«Separare per ricreare». Omelie del padre abate Bernardo per la XX Domenica del Tempo Ordinario
18 agosto 2019 – XX domenica del Tempo Ordinario
Dal libro del profeta Geremìa
In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Omelia:
Fratelli e sorelle, il fuoco che porta il Signore Gesù è quello che dovremmo avere l’umiltà e il coraggio di invocare sempre, come esperienza che ci riporta in definitiva a quel sussulto di gioia con il quale Giovanni il Battista ha ricevuto, nella nuova arca che è Maria, il tracciato di una nuova alleanza, non più incisa su pietra refrattaria, non più trascritta su inchiostro sbiadito ma con quel sangue che scorre con altrettanto fuoco nelle vene del Signore Gesù. Un’esperienza sussultante, un’esperienza che ci riporta ad un inizio di storia, di vita, di possibilità inedite per la nostra stessa storia, per la nostra stessa condizione umana, riconoscendo in Cristo autenticamente una forza motrice, capace di incendiare la storia perché sua effettiva ricapitolazione, direi superamento fratelli e sorelle, non solo in una prospettiva cosmica come è raffigurato nell’abside, dove gli artisti memori delle profonde parole di Paolo ai Colossesi e agli Efesini svolgono visivamente per i nostri occhi l’evolversi del mistero che si fa storia nella storia, ma anche nelle nostre interiori vicende dove dovremmo sentire la forza divampante di un’energia nuova alla quale più ormai nessuno crede, lasciatemelo quasi dire, più ormai nessuno crede, vivendo il Natale, la Pasqua come memoria teologica che spolveriamo, nel migliore dei casi andando a Messa come obbligati da un rito che la buona vocazione, i buoni costumi, le buone usanze impongono, per sentirci con la coscienza un poco più a posto.
E invece no, fratelli e sorelle, qui Cristo è tizzone ardente, possibilità reale con cui incendiare i nostri cuori, divampare nei nostri pensieri e conseguentemente dilatare i nostri cuori, lo si diceva poche ore fa contemplando il mistero di quel corpo volatile che è il corpo della Vergine Maria assunta in cielo, una sorta, lasciatemi usare questa immagine un pò forte, di mongolfiera vivente che segnala questa possibilità di ricapitolazione dall’alto, del nostro modo di guardarci, pensarci, misurarci e da quelle altezze assimilare la nostra pupilla a quella di Giovanni che nell’Apocalisse è in grado, nei fumi dell’incenso e con la potenza ardente dello Spirito Santo, di leggere la realtà tutta intera, la storia tutta intera, decifrando questi nostri tempi, avendo il coraggio di attraversarli, di interrogarli, di lasciarsi inquietare da tutto quello che vediamo senza cedere alla tentazione dell’indifferenza o senza assegnare ai cosiddetti maestri del pensiero o ai giornalisti di grido di qualsiasi colore l’obbligo che il Signore affida alla nostra coscienza: esaminare, discernere, direi patire la storia, fratelli e sorelle, patire la storia, scegliendo come elemento di discernimento e di trascrizione di una storia diversa, non una comoda penna stilografica, ma al contrario il vivo, rosso, inchiostro del sangue di Cristo. Lettera agli Ebrei riferisce a Cristo quanto di fatto appare come una vocazione che nel Battesimo è proposta a ciascuno di noi, già prefigurata dalla vicenda autenticamente battesimale di Geremia, questa sua immersione nel pozzo, nella fanghiglia, fratelli e sorelle, come non vederci una allusione, alla maniera dei Padri della Chiesa, dell’immersione nel Battesimo di Cristo per una emersione che segnala la vittoria di quella parola che annunzia possibile l’impossibile come fa, ogni notte di Pasqua colui che emerge da quell’ambone, da quel pulpito, esattamente come Geremia, per proclamare, squarciando le tenebre di quella veglia, che la luce, il fuoco vince sulle tenebre. Tiriamo da un capo all’altro dei misteri liturgici questi fili per cogliere in queste parole, che hanno il fuoco come elemento simbolico predominante, una lente interpretativa della nostra condizione umana e lo ripeto della storia della creazione, in fondo pensateci, cosa inizia a creare Dio onnipotente per l’appunto separando, dividendo -che è l’altra fortissima parola in bocca a Gesù in questo Vangelo: la luce, quindi tutto ciò che restituisce a ciascuno di noi, attraverso l’esercizio dei nostri sensi, la consapevolezza di un mondo abitato e abitabile, sottratto, separato dalle tenebre e via di seguito.
