«La stella di Venere, la cometa dell’amore». Omelia del padre abate Bernardo per la professione monastica solenne di dom. Colombano Maria e di dom. Fernando Maria nella Solennità dell’Epifania
Lunedì 6 gennaio 2025 Epifania del Signore – Solennità (anno C)
Celebrazione eucaristica delle ore 11:30
Professione monastica solenne di dom. Colombano Maria e di dom. Fernando Maria
Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 60, 1-6 )
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò»
Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 3, 2-3. 5-6)
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2, 1-12)
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele””.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Padre Bernardo: “Figlio carissimo, che cosa chiedi a Dio e alla Sua Santa Chiesa?”.
Dom. Colombano: “Chiedo la misericordia di Dio e il dono di perseverare con maggiore perfezione nella famiglia monastica della Congregazione Benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, impegnandomi a perseverare in essa fino alla morte”.
Tutti i fedeli: “Rendiamo, grazie a Dio”.
Padre Bernardo: “Figlio carissimo, che cosa chiedi a Dio e alla Sua Santa Chiesa?”.
Dom. Fernando: “Chiedo la misericordia di Dio e il dono di perseverare con maggiore perfezione nella famiglia monastica della Congregazione Benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, impegnandomi a perseverare in essa fino alla morte”.
Tutti i fedeli: “Rendiamo, grazie a Dio”.
Omelia di padre Bernardo
Cari fratelli e sorelle, quella stella che era spuntata per avvertire i Magi dell’imminenza di una manifestazione di amore, misteriosamente, scompare a Gerusalemme e straordinariamente torna ad affacciarsi sul cammino di ricerca di questi straordinari personaggi che sono i Magi, per condurli là dove la stella, con la sua luce, si fa parola vivente, parola di carne, segno concreto, simbolo e cerniera fra cielo e terra, finitezza e infinitezza, umanità e divinità.
Ma stamani, cari fratelli e sorelle, la stella, la stella della parola, la stella dell’armonia inscritta nella bellezza della nostra creazione, quando non la sciupiamo e la maltrattiamo, sorge su questa nuova Gerusalemme, che noi siamo, che voi siete, che questo luogo rappresenta, che la vita monastica osa, per tanti versi, pur con innumerevoli fragilità e contraddizioni, anticipare; una Gerusalemme che riceve, per grazia, dall’amore del Padre l’immane compito di essere manifestazione di una luce che rende le nostre povere esistenze niente di meno che tabernacolo della gloria dell’amore di Dio, nella misura in cui i nostri cuori, lasciandosi lacerare dallo Spirito Santo, diventano, prodigiosamente, fosforescenza di grazia, di mistero e, come ci ha avvertito Isaia, dilatazione, una dilatazione della nostra umanità, in tempi assai difficili per essa, ma che tornano ad essere storia di salvezza ed esperienza di provvidenza, nella misura in cui torniamo a ripensare la nostra umanità arricchita, addirittura trasfigurata, da tutto quello che la nascita del bambino Gesù intende conferire a questo nostro corto pensiero, a questa nostra miopia, a questo nostro arroccarci dentro i perimetri di una autodifesa e autolegittimazione che, inevitabilmente, come Erode, deve ricorrere al potere, al potere, per affermare se stesso e condividere con le logiche del potere ciò che diventa autorizzazione al potere, per ingigantire se stesso, e cioè la paura, il timore, la angoscia, la solitudine, la frammentazione, la contrapposizione, tutto quello che, col potere, diventa un cortocircuito dentro il quale la nostra umanità, fulminata, inevitabilmente si incenerisce.
Ma oggi, cari fratelli e sorelle, per grazia e per mistero, accogliendo, con fede, la proposta della stella, arricchita dalla sua esatta decifrazione che accade, per competenza dottrinale, ma non per amore, a Gerusalemme, la stella vi conduce quassù, alla nuova Gerusalemme, dove la competenza è arricchita, direi anzi trasfigurata, se non addirittura sostituita, dall’espandersi dell’amore, l’amore con il quale e per il quale i Magi si erano messi in cammino, l’amore per il quale i pastori avevano vegliato, l’amore per il quale, prima ancora, la Beata Vergine Maria aveva accolto la straordinaria e incredibile richiesta di fare della sua piccolezza creaturale il luogo dell’eccedenza divina, in quella Annunciazione che brilla qui, ogni giorno, ai raggi del sole, a metà mattinata, nella cappella riservata al Cardinale del Portogallo.
