«Il granaio di san Benedetto». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità di san Benedetto e in occasione di nuove oblazioni benedettine secolari
11 luglio 2024 – Solennità di san Benedetto Patrono d’Europa
Oblazione benedettina secolare per l’abbazia di San Miniato al Monte di nove fratelli e sorelle (Andrea, Aurelio, Francesca, Gaia Francesca, Guido, Massimo, Matteo, Roberto, Tiziana)
Prima Lettura
Dal libro dei Proverbi (Pr 2, 1-10)
Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole
e custodirai in te i miei precetti,
tendendo il tuo orecchio alla sapienza,
inclinando il tuo cuore alla prudenza,
se appunto invocherai l’intelligenza
e chiamerai la saggezza,
se la ricercherai come l’argento
e per essa scaverai come per i tesori,
allora comprenderai il timore del Signore
e troverai la scienza di Dio,
perché il Signore dà la sapienza,
dalla sua bocca esce scienza e prudenza.
Egli riserva ai giusti la sua protezione,
è scudo a coloro che agiscono con rettitudine,
vegliando sui sentieri della giustizia
e custodendo le vie dei suoi amici.
Allora comprenderai l’equità e la giustizia,
e la rettitudine con tutte le vie del bene,
perché la sapienza entrerà nel tuo cuore
e la scienza delizierà il tuo animo.
Seconda Lettura
Dal Seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2Cor 9, 6-15)
Ora dico questo: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente. Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo; non di mala voglia né per forza, perché Dio ama un donatore gioioso. Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quello che vi è necessario, abbondiate per ogni opera buona; come sta scritto:
«Egli ha profuso, egli ha dato ai poveri,
la sua giustizia dura in eterno».
Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare fornirà e moltiplicherà la vostra semenza, e accrescerà i frutti della vostra giustizia. Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi. Perché l’adempimento di questo servizio sacro non solo supplisce ai bisogni dei santi, ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio; perché la prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Dio per l’ubbidienza con cui professate il vangelo di Cristo e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. Essi pregano per voi, perché vi amano a causa della grazia sovrabbondante che Dio vi ha concessa. Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile!
Vangelo
Dal Santo Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 1-18)
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
OMELIA
Cari fratelli e sorelle, oggi per noi, monaci di San Miniato al Monte, la celebrazione della solennità del sommo patriarca Benedetto, la cui regola ispira e norma la nostra esistenza, è rallegrata e intensificata dall’offerta che di sé fanno al Signore questi nove fratelli e sorelle, al termine di un lungo e meditato noviziato, che ha rafforzato la loro conoscenza della santa Regola, facendo loro innanzitutto verificare in prima persona, come recitano gli Statuti degli oblati benedettini secolari italiani, “la perenne fecondità della spiritualità benedettina”, evidentemente dentro e fuori i perimetri dei cenobi dove si vive la Regola di San Benedetto. Dunque potremmo veramente fare nostre le parole dell’apostolo Paolo, in riferimento a questa azione di carità che egli ha propugnato e organizzato nella Chiesa di Corinto: “Grazie a Dio per questo ineffabile dono!”; “Grazie a Dio per questo ineffabile dono!”; grazie a Dio per il dono che siete, per il dono con cui vi offrite, per il dono che, unito alla testimonianza della comunità ecclesiale in questa splendida nostra Firenze, anche attraverso questa sua straordinaria propaggine che è San Miniato al Monte, si eleva su tutti noi alla Gloria del Padre, unendosi all’offerta del Figlio e ardendo di quell’amore incandescente che il carburante dello Spirito Santo assicura a tutta la compagine ecclesiale.