Il Signore crea dividendo fratelli e sorelle, e oggi il Signore Gesù ci parla di divisione necessaria per affermare il riverbero di una luce che genera vitalità, una vitalità amorosa e come tale capace di perdere sè stessa pur di ricevere nuova vita, secondo il codice pasquale fratelli e sorelle, il codice pasquale, il codice battesimale che noi dimentichiamo perché anche il Battesimo noi siamo capaci di farlo diventare un bagnetto di abluzione dei nostri bambini, è scomodo dire ai genitori che in quel bagno c’è l’immersione nella morte di Cristo, senza sconti, per tre volte quanti i giorni di sepoltura.
Il cristianesimo fratelli e sorelle, se non indurisce la nostra faccia, se non rapprende il nostro sangue, se non palpita nei nostri cuori, diventa, come ci siamo detti per l’assunzione, un codice di buona educazione, ma non è questo che il Signore vuole, il Signore intende restituire l’uomo a sé stesso con una inevitabile decostruzione delle nostre presunte certezze.
Lasciamoci fratelli e sorelle, destrutturare da questa parola, una parola che arriva fino -ce lo dice la Lettera egli Ebrei- alle giunture, alle separazioni più ardue della presunta compagine corporea personale e psicologica, pur di farci vivere una esperienza di ricostruzione, di rigenerazione.
Obbediamo a questa dinamica forte della parola di Dio, non cerchiamoci a tutti i costi la rassicurazione, non facciamo in altre parole della fede una tecnica magica con la quale piegare Dio alle nostre esigenze, questo non fa Geremia, per questo suona come una voce sinistra, una voce che porta sfortuna alle truppe di Israele, una voce per questo da eliminare, perché Geremia parla con uno sguardo lucido, di realismo si direbbe evangelico, che non trucca la realtà, non trucca i tempi, ma nello stesso tempo non ne resta schiavo e le attraversa con la lama pasquale fino a viverlo in quella immersione nella fanghiglia e la stessa cosa vive, in modo ovviamente assolutamente unico, il Signore Gesù, ed è Lui che ci chiede di obbedire a questa dinamica.
Ci proviamo fratelli e sorelle, non è facile, non è facile essere capaci di guardare i tempi, viverli, patirli, fratelli e sorelle, oggi effettivamente tutto cospira perché il nostro modo di abitare la realtà sia sensorialmente mediato da tutta una strumentazione che effettivamente avvicina, ma nello stesso modo attenua, nella mediazione protegge i nostri cuori, soprattutto addormenta le nostre coscienza.
Noi invece vogliamo andarci incontro alla realtà, e farlo usando la parola di Dio, non come arma con la quale affermare noi stessi, ma al contrario come criterio, discernimento che mette in crisi noi stessi, che ci toglie la parola, rallenta il giudizio, mette in crisi le prospettive, ci fa ponderare sulle soluzioni, restituisce in una parola l’uomo alla sua creaturalità, pone in crisi anche tutte quelle presunte alleanze fondate sul sangue, sull’ideologia, sulle convinzioni, sui colori, fratelli e sorelle, che ormai sembrano essere gli unici protagonisti di una storia inevitabilmente fatta sulla sopraffazione altrui, sulla ridicolizzazione altrui, sul giudizio altrui, e questo naturalmente implica trasformare la nostra presunta idea in una roccaforte dentro la quale solo si è al sicuro, convinti di avere l’unica ragione disponibile.
Il Signore Gesù arriva con la sua parola e come avete ascoltato nell’esperienza familiare che è il simbolo di tutto questo, in forza della consanguineità, arriva davvero a tagliare, a recidere perché scorra un altro sangue, ben più vitale e prezioso della pur importante consanguineità, è il sangue della sua redenzione, il sangue del carissimo prezzo col quale siamo stati tolti, fratelli e sorelle, ricomprati, liberati dalle signorie di questo mondo, dalle potenze di questo mondo
Per questo la nostra testimonianza dovrebbe avere il sapore di una liberazione, di una sovversione, dovrebbe sempre misurare con profondo discernimento, senza paura, quei rischi che corre anche l’esperienza della fede di trasformarsi in religione chiusa in sé stessa, con la pretesa di avere ragione, trasformando il Vangelo in ideologia, la nostra sequela in cultura, la nostra appartenenza in corporazione, e anche su questo la parola scomoda del Vangelo oggi ci mette in crisi, deve metterci in crisi, fratelli e sorelle, siamo come lievito, come seme, sparsi nel campo della storia, destinati quindi a conoscere una vera e propria dispersione -che non a caso è l’etimologia della parola parrocchia, che al contrario nelle nostre orecchie il più delle volte suona come esattamente il contrario.