Dunque, cari fratelli e sorelle, potremmo quasi azzardare che la stella cometa, in realtà, brilla ogni notte; non occorre essere astrofisici, occorre essere, direi, poeti e bambini, che sono le categorie dello stupore e della meraviglia, senza le quali non entriamo nel regno, senza le quali, cari fratelli e sorelle, non accogliamo la misura per ricevere il regno; infanzia e poesia, come cifra di uno stupore essenziale che, con poche sillabe, riesce a compendiare il tutto, al contrarre, nel frammento, la totalità del nostro essere e, più ancora, del nostro esserci.
Per questo mi piace proporvi che ogni notte una cometa spunta sulle nostre vite e mi piace pensare che sia la luce del pianeta Venere, Ciprigna, come si chiamava in italiano antico, perché è davvero la manifestazione quotidiana e puntuale di un amore, cari fratelli e sorelle, senza il quale questa nostra umanità muore di competenza, credendosi salva attraverso la competenza, muore di tecnologia, credendosi salva con la tecnologia, muore di certificazione, credendosi autogarantita da ogni formula di certificazione assicurativa sul nostro domani.
E invece stamani, cari fratelli e sorelle, alla scuola, dopo la lunga notte di questi giorni d’inverno, delle luci siderali e della proposta di Venere, noi sentiamo, cari fratelli e sorelle, che è, semmai, la nostra nudità, la nostra spoliazione, la nostra disponibilità al silenzio, alla veglia, alla avventura e disavventura delle tenebre, a donarci questa intuizione: non bastano le competenze, la tecnologia, le certificazioni per donarci quel sussulto di consapevolezza liberante e, nello stesso tempo, lucidamente capace di avvertirci circa la nostra fragilità che è quel sussulto di amore che, come occasione imperdibile questi santi, santissimi giorni del Natale offrono a chiunque, chiunque, purché sia umano, consapevolmente umano, non importa se ricco, povero, vicino o lontano; basta essere semplicemente umani, per accogliere questa proposta di amore disinteressato, che il Padre celeste ci fa, anzitutto restituendoci, nel cuore e nello sguardo, la grazia dell’incanto di fronte alla creazione tutta intera, e finalmente, con quell’incanto, acquisire la certezza che incantarci, stupirci, meravigliarci, cari fratelli e sorelle, è un telescopio ancora più prodigioso di quelli fabbricati dalle grandi potenze di questo mondo, è il telescopio che permette la dilatazione del nostro cuore, come Isaia sogna per ciascuno di noi, una dilatazione che avvicina tutto di noi, con stupore e meraviglia, ad una conoscenza più profonda della realtà, che denuncerà, così, la sua insufficienza a spiegarsi da sola. Ecco le ragioni dell’inquietudine e della ricerca di Magi che sapevano tutto ma, diversamente dai presuntuosi dottori di Gerusalemme, avevano capito che quel comprendere tutto non bastava all’intuizione complessiva della realtà e, soprattutto, cari fratelli e sorelle, delle ragioni della realtà, della finalità della realtà, di che significa un “prima” e un “dopo” in forza dei quali metterci in cammino, e mettersi in cammino significa – ce lo ricorda papa Francesco ogni giorno – essere tutti dei grandi, quindi dei poveri, dei non autosufficienti, di persone bisognose di essere accolte e i Magi sono accolti, ma comprendono che non è quella accoglienza di Gerusalemme l’accoglienza di cui hanno bisogno; lì acquisiscono una comunicazione semplicemente esito di una indubbia competenza, ma col loro cuore, ancora infantile e ardente di stupore, tornando a fidarsi di Venere, di Ciprigna, con l’indicazione dell’antica tradizione della parola di Israele, ormai quasi da tutti dimenticata, perché una profonda tenebra era allora discesa su Gerusalemme – così ci avverte la Parola – ecco che il cammino continua, avendo intuito da dove viene la realtà, verso dove deve andare la realtà, e soprattutto, con essa e in essa, torno a dirlo con forza, la nostra umanità, cari fratelli e sorelle, la nostra umanità, che se non si mette in cammino, se non si riscopre peregrinante, se non si riscopre indigente, e se non acquisisce la comunicatività dello stupore, della meraviglia, della gratuità, dell’incanto – in una parola abusata nella nostra città, ma fondamentale per intuirne il senso, in rapporto al mondo tutto intero – la bellezza, questa nostra umanità si coagula, cari fratelli e sorelle, in una bolla senza ossigeno, finendo per cristallizzarsi come le mosche nell’ambra, diventando un ricordo di sé, e finendo per diventare quel fossile che Levi Strauss in Tristi tropici lamentava essere il destino della condizione umana quando – cito a memoria – “Verificando la sconfitta delle tecnologie umane per disarmare le forze della natura e con essa il tempo e lo spazio, renderà l’uomo insignificanza totale dell’insignificanza della realtà”: questa è la prospettiva tracciata, cari fratelli e sorelle, dai grandi maestri, perché grandi sono, del pensiero novecentesco.
