a scrutare l’invisibile, quello al quale nemmeno più noi crediamo, vivendo ormai il cristianesimo nel migliore dei casi e perdonate forse la forza amara di questo giudizio, come un’illusione, un desiderio, da scambiarci con gli auguri frettolosamente almeno a Natale, per dare ragione a qualche settore del nostro cuore che non vuole davvero morire, che non vuole davvero rassegnarsi.

Eh no, fratelli e sorelle, non possiamo depotenziare il mistero della verità amorosa che sta non solo nel cuore del Natale, ma nel cuore di ogni istante del tempo che viviamo, di ogni spazio che percorriamo, di ogni cellula del corpo che noi siamo. E questo mistero il presepe ci invita a scoprirlo appunto con uno sguardo radiografico e telescopico, che viaggia oltre il tempo, per riportarci esattamente a quella dimensione così potentemente evocata da Giovanni: “in Lui era la vita, in principio era presso Dio, tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”.

Sentite questa densità che fa di questo piccolo bambino, vorrei dire, lasciatemi usare questa parola povera, l’arnese con cui Dio pensa, costruisce, misura e schiude le cose all’orizzonte del loro essere. Questa dimensione plastica con cui l’eternità del Signore Gesù si fa possibilità stessa perché le cose esistano, eccome se ci chiede un viaggio nella nostra interiorità, nella nostra origine, nel nostro inizio, ma anche nel nostro compimento, cioè le cose veramente in Cristo trovano la loro vera vocazione e questo oggi il Natale con luce che abbaglia di gioia e di commozione viene fatto riscoprire alle nostre rassegnazioni, curandoci dalla paura, dall’angoscia di vivere per un puro caso, per una pura volontà fortuita o peggio ancora, perché inchiodati ad una fatalità cieca e sorda alle istanze più profonde e nello stesso tempo più fragili e vibranti del nostro cuore.

Questo implica, fratelli e sorelle, e concludo, un dato essenziale, l’uomo non può pensarsi da solo, fratelli e sorelle, non date retta a qualsiasi mitologia tecnologica che ci induca a pensare la vita come mera sopravvivenza, con la quale difenderci dagli altri, con la quale ispessire i nostri perimetri e i nostri confini per metterci al sicuro nel chiuso ermetico di noi stessi. Questo significa morire soffocati, voi ascoltate come tante volte il Vangelo di Giovanni parla di accoglienza, ma i suoi non lo hanno accolto, perché erano chiusi nella loro sordità, nella loro cecità, nella loro presunzione, lo stupore e l’umiltà del Natale invitano invece ad una tenerezza intelligente, sensorialmente attiva e ricettiva, per la quale e con la quale finalmente riscoprire che non da sangue, non da volere di carne, non da volere di uomo, ma da Dio siamo stati generati, fratelli e sorelle il che significa riscoprire un orizzonte molto più ampio, articolato, sinfonico e corale alle ragioni sorgive della nostra esistenza, del suo significato, delle sue responsabilità e dei suoi grandi compimenti che Dio, donandoci la sua vita divina in Cristo che nasce per noi, si attende, perché noi questo potentemente crediamo, nonostante decapitazioni umilianti, nonostante guerre atroci e vorrei dire nonostante la forza apparentemente indomita della natura che abbiamo drammaticamente contemplato nei mari dell’Asia, noi ribadiamo con forza che Dio ci ha creato per la vita, per una vita responsabile, certo esposta al limite della creazione, ma noi oggi finalmente sappiamo che su questo limite si disegna l’orizzonte luminoso di un sole invitto che nasce per noi, il sole di Cristo che illumina ogni nostra disperazione per farci diventare parabola specchiante sulla quale si possa riflettere quella luce che diventa, lo abbiamo pregato all’inizio di questa celebrazione, una fede che trasforma in cometa tutto il bello che possiamo ancora fare, pensare, ispirare, e prospettivamente generare per noi, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Martina Ricci e ritrae un presepe di argilla collocato ai piedi de «L’Albero della Vita», installazione realizzata presso la Basilica da Roberta Cipriani per il Millenario di San Miniato al Monte

 

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