Ecco allora fratelli e sorelle, che il vento di luce del fuoco del Signore divampi nei nostri cuori, ci metta un po’ in salutare crisi e renda i nostri cuori obbedienti al vento dello Spirito, senza timore di essere sparsi nella storia, perché è dentro il mistero del seme tutta quell’energia vitale che la sapienza di Dio riesce a racchiudere nel frammento, perché in quel frammento risplenda il tutto del mistero salvifico di quel Dio che, non a caso, inizia la nostra storia nel segno del fuoco-luce e della divisione, per insegnarci l’autentica comunione. Amen!
Omelia Vespertina
Fratelli e sorelle, non conosce sosta estiva questo laboratorio di fede, di speranza e di amore nel quale lo Spirito Santo ci invita a dedicare un’esperienza qualificante della nostra intelligenza, della nostra cordialità, riconoscendo nella domenica un tempo di qualità tutta speciale, irriducibile da un lato al semplice lavoro e dall’altro a un semplice riposo, è il tempo peculiare della festa, esperienza di liberazione, ma anche come ci insegna il gioco tipico della festa, un momento in cui sentiamo di dover obbedire ad una regola del gioco, perché il nostro cuore possa donarsi e celebrare una vera e propria liberazione nel segno di un divertimento con il suo significato più bello, più profondo, quello che riporta l’uomo e la donna a loro stessi, in una dimensione di gratuità, di consapevolezza, ma anche fratelli e sorelle, di sapiente educazione con la quale lo Spirito, proprio attraverso la specialità della festa, restituisce ciascuno di noi alle esigenze del riposo e al dovere del lavoro.
Sentiamo dunque la grazia di una liturgia celebrata anche in un caldo pomeriggio di estate, quando molti di voi sono magari completamente –e giustamente- distratti dal tempo della villeggiatura ma, sentiamo nello stesso tempo, l’irrinunciabile qualità di questo tempo che il Signore ci dona per donarsi a ciascuno di noi proprio attraverso queste regole che fanno della liturgia un momento serio e nello stesso tempo liberante, un momento in cui, attraverso un codice che ci vuole ora in piedi, ora seduti, ora a parlare, ora ad ascoltare, ora in fila per consumare il corpo del Signore, una modalità che restituisce dignità a tutte le diverse gamme del nostro agire quotidiano, di ogni giorno della settimana, riscoprendo qui la radice del nostro cibarci, del nostro ascoltare, del nostro parlare, non come semplice ispirazione esteriore, ma come vera e propria ragione interiore di tutto quello che fa della nostra condizione umana una oggettiva esperienza di mistero, di dignità, di bellezza.
E’ una vocazione che ci riporta, come è proprio di ogni domenica e della sua vera missione all’interno della settimana, all’inizio, fratelli e sorelle, così come all’inizio ci riporta questa forte parola del Signore che a prima vista sconcerta e quasi scandalizza e ferisce, ma io vorrei soltanto farvi intuire come attraverso l’immagine del fuoco il Vangelo ci riporta proprio a ciò che anzitutto crea Dio all’inizio della storia. Cosa crea Dio all’inizio della creazione se non la luce? E come fa? Come procede Dio per crearla se non proprio dividendo la luce dall’oscurità, l’asciutto dal bagnato, generando così uno spazio e un tempo abitabile per la nostra avventura umana.
Questa è la parola del Signore, questo è il fuoco del Signore, un fuoco che riporta la nostra stanca, sciatta, distratta, mortificata realtà, così disillusa, ad una fiamma autenticamente purificatrice che rimette l’orologio all’inizio di ogni inizio, donandoci una possibilità, per l’appunto pasquale, della nostra vita, fratelli e sorelle.
Non a caso il Signore accorpa a questa immagine di fuoco che divide, del fuoco dunque che decostruisce le nostre presuntuose costruzioni, l’associa a un’altra potentissima immagine di esperienza pasquale, quella del Battesimo, lo avete ascoltato con grande chiarezza, un Battesimo nel quale siamo battezzati e come sono angosciati finchè non sia compiuto, dove per Battesimo qui si intende naturalmente tutto il mistero pasquale, cioè l’evento morte e risurrezione del Signore Gesù già evocato dalla Lettera agli Ebrei, il Signore che si sottopone alla croce disprezzando il disonore per arrivare a sedere alla destra del trono di Dio, vedete che è un itinerario dove è di fatto inclusa l’esperienza del fallimento, della decostruzione dello stesso Signore Gesù, cioè in altre parole fratelli e sorelle, oggi come poche altre volte la parola di Dio sa di Pasqua, ci offre la prospettiva pasquale in tutta la sua interezza nella quale, per riprendere ancora una volta terminologie evangeliche, l’uomo dovrebbe mostrare la sua disponibilità a perdersi per lasciarsi ritrovare dal Signore, una sorta di dialettica, fratelli e sorelle, funzionale ad una esperienza di rigenerazione della nostra vita, e sottolineo volentieri la parola rigenerazione, la parola novità, la parola Battesimo, perché oggi spesso e volentieri, nel paesaggio culturale che ci circonda, ben difficilmente diamo ascolto alla possibilità, che peraltro quasi nessuno incarna, di sentire la nostra storia e la nostra vita esposta ad una possibilità di rigenerazione.
