«Per una corporeità volatile». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Assunzione
15 agosto 2019 – Assunzione della Beata Vergine Maria
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza.
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.
Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.
Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito.
Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo».
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Omelia:
Fratelli e sorelle oggi possiamo contemplare una duplice ascensione della Beata Vergine Maria, una nel segno della sollecitudine, della fatica, del servizio, questo suo salire la regione montuosa dove vive la sua parente Elisabetta segnala l’intrepida obbedienza, ascolto, disponibilità, plasmabilità del cuore della beata Vergine Maria che, pur consapevole della sua gravidanza, sente di potersi e doversi mettere in un disagevole cammino ascensionale segnato dalla fatica, ma anche dalla responsabilità e soprattutto dalla gioia del servizio verso i bisogni di una donna anziana, Elisabetta, anch’essa misteriosamente gravida. E poi naturalmente l’ascensione che contempliamo come prodigio, lo si diceva all’inizio di questa celebrazione, che permette al suo corpo di vincere la forza di gravità, di sperimentarsi in una misteriosa e prodigiosa volatività mediante il quale essa è sollevata verso l’alto, un corpo assopito alla fine della sua esistenza terrena, ma risparmiato dallo scandalo della morte.
Fratelli e sorelle abbiamo materiale sufficiente, per così dire, per riscoprire questa vocazione verticale della nostra vita, noi che siamo ormai rassegnati e tentati di vivere una orizzontalità senza qualità, indisponibile ad un senso forte di responsabilità, di cura, di custodia che spinga il nostro sguardo oltre i meri interessi di quello che Francesco Guicciardini qualificava come il ristretto particulare di ogni singola individualità. In questo salire di Maria sul crinale della montagna vediamo cosa comporti l’assumere la fatica della salita, un crinale che ci permette visioni più ampie, crinali diversi, articolati, e anche la possibilità dall’alto di scrutare, non solo l’immediato bisogno di chi mi chiama ma anche, fratelli e sorelle, una visione prospettica della storia, autentico spunto pasquale nel cuore di Maria che le permette, come abbiamo ascoltato e proclamato, fratelli e sorelle, di celebrare nel Magnificat un repertorio meraviglioso di beatitudini dal suo punto di vista, quello dell’altezza verticale di ogni amore terreno che si fonde, si lascia plasmare e ispirare dall’amore divino, una lettura della storia come già tutta compiuta in un orizzonte di amore di giustizia e di pace, secondo il quale, e per il quale, l’amore di Dio rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di bene gli affamati, rimanda i ricchi a mani vuote.
Questo è già cantato come accaduto da Maria quando in realtà è il grande travaglio, la grande fatica, la grande salita del nostro vivere e della nostra storia. E Maria lo canta come già compiuto, non perché immersa in fumi stupefacenti di incensi che costruiscano intorno ai suoi occhi e al suo cuore delle pareti profumate ma deresponsabilizzanti di una astratta spiritualità in fuga dalla storia. No, Maria si permette di cantare queste cose già compiute perché la fatica della storia è nel suo grembo, è nel suo cuore, è il corpo stesso del Signore Gesù destinato all’evento pasquale, Croce e Resurrezione, a collocare la sua persona in una dimensione nello stesso tempo dentro e oltre la storia, terrena e celeste, umanissima e divinissima, Maria in questa luce è un crinale prodigioso fratelli e sorelle, ma non astratto , anzi, offerto non ad una semplice esteriore imitazione da parte nostra, ma al contrario. Noi assunti dalla assunzione di Maria, noi partecipi di questo mistero di rifondazione della condizione umana che si celebra in Maria.
Quale grande vessillo della libertà e della liberazione che il Vangelo, Cristo e la potenza del suo Spirito attua nella nostra condizione umana, fratelli e sorelle, lasciatemelo dire con una battuta, altro che la Marianna della rivoluzione francese! Perché si parla di libertà, di liberazione? Pensateci, solo e soltanto il mistero della Immacolata Concezione con il quale il Signore rigenera la stirpe umana, sganciandola dalla legge del peccato, dalla legge della successione biologica, dalla legge della successione dei minuti e propone in Maria una capostipite di grazia e di luce per la nostra condizione umana, finalmente protetta dalla membrana della grazia, impermeabile al peccato.
E ancora fratelli e sorelle, la libertà di una donna che si pone in totale autonomia rispetto a quella rassegnazione incredula e idolatrica di Israele, ormai indisponibile a lasciarsi provocare dalla parola profetica che invece Maria non cessa di scrutare, perché la libertà del profeta si insedi nel cuore della Beata Vergine Maria come libertà di obbedienza e di ritenere in Cristo possibile l’impossibile.
Questa è una grande rivoluzione di Maria, ritenere possibile l’impossibile vincendo quel suo turbamento iniziale: Come può accadere questo?