Cari fratelli e sorelle, in modo particolare cari ormai prossimi oblati e oblate, la scelta della Parola di Dio che doveva essere proclamata in questa misteriosa azione liturgica è tutta segnata dalla qualità dei verbi “offrire” e “donare”. Anzitutto quel dono fatto con gioia che il Signore ama, lo avete ascoltato: Paolo indica non tanto la quantità e il contenuto di ciò che s’intende offrire, ma soprattutto “come” s’intende offrire e donare: con gioia, “il Signore ama chi dona con gioia”, ed è già questo un bellissimo programma di vita che voi oblati ricordate anzitutto a noi monaci e all’intera compagine ecclesiale; qualsiasi forma di vita, originata dal battesimo, che pretenderebbe di assestare la sua verità in quello che si possiede piuttosto che in quello che siamo, per grazia di Dio, fallirebbe, prima ancora che la carità, la verità di quello per cui l’amore di Dio ci ha chiamati all’esistenza; Egli ci ha chiamato non tanto per una consistenza tutta chiusa e articolata nel compiacimento di quanto si possiede ma, semmai nello slancio di quanto si riesce a donare, a condividere, e questa verità somma, cari fratelli e sorelle, è pienamente recepita dallo spirito e dalla lettera della regola del nostro padre Benedetto, tanto da farci pensare stasera, in questo tempo estivo di siccità e di carestia, che i monasteri sono dei veri e propri granai, granai dello spirito, ovviamente e anzitutto, dove non manca, non dovrebbe mai mancare, la ricchezza di depositi colmi di speranza, di amore, di fede; speciali granai dove – come abbiamo imparato poco fa, ascoltando l’apostolo Paolo – tanto si dona quanto Colui che provvede il seme al seminatore è lì, pronto a ricaricare, per così dire, le scorte dei nostri depositi, lasciando che questa vostra, nostra offerta sia tutta nella luce della fede, una fede filiale, una fede che si qualifica come confidenza con Colui che non ci farà mancare la ricchezza che intendiamo, per grazia, per obbedienza e per mistero, riversare in tutti coloro che incontriamo. Certo, anche le cose materiali, incontrando le tante indigenze della nostra società, così malata e così afflitta da innumerevoli penurie, ma direi, non di meno e forse soprattutto, le grandi indigenze che segnalano una volta di più, e nella città di Firenze questo contrasto è ancora più altisonante, la crisi del nostro umanesimo, povertà di visione, povertà di prospettive, povertà di lungimiranza, povertà di investimento in tutto quello che segnala un’apertura incondizionata di cuore; e ci piace questo aggettivo “incondizionata” di cuore, perché sottrae la nostra intelligenza e la nostra cordialità da calcoli di comodo, di ritorno, di profitto, di riuscita, di prestazione. Queste parole, naturalmente, non faticherete a cogliere, cari fratelli e sorelle Andrea, Aurelio, Francesca, Gaia Francesca, Guido, Massimo, Matteo, Roberto e Tiziana, sono indirizzate soprattutto a voi, che, in un certo senso, completate e corredate la ricchezza della comunità monastica, chiamata dalla Regola a vivere qua su, portando nelle vie della nostra città e del mondo la ricchezza di questo granaio spirituale, un compito direi soprattutto vostro: uscire dai recinti del monastero per portare nel mondo la ricchezza di tutto quello che, per grazia di Dio, – la bellezza, l’intensità spirituale, la fecondità di San Miniato al Monte – ha trasmesso alla vostra intelligenza e ai vostri cuori; siate generosi, anzitutto donando del tempo al tempo che Dio dona a ciascuno di voi, e dopo questa intimità col Signore, e in modo particolare coi misteri del Padre celeste, siatene diffusori e irraggiamento in questa penombra storica che soprattutto le nuove generazioni sono costrette a subire, senza quello squarcio di luce, di speranza, di beatitudine che porta nel cuore di tanta nostra gioventù la tentazione di pensare di essere vivi per caso, non per un disegno, non per una prospettiva, non per una sapienza, non per quella intensità che ogni pietra di questa basilica riverbera, accendendo i nostri cuori della consapevolezza di essere chiamati a diventare risonanza di tanta bellezza, come risposta obbediente a quanto, per fede, abbiamo intuito essere la premessa che ha posto in essere la nostra vita. Siate, dunque, di questa premessa l’espressione che risuona nel cuore della nostra città e fatelo, torno a dirlo, con una generosità senza calcolo, senza condizione.
L’altro aspetto che a me sembra molto importante è, e non potrebbe essere diversamente, la possibilità, per grazia e per mistero, di assimilare il vostro dono, il nostro dono, ancora una volta, all’economia trinitaria dentro la quale scompare ogni calcolo, ogni previsione d’interesse, quella che fa dire al Signore Gesù, senza alcuna forma di timore, “Io offro la mia vita, nessuno me la toglie ma la offro da me stesso”, dice il Signore Gesù; ecco, confortati dalla possibilità resa viva dallo Spirito Santo, di una assimilazione, direi di più, di una vera e propria cristificazione, della vostra vita, della vostra oblazione, ossia della vostra offerta; non temete, non temete di avere la stessa generosità, la stessa totalità, la stessa integrità del Signore Gesù, in questo riposizionare tutto della sua vita nell’amore e nel cuore del Padre celeste. È un’offerta che vi permette, vi ha permesso, in modo per noi decisamente incomprensibile e ineffabile, di entrare in un contatto inaudito e indicibile, con i misteri del Padre stesso. Ovvio che noi, anche ardendoci non possiamo pensare di arrivare, ma ci basta questa, direi, questa economia di movimento, anzitutto verso il Padre, anzitutto la verticalità di chi, sconfiggendo la legge di gravità, sconfiggendo la disperazione, sconfiggendo la pigrizia che ci confina in una regione che pensiamo invalicabile, mette ali ai vostri piedi e ai vostri cuori, vi chiede di sforzarvi nel cercare, nel desiderare, come altrove ci chiede Paolo, “le cose di Lassù”.