Ma a noi non basta, a noi non basta, per questo ci siamo messi in cammino, e stamani, cari fratelli e sorelle, accanto alla stella di Venere, è sorto per noi un ulteriore riverbero, si direbbe una piccola, umanissima scia di infanzia, anzitutto, e lo dico, ovviamente, come grandissima nota di merito, di poesia, e lo dico come ulteriore nota di merito, dei nostri amati figli e fratelli in Cristo, Colombano e Fernando, i quali, cari fratelli e sorelle, hanno preso sul serio la possibilità di riconoscere, anzitutto nella loro personale storia, e poi in tutto quello che è il mistero oggettivo dell’amore sponsale di Cristo per la nostra umanità, che si chiama Chiesa, hanno creduto e intuito che, nella vasta articolazione dei doni, carismi e testimonianze della Chiesa, esistesse un luogo dove, non certo per merito e capacità umana, ma per specialissimi disegni ed elezioni dell’amore del Padre, si venisse a creare quasi una sorta di abisso, un abisso apparentemente inutile, addirittura fuorviante, per certi versi esposto al rischio di ideologizzazione le più varie, ma un abisso che, se si lascia illuminare e decifrare da Ciprigna, diventa esattamente quel luogo dove la dottrina cede all’esperienza, la ricerca si corona con l’esperienza, il lungo viaggio matura e si compie nell’approdo. Sto cercando, cari fratelli e sorelle, di lasciarvi intuire qualcosa di questo mistero nel mistero, di questa indecifrabilità nell’indecifrabilità che è la vita monastica, un’esperienza umilmente e orgogliosamente marginale nella Chiesa, un’esperienza orgogliosamente e umilmente remota, se non antitesi a quelle dinamiche che, talvolta, non sia mai, ma talvolta anche nei gangli vitali della Chiesa, possono sedurre alcuni suoi ministri per affermazioni di potere, per dinamiche di centralizzazione e di autoaffermazione.
Restare fedeli al paradosso monastico, cari fratelli e sorelle, significa davvero chiedere la suprema grazia di ritornare infanti, nudi, inermi, senza potere che non sia questa arresa al paradosso di un potere del Padre celeste che si manifesta – ci avvertiva papa Benedetto all’inizio del suo ministero petrino – col paradosso di un bambino la cui piccolezza è davvero – come ci ha avvertito, oggi, la Colletta iniziale – la gloria del Padre, la gloria del Padre, lì brilla il Padre in tutta la sua sconfinata eccedenza, che ha pure in sé la libertà di contrarsi nella tenerezza di un’infanzia.
Caro Ferdinando e caro Colombano, da padre, fratello e amico delle vostre esistenze, a nome anzitutto del nostro reverendissimo padre abate generale, che non è presente fisicamente ma lo è col cuore, a nome di tutta la nostra famiglia monastica olivetana, e in modo ancor più intenso, a nome di tutta la nostra comunità monastica, non esclusi i cari oblati qui presenti, vi diciamo il nostro “grazie”.
La nostra preghiera, che è condivisa oggi dai confratelli presbiteri che si uniscono alla nostra azione di affidamento, di lode, di gratitudine al Signore, è una preghiera perché restiate piccoli, restiate infanti; con i vostri talenti artistici e artigianali, continuate ad essere poeti che trasformano le povere cose di questa nostra creaturalità in specchio e riverbero di quella gloria dove, brillando il volto e la bellezza del Figlio, rintracciamo gli indizi amorevoli e affidabili di quel Padre che continua a illuminare questa nostra storia, questa nostra Chiesa, se vorrà la Sua misericordia, questa nostra comunità, del fuoco inestinguibile dello Spirito Santo!
A Lui, al Figlio, al Padre ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli! Amen!
Trascrizione a cura di Stefania Ruggiero Obl. OSB
La fotografia è di Cristina Maffei e ritrae un momento della liturgia