«Quale bellezza?». Omelia del padre abate Bernardo per la XXVI Domenica del Tempo Ordinario
29 settembre 2019 – XXVI domenica del Tempo Ordinario
Dal libro del profeta Amos
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Omelia:
Fratelli e sorelle, oggi attorno alla parola bellezza si incontrano due paradigmi, uno incarnato dal Signore Gesù in modo tutto speciale, evocato nel suo dialogo con Pilato e l’altro la bellezza che brilla nella professione di fede dell’interlocutore di Paolo, Timoteo la cui bella professione di fede è ricordata dall’Apostolo come una sorta di luminoso viatico verso la vita eterna, alla quale egli è stato chiamato.
E credo si debba sottolineare questa dimensione estetica, non certo per ridurre l’adesione al Vangelo di Cristo a un formalismo, a uno stile, a un decoro, a un ornato, ma certamente perché la categoria della bellezza persuade forse questi tempi, così poco sensibili alla assolutezza della giustizia, la categoria della bellezza potrebbe forse restituirci una consapevolezza forte di quella dinamica di conversione che evidentemente assomiglia ad un incessante opera di restauro che renda la nostra vita più aderente al nitore, alla limpidezza, allo splendore del Signore Gesù il quale è colto proprio in questo momento drammatico di dialogo con Pilato, momento che peraltro lo avvicina impietosamente a quella esperienza che Agostino riassume in uno straordinario scambio, anche retorico per il quale effettivamente Gesù diventa deforme, diventa brutto, sfigurato come è dalle percosse che subisce prima e durante la sua salita sulla croce, perché la sua deformitas diventi invece la nostra deiformitas ovvero la possibilità donataci con cui conformare la nostra vita al suo splendore.
Questa sfigurazione del Signore Gesù sulla croce in realtà ha una bellezza che ci lascia intuire come questa categoria evocata oggi da Paolo e che vogliamo condividere con qualche pensiero insieme, è certamente una categoria che riporta ognuno di noi dai sensi, cioè da una esperienza sensibile, potenzialmente estetizzante, alle ragioni della bellezza, a quello che si coglie attraverso i sensi per giungere ad una idea di bellezza, fratelli e sorelle, un pensiero di e sulla bellezza, e mi piace tantissimo sottolineare come di tutta la bellezza della vicenda del Signore Gesù, Paolo ci inviti a spostare la nostra attenzione in questo momento fortissimo che è il dialogo con Pilato, un tema che ci riporta anche a domenica scorsa, quando tentavamo di evocare con la raccomandazione paolina di una preghiera che permetta ovunque una libertà del nostro cuore che abbia così la capacità di verticalizzare le nostre attenzioni a quel Dio che nessun potere umano può distorcere, deformare, allontanare dalla insopprimibile esigenza di assoluto del nostro cuore, in una sorta, si diceva, di internazionale dell’amore, della fede, della preghiera, della pace.
Una internazionale che valichi le contingenti autorità di questo mondo, le loro presunzioni, i loro compromessi, per affermare una volta di più questa inalienabile tensione, prima ancora che diritto, questa tensione dell’uomo alla libertà, alla liberazione, dunque alla verticalizzazione delle sue energie interiori. E questo confronto incontro scontro col potere noi lo abbiamo già conosciuto nella vicenda dialogica del Signore Gesù con Pilato, e credo sia importante domandarsi dove sia la bellezza in quel momento in realtà assai drammatico, tutt’altro che bello, anzi, lo abbiamo già lì, in questa sorta di consegna deresponsabilizzante che conduce il corpo del Signore Gesù, dalle mani che si lavano di Pilato, dall’autorità sacerdotale, dal potere presuntuosamente vicariale di Erode, fino a condurre questo corpo a quella bruttezza e che tuttavia assume un percorso che per Paolo è bello, fratelli e sorelle, è bellezza, è splendore, si direbbe in un altro significato di quella parola così oggi insistentemente evocata dal Vangelo, è ricchezza.
Dove sta la ricchezza del Signore Gesù dialogando con Pilato, se non evidentemente nel riconoscersi povero, disarmato, confidente, ambasciatore di una regalità che giunge dall’alto, una regalità altrimenti inaccessibile, per usare ancora l’immagine di Paolo, una regalità che inevitabilmente mette fra parentesi, a favore della vera verità, ricordatevi l’interrogativo di Pilato mette fra parentesi le nostre presuntuose verità, spogliandole della loro arroganza, della loro certezza, della loro assicurazione, e restituendo alla verità tutto il suo contorno e la sua sostanza racchiusa nella persona del Signore Gesù, in questo suo mostrarci la qualità della vera libertà dell’uomo, apparentemente remissiva, apparentemente fatta di una obbedienza passiva, che in realtà fa irrompere, in questo consegnarsi, la regalità del Padre celeste, la sua sovranità, altra parola paolina oggi, la sua ricchezza, la sua forza, in una parola il suo amore, che ci mette a nudo, fratelli e sorelle, mette a nudo Pilato, mette a nudo Erode, mette a nudo la casta sacerdotale, mette a nudo noi.