Cari fratelli e sorelle, il granaio di san Benedetto è perennemente ricco di semente da spargere nelle zolle del mondo perché i monasteri sono luoghi di abissale verticalità; lo sia anche la vostra vita, la vostra tensione rivolta al Padre da cui tutto viene, anzitutto le vostre esistenze, esistenze che, nell’abbraccio, nella familiarità, nella intimità di un riconoscimento reciproco, grazie all’ascolto del pastore e, naturalmente della vostra voce, ben conosciuta dal pastore, fa delle vostre vite una unità fortissima con Colui che, presentandosi come porta, vi fa entrare in un recinto certo e sicuro, immagine bellissima che possiamo utilizzare per la nostra meravigliosa abbazia, ma anche per quella intimità, entrando nella quale imparerete tutta quella generosità, quella gratuità con la quale unire la vostra oblazione al dono che di sé fa il pastore; fa questo dono perché è sua premura raccogliere il gregge sempre più disperso, lo dice il Signore Gesù: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo un gregge e un solo pastore”. A me piace dirvi, cari fratelli e sorelle, dirvi di poter diventare la risonanza del Signore Gesù che avete imparato a conoscere in ogni sfumatura, in ogni timbro, in ogni intonazione, fra le meravigliose mura di San Miniato al Monte; portatene la eco nella città, risvegliate nel cuore delle persone il desiderio, come altrove ci fa pregare la liturgia, la nostalgia di quel Dio senza il quale non hanno fondamento la nostra ricerca di verità, il nostro fuoco di carità, le ragioni della nostra speranza; e diciamo questo non per una tautologia che, con la forza di una mera retorica, vorrebbe obbligare alla persuasione chi ci ascolta; lo diciamo per esperienza provata perché, concludendo, cari fratelli e sorelle, il nostro patriarca Benedetto è grande, perché nel suo granaio i piccoli imparano a diventare grandi, i fragili imparano a diventare forti, gli smarriti sperimentano la grazia di essere ritrovati, i peccatori vivono la gioia del perdono. La grandezza di san Benedetto non è stata aver proiettato, badate bene, psicologicamente la sua santità in quella che sarebbe poi diventata, inevitabilmente, quasi – lasciatemi usare questa espressione – una “casa di cura”, la grandezza di san Benedetto è stata quella umanità che, tutta abitata dalla luce della sapienza divina, ha sviluppato questo senso paterno che accoglie, attraverso la porta che è Cristo, le nostre povertà, le nostre fragilità, e donandoci la possibilità, attraverso la Regola, che è una quintessenza del Vangelo, di vivere come stare insieme nel nome del Signore propizia dinamiche di amore, di speranza, di fede e, quindi, anche di fiducia, ecco che rende persone entrate in monastero con cuore spesso indurito dalla vita, indisponibile all’ascolto, provato dalle sofferenze, persone che gradualmente vedono distrutta la loro presuntuosa armatura e finalmente, nella loro nudità, rivestite dalla luce che viene dalla grazia pasquale del Signore risorto. È il gesto che sta un po’ a monte della nostra vita in Cristo, il battesimo, è il gesto che, per prodigio e grazia, abbiamo rivissuto, in modo speciale, alcuni di noi, proprio in questo giorno, ed è per noi, in particolare, l’augurio, assieme allo speciale pensiero per il nostro dom Benedetto, nel giorno del suo onomastico, è il gesto che vivrete anche voi, accogliendo un bianco mantello, che segnala questo bagliore battesimale che sta come cuore e radice di questa prospettiva che trasforma le vostre vite più che mai in annuncio pasquale. E questo bagliore battesimale, lasciatemelo dire, confratelli nel presbiterato – e saluto con particolare gioia don Cristian, che ci fa dono della sua presenza, e uno speciale pensiero al padre priore nell’anniversario della sua ordinazione presbiterale – configura tutti noi in questa speciale tensione pastorale che ci deve rendere insonni scrutatori delle vicende del nostro tempo per portarle, con la preghiera, nel cuore di questa perfezione geometrica dove tutto ci riporta alla misura, al significato, alla verità di quella sapienza mediante la quale tutto della nostra vita diventa canto che risponde, con il nostro “Eccoci”, al meraviglioso desiderio del nostro creatore di lasciarsi desiderare come artefice di una bellezza abissale e siderale che trova nei monasteri benedettini una campionatura piccola, essenziale, ma feconda e incommensurabile. Amen!
Trascrizione a cura di Stefania Ruggiero, oblata benedettina secolare
La fotografia è di Mariangela Montanari, oblata benedettina secolare