Omelie

Un ringraziamento per la consolazione ricevuta nei giorni della morte di Osvaldo

Nello spazio infinito

del tempo – lieve

si posa il ricordo

con dignità e coraggio

della tua sofferenza,

della tua malattia,

senza che mai un lamento

offuscasse la speranza,

l’attaccamento

viscerale alla vita

come una luce

che nel buio

trafigge la notte

e – in un lampo-

illumina il cielo e la terra

in una rinascita

che dalla morte conduce

ad una vita sempre più alta.

 

Con un’immagine emblematica di paternità generosa e affidabile da «Le avventure di Pinocchio» di Luigi Comencini e con i bellissimi versi di Maria Modesti, interpretando i sentimenti di mamma Angela e di Annarita, della sua famiglia e della comunità monastica di San Miniato al Monte, esprimo la nostra memore gratitudine alle tantissime persone che in tanti diversi modi ci hanno manifestato la loro affettuosa e consolante vicinanza nei duri giorni del distacco dal nostro amato Osvaldo. A due settimane dalla celebrazione del funerale qui in Basilica, la trascrizione dell’omelia è un piccolo modo per condividere ancora la luce di speranza pasquale che nel cuore del Natale l’obbedienza del babbo al mistero della vita ha generosamente profuso nel cuore di tutti noi. Il Signore lo custodisca nella Sua pace e benedica le Vostre vite.

In Cristo, padre Bernardo

Firenze, 12 gennaio 2019

29 dicembre 2018 – Omelia per il funerale di Osvaldo

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo Gesù alzati gli occhi al cielo pregò dicendo:

“Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

Omelia:

Fratelli e sorelle, sono profondamente grato al Signore perché, grazie al mio babbo e al suo esodo ho nel giro di poche ore la duplice grazia di celebrare un Natale pasquale e una Pasqua natalizia, se così posso dire.

Un Natale pasquale perché -se mi è concesso un piccolo ricordo personale- effettivamente dalla sua grinta, come giustamente l’ha chiamata mia sorella, dal suo provvidenziale e misterioso attaccamento alla vita, ho ricevuto l’energia spirituale necessaria perché la grande celebrazione della Natività del Signore fosse per me, e per tutti coloro che hanno eletto questo luogo per l’incontro col mistero mediante la liturgia, fosse un tempo di rigenerazione della propria fede, del proprio amore, della propria speranza; non certo per alcun mio merito, ma proprio perché dal cuore del mio babbo, consapevole di essere alla fine, ma già inabitato da una prospettiva vorrei dire finalmente filiale, la stessa con la quale si è attaccato alla mia croce pettorale, ho rinnovato la mia esperienza di essere figlio, e di essere chiamato a testimoniare un orizzonte di amore, fratelli e sorelle, che vorrei con grande forza condividere con ciascuno di voi.

La percezione, come si diceva all’inizio, che la nostra vita ha un’origine di qualità, ha un compimento di qualità, una qualità che la nostra esistenza riesce, certamente in modo non continuo, non scontato, non banale, a intuire, ma il Vangelo ci soccorre e ci ricorda davvero come la nostra fede non si radichi, né in un generico sentimento, desiderio, facilmente esposto a stemperarsi in una sorta di illusione, di sopravvivenza -che poi, genericamente parlando, la sopravvivenza è una espressione così ambigua e incolore da dover essere quasi temuta- l’esperienza di cui si parla è l’esperienza di un amore che preesiste a tutta la creazione, ed è l’amore appunto sperimentabile nell’incontro col Signore Gesù: la nostra fede, la nostra salvezza, il nostro amore, si radicano proprio in quell’esperienza direi di amicizia, di comunione, di mistero che è, pur con tutte le sue umane fragilità, l’avventura bellissima, umile e gloriosa della Chiesa, attraverso un intreccio di braccia, un dialogo di parole, un gioco di sguardi, di abbracci, di carezze, di annuncio, di celebrazione, di fiducia, noi riceviamo molti anni dopo, in tutta la sua plastica forza, l’incontro con Gesù, vero Dio e vero uomo.