Il Signore Gesù invece oggi ci offre questa possibilità e ce la offre con una parola forte, incandescente, è evidente che una rigenerazione così profondamente innervata di Vangelo, di radicalità, di amore, non può essere –come dire- un restauro di facciata, è chiaro che il Signore non parla soltanto di luce, ma di fuoco che genera luce, perché è dal di dentro che sente la grande missione di ricostruire, sempre dal di dentro, la nostra condizione umana, in quella modalità pasquale per la quale il chicco caduto se non muore resta solo, se invece muore, marcisce, genera la vita, per riportare queste immagini forti delle divisioni nel loro orizzonte pasquale, in una prospettiva che ancora una volta tocca una delle esperienze umane nelle quali generalmente si può consolidare un senso di appartenenza, di relazione, di reciprocità che però, di fronte all’urgenza della parola di Dio e alla sua portata di radicale rinnovamento, anche la pur fondamentale consanguineità, cede di fronte alla forza dirompente e infuocata del sangue del Signore Gesù.
Una immagine che non è mia, certamente non è mia, è la Lettera agli Ebrei: con grande chiarezza l’autore dice, non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Vedete come il testo biblico, fratelli e sorelle, ha con sé tutta la grande concretezza semitica della carne, della corporeità, di quel realismo lontanissimo dalle nostre astrazioni metafisiche di impronta platonica, qui la vita in Cristo è lotta di sangue, fratelli e sorelle, e non a caso noi per alimentare questa lotta contro le forze potenti del male non ci limitiamo a bei discorsi o alla lettura di sapienti manuali etici, abbiamo bisogno del corpo e del sangue del Signore Gesù che va accolto come se fosse, e di fatto è, fuoco per le nostre vene, sennò il nostro cristianesimo è una esperienza addomesticata di una morale che rivernicia e smalta la nostra faticosa quotidianità, ma non inserisce tutto di noi in questa istanza battesimale, che è un’istanza esistenziale, di cui è paradigma la vicenda di Geremia, colui che non intende addomesticare la parola del Signore, ma ne proclama con forza tutta la responsabilizzante spigolosità, dicendo al re di turno parole che naturalmente il re non voleva sentirsi dire, scrutando i tempi e i suoi segni senza incipriarli, ma leggendoli in una modalità che non è né minaccia né tinteggiatura romantica, ma traendo dalla realtà della storia le modalità con cui un uomo e una donna, alimentati dalla parola del Signore, devono e possono attraversare i tempi, squarciandoli in quella modalità di divisione evangelica che il Signore ci raccomanda e ci insegna.
L’esito è ancora una volta un esito battesimale, Geremia viene preso e immerso, battesimo in greco vuol dire immergere, in una cisterna fangosa da cui viene fatto emergere da qualche buona coscienza presente nella corte del re. Come non vedervi fratelli e sorelle una mirabile allusione alla vicenda pasquale del Signore Gesù, ma anche a quella vicenda che il Signore di fatto propone, giorno dopo giorno, al nostro cuore posto anch’esso ad un eventuale gioia –dice il testo della Lettera agli Ebrei- noi fratelli e sorelle, non ci accontentiamo dell’epidermide sentimentale della gioia, ma la vogliamo attraversare fino in fondo e per farlo dobbiamo essere –lo ripeto- disponibili a questo percorso pasquale, lasciarci decostruire dalla spada della parola del Signore, lasciarci vaccinare dal fuoco divampante della parola del Signore e sperare, fratelli e sorelle, sperare, in quella risurrezione che comporta l’irruzione di quello Spirito che risolleva le nostre vite, le configura verticalmente e offre alla nostra intelligenza e al nostro cuore una parola di salvezza, di comunione e di autentica, disinteressata speranza per il nostro prossimo.
Amen!
Trascrizione a cura di Stefania Ruggiero e Grazia Collini