Ecco, io credo che sia importante forse inserire in questa fortissima tensione, per lo meno tale io la sento, di una bellezza parodossale evidentemente, adesso capite che è come il modello cristico della bellezza, il modello che ha, non a caso, generato in questa nostra tradizione culturale impregnata di Vangelo, l’espressionismo, l’impressionismo, cioè tutti quei codici artistici che non si accontentano della verità apparentemente reale, ne sfocano la percezione, ne acuiscono la tensione e la stessa ritrattistica ci offre della condizione umana, non un formale e astratto paradigma, si direbbe vitruviano, o attico, o in generale classico, ci offre la distorsione come vera verità della condizione umana perché, fratelli e sorelle, essere innamorati, veramente, impoverisce, squilibra, deforma, e Gesù è questa vicenda qua, di autentica liberazione dell’amore da noi stessi, da questo ripiegarsi su noi stessi di cui è icona quello che il profeta ci ha fatto balenare all’inizio della liturgia della parola, questo insopportabile untuoso narciso che è in noi, che si unge, si specchia, beve in larghe coppe, attenzione, mangia agnelli e vitelli.
Cosa significa mangiare agnelli e vitelli se non dire che a me di chi viene dopo di me non me ne importa niente, io mangio le primizie, chi viene dopo di me si arrangia!
Capite cosa ci sta dicendo il profeta? La pregnanza del tempo presente se lo intendiamo al modo del ricco Epulone, risucchiato per il nostro benessere, o al contrario fare del tempo una trama di relazioni sofferte, deformate, impoverite perché pensare a chi viene dopo di noi necessariamente impoverisce le potenzialità del mio presente, ma arricchisce di senso, di significato, non solo chi verrà dopo di me che forse qualcosa trova, ma dilata la mia percezione del tempo, la mia percezione delle risorse, la mia percezione della missione che è assegnata alla mia vita, che non può avvitarsi in sé stessa, pena appunto il ricadere in questa forma del narciso, antitetica alla bellezza che il Signore Gesù nella sua povera, ma autentica regalità, mostra, svela a Pilato il quale, come il ricco, pur avendo la parola di Mosè, la parola dei profeti vivente, presente, compiuta, adempiuta non ascolta, non ascolta il sogno della moglie, non ascolta la parola che è fatta carne, e va verso il suo destino, come il ricco, e come, fratelli e sorelle, potenzialmente anche ciascuno di noi, se non ascolta.
Quindi è un Vangelo che ci scuote, va direi anche al profondo della nostra emotività, della nostra passionalità, il Vangelo ci chiede oggi certamente di sondare il nostro cuore, effettivamente è un trapano, umanamente commovente, lasciatemelo dire, questo ricco che finalmente inizia a pensare oltre e altro da sé stesso, uscendo dal paradigma narcisistico, almeno ai fratelli arriva, al clan arriva, è già qualcosa, ma è troppo tardi fratelli e sorelle, troppo tardi, e qui il Vangelo è chiarissimo, per questo davvero il tema ricchezza e povertà, tanto per cambiare, restando nell’orizzonte di una rivelazione di un Dio della storia, si gioca sull’asse del tempo e, lo ripeto, fare del tempo presente ricchezza per il tempo futuro, significa riconoscere la necessità di far nostra una povertà, una squalificazione, un depauperamento, una decostruzione.
Gesù vive questo nel mistero pasquale, fratelli e sorelle, quando si alza sulla storia una meridiana mai vista prima, la croce, che non a caso fa eclissare il sole, il tempo si ferma, tutto precipita nell’oscurità, pensateci, queste sono immagini non semplicemente poetiche, narrative e descrittive, c’è una pregnanza simbolica chiarissima nel Vangelo, ma da quell’evento in cui il tempo s’affloscia su sé stesso perché non abbiamo ascoltato Mosè, capito, lo crocifiggiamo per quello, perché non abbiamo ascoltato Mosè, non abbiamo riconosciuto Lazzaro, non abbiamo riconosciuto Gesù, lo affidiamo alla lingua dei cani il povero.
Questo è il grande rischio di chiuderci in una categoria di bellezza che cura sé stessa nella sua esteriorità smaltata e vorrei che si comprendesse come lo sforzo di decifrare questa parola ci porta oltre, io credo, un semplice schema importante ma inadeguato per vivere il Vangelo, che è quello della morale, non basta dire etica e estetica, certo è evidente che la nostra coscienza, ed è già molto, si deve risvegliare e inaugurare percorsi di condivisione, ma qui ci viene data una sapienza che attraverso il paradigma della ricchezza, della povertà, della bellezza, della sfigurazione umana, ci offre una sapienza a tutto tondo sul senso della vita, ci rende accessibile l’inaccessibile, questa è la grande ricchezza che ci fa miliardari di speranza e nonostante il fatto che siamo miliardari di speranza, fratelli e sorelle, viviamo una fede di pochi spiccioli, di cortissimo investimento, di rassegnata inflazione.
Ecco che lo Spirito Santo davvero ancora una volta, prima di pensare -lasciatemelo dire correndo il rischio di essere frainteso- alle povertà altrui ci ridesti e ci faccia scoprire quante volte la nostra presuntuosa ricchezza, regalità e bellezza è leccata dai cani, senza che ce ne accorgiamo, nella persuasione, a furia di ungerci, di essere narcisi così splendenti da non avere più bisogno nemmeno della grazia e del perdono di Dio. Amen!
Trascrizione a cura di Grazia Collini
L’immagine: Francis Bacon, Fragment of a crucifixion (1950)