E a Natale abbiamo celebrato proprio questo, la possibilità di rifondare la nostra idea di umanità partendo dall’incontro col Signore Gesù, dalla sua nascita nella nostra storia che è una campionatura, a pensarci bene minima, di una verità che chiede sguardi e prospettive vertiginose, lo avete ascoltate in Giovanni, l’amore che preesiste a tutta la creazione, questo è il fondamento solido del nostro scoprirci figli, fratelli e sorelle, sentirsi per l’appunto filialmente desiderati, amati generati da un amore paterno che il Signore Gesù, vero Dio e vero uomo, è venuto a trasmetterci, non a parole, ma con la consistenza di una vita deposta proprio per la nostra vita.

Ed ecco qui il sapore pasquale di questa celebrazione, poche ore dopo la Natività del Signore Gesù, cioè l’invito che di fatto Osvaldo dal suo letto di morte ha inevitabilmente posto a ciascuno di noi, per sentirci, proprio nei giorni di Natale, se questa sua, ma di fatto a pensarci bene anche nostra condizione umana, così fatalmente esposta a prima vista ad una degenerazione organica, non abbia invece una sua visitabilità, una sua dignità, una sua desiderabilità che la renda finalmente non solo organicità esposta alla durezza delle inevitabile e comunque provvidenziali leggi biologiche -se non altro per dar posto a nuove generazioni- ma anche a interrogativi e dunque risposte più alte: per chi viviamo, per cosa viviamo, fratelli e sorelle?

Ed è veramente disponibile nel mio quotidiano l’evento pasquale come possibilità di qualificazione del nostro niente, in una prospettiva che restituisca al battito del nostro cuore, alla passione dei nostri sentimenti, alla forza delle nostre intuizioni, alla libertà della nostra creatività, un aggancio forte, una prospettiva alta, si tratta di chiederci in altre parole se il ristretto arco temporale non solo della nostra vicenda biografica, ma direi di tutta la vicenda di questo piccolissimo pianeta, nel vastissimo universo, sia contenuta da qualcosa di ancora più grande, che in qualche maniera risvegli tutta la sua dimensione nello stesso tempo forte e fragile.

Ecco, Gesù Cristo ci illumina ricordandoci che esiste un contenitore, per così dire, di tutta questa nostra avventura umana, di tutto quello che è creato e creabile, ed è l’amore del Padre che il Signore Gesù è venuto a consegnare senza mediazione alcuna e anzitutto, lo dico con forza, nella luce del Natale, con la immediatezza dei sensi, del corpo: l’amore del Padre, perché abbracci le nostre vite e le abbracci in questa dimensione cosmica, preesistente a tutta la creazione quindi, molto oltre il pur vastissimo cielo, ma anche in quella intimità dei nostri cuori commossi e sollevati dall’intuizione che tanti anni fa, per invito di un amico ha rimesso in cammino il mio angusto cuore in un percorso di ricerca del Signore, e cioè un amore di Dio così grande da accettare di farsi piccolo e di scegliere il piccolo cuore di Osvaldo, di Bernardo, di tutti noi, come tabernacolo prezioso a restituirci così la consapevolezza dell’abitabilità di quel mistero infinitamente sconvolgente che, proprio per questo, accetta la libertà di contrarsi per illuminare dal di dentro tutto di noi.

Lo avete ascoltato: “l’amore con il quale tu mi hai amato sia in essi e io in loro”

Fratelli e sorelle, questa prospettiva restituisca, vorrei dire una parola forse inadeguata, ma la voglio dire anzitutto alla mia mamma, alla mia sorella, al mio amato cognato, alla mia adorata nipote, a tutti voi che in così grande numero e intensa partecipazione ci commuovete -saluto anche in modo tutto particolare e con grande affetto e gratitudine il Vescovo Gastone, l’Abate Generale Diego, Don Basilio, Don Nedo e tutti coloro che sono uniti a questa celebrazione- e cioè fratelli e sorelle: serenità.

Ho chiesto al Signore -fammi fare un funerale sereno del babbo, perché altrimenti come mi aveva già detto la Vigilia di Natale -Stefano lo sa- quando mi è partita una raffica di baci all’attaccatura dei capelli: Bernardo, Francesco, tu c’hai cinquant’anni!

Quindi gli dovevo e gli devo un funerale sereno, ma lo devo soprattutto all’inquietudine che spacca un po’ il nostro cuore di fronte al mistero della morte, ma questo grande amore che contiene il mistero della vita deve restituire serenità ai nostri cuori nella consapevolezza, natalizia e pasquale al contempo, che la nostra condizione umana, pur così fragile è visitabile, desiderabile e amabile nell’orizzonte dell’amore trinitario. Amen!

 

 

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