E tuttavia cede all’amore, cede al prodigio, cede all’impossibile perché questa donna si è addestrata, fratelli e sorelle, a rimisurare se stessa, la storia e gli altri col metodo della parola di Dio, della profezia, dei grandi richiami con cui il Signore non si stanca di ricordare a Israele di essere il suo popolo prediletto con il quale Egli desidera fare l’amore, perché è il suo sposo il popolo di Israele, sposo del Signore.
Ci rendiamo conto fratelli e sorelle della pregnanza carnosa che è dell’amore che Dio ha per noi!
Vogliamo smettere di trasformare il mistero del Dio di Gesù Cristo in una idea metafisica, nebulosa, lontana dal vissuto di ciascuno di noi? Vogliamo ricordarci che il mistero che oggi contempliamo si gioca nel corpo della Beata Vergine Maria, che diventa passibile di questo infinito che si dilata, perché il suo utero è davvero la sede della Sapienza, del Logos, libero Lui stesso di farsi piccolissimo in quel grembo, per far sconfinare la nostra condizione umana.
Vogliamo stare a questo gioco grandioso che il Signore intende fare per ciascuno di noi? Vogliamo risvegliare questo desiderio di verticalità? E lo possiamo fare appunto attraverso questa assunzione forte del duplice ascendere di Maria. Da un lato la montagna, il segno del servizio, della fatica, la storia è questa responsabilità, la storia è affidata dall’amore di Dio all’intelligenza, alla creatività, alla corresponsabilità di ciascuno di noi perché pure noi come Maria, con uno sguardo audace di fede e di speranza e di amore possiamo ritenere possibile l’impossibile e dunque cantare profeticamente, cioè denunciando l’inquietudine del nostro cuore che non avrà pace per l’appunto, finché non avrà rovesciato i potenti dai troni, finché non verranno innalzati gli umili, finché gli affamati non verranno ricolmati di beni, ma noi generalmente, diciamocelo con grande franchezza, siamo maestri dell’indifferenza! Siamo maestri dell’indifferenza, fratelli e sorelle, ci foderiamo le orecchie. Anche noi che cantiamo questi versi tutte le sere ai vespri, spesso e volentieri li cantiamo come una cantilena che va fatta perché va fatta, dimenticandoci che in queste parole della Beata Vergine Maria c’è una spina, lasciatemelo dire, non è un discorso banalmente politico il mio, non mi decodificate politicamente, decodificatemi esistenzialmente, qui c’è una spina sovversiva fratelli e sorelle, che dobbiamo assumere – grazie a Dio! Perché se il nostro Dio non fosse un Dio eversivo e sovversivo, il corpo di Maria restava a terra. Ma il Signore vince le leggi, sovverte le regole! Questa è la Pasqua fratelli e sorelle. Perché noi non ci vogliamo stare in questa dinamica, imitiamo Maria e proponiamoci come possibile anche per noi l’altra ascesa, quella che non conosce più la ripida erta canina di una montagna, ma al contrario questo percorso misterioso, tutto nella libertà obbediente, che il Signore dona a tutti coloro che provano come lei a riaccordare le misure dei nostri sensi, della nostra intelligenza, della nostra piccola fede a rendere possibile l’impossibile.
L’effetto è questo meraviglioso prodigio che vede questa donna assopirsi, vincere per grazia di Dio la morte ed elevarsi ricordandoci che è per l’altezza la vocazione dell’uomo. Non per questo detrimento, per questa depressione, per questo nostro squalificarci, decomporsi, affogare.
E allora fratelli e sorelle, tutto questo credo ci spinga a ringraziare il Signore di quale altissima prospettiva di fede doni all’intelligenza di noi stessi, non solo del mistero perché veramente credere in Gesù Cristo è sempre questa visione complessiva del mistero di Dio ma anche del mistero dell’uomo. L’uno mai senza l’altro fratelli e sorelle, in Cristo Gesù, e non per sentirci dei superuomini ma semplicemente per riconoscere, come in fondo ci ha fatto intuire l’Apocalisse, che non c’è un centimetro di sangue e di lacrima umana che sia indifferente a questa prospettiva faticosa con la quale Dio, fratelli e sorelle, accetta di lasciarsi accogliere da un potenziale sì di una donna in ascolto, accetta di lasciarsi rinchiudere dalle membra fragili di un grembo umano, accetta di attraversare città e campagne, rischiando di non essere ascoltato, e anzi preso a sassate e gettato da un monte, accetta la sfida di una duplice sentenza dei sacerdoti e del potere romano, accetta di salire sulla croce, senza mai però cedere all’impossibile possibilità di un amore più forte di tutto questo.
E’ quella Pasqua che contemplata quale effetto di grazia nel corpo della Vergine Maria, donna come noi, donna come noi, può finalmente restituire anche alla nostra stanca e indifferente umanità un sussulto come quello che Giovanni ha sentito nel grembo della sua mamma visitata da Maria, un sussulto di gioia che vorrei fosse la scossa per tutti noi per fare non solo del cuore dell’estate, ma del cuore del mondo intero una vera Pasqua di alte speranze. Amen!
Trascrizione a cura di Grazia Collini