Omelie

«Eclipse». Due omelie di fine quaresima del padre abate Bernardo

Domenica 19 Marzo 2023 – IV domenica di Quaresima

Laetare

 

Dal primo libro di Samuele
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Parola del Signore.

 

Omelia:

 

Cari fratelli e sorelle, la liturgia ci introduce con il suo agire, il suo lasciarci agire in essa, ci introduce sempre di più nel mistero pasquale e lo fa sottoponendoci a queste lunghe proclamazioni del Vangelo di Giovanni, mediante una vera e propria immersione in una drammaturgia che anticipa quello che sarà l’esito culminante del nostro cammino quaresimale, lasciandoci essere testimoni del processo che subirà lo stesso Signore Gesù, e che ascolteremo soprattutto nella versione giovannea il Venerdì Santo, anche lì dialoghi estenuanti, incomprensioni, fraintendimenti, presunzioni, sostituzioni, consegne perché emerga con forza  la solitudine del Figlio dell’uomo e questa sua solitudine, allora davvero estrema, sia lo spazio dove si manifesta la gloria del Padre, uno spettacolo -così dobbiamo dire- che è giudizio sulla nostra storia, che è giudizio sulla nostra sensorialità, sulla nostra intelligenza, sul nostro cuore, sulle loro presunzioni, sulla loro incapacità di cogliere il kairos, l’appuntamento che l’amore del Padre come gloria continua umilmente a offrire al nostro desiderio di essere salvati, non come pensiamo noi, attraverso i nostri mezzi, le nostre risorse, le nostre capacità, ma questa offerta che è data al nostro riconoscerci provvidenzialmente ciechi, pur vedendoci, e confessando questa cecità, queste tenebre, questo sopore dell’intelligenza possiamo finalmente essere risvegliati dal prorompere dello Spirito nella nostra vita, in una esperienza che ci restituisce a quella passività che la gran parte di noi ha già subito quando altre mani e non le nostre ci hanno immerso nell’acqua battesimale, tirato fuori da esso, reimpastando la nostra vita con la saliva dello Spirito.

Questo è l’appello fratelli e sorelle, che risuona oggi nel nostro cuore, nel nostro calendario, è la possibilità di fare della nostra cecità uno sguardo guarito dall’amore del Signore, una possibilità che ci riporta anche ad un giudizio in Cristo sul nostro mondo e sulla nostra storia, sulla nostra umanità, obbligandoci a prendere posizione.

Notevolissimo come, se da un lato il Signore scagiona i genitori del cieco nato che sono investiti di una eventuale possibilità di colpa dall’accusa dei discepoli, che si limitano a classificare l’incontro con il cieco come una casistica morale in forza della quale andare alla ricerca dell’eventuale colpevolezza, il Signore scagiona lui, scagiona i genitori, mette in gioco se stesso e l’opera di Dio nel mondo, ma di fatto non ci farà mancare col suo silenzio una parola dura su quei genitori che per paura non testimoniano, addossando all’età adulta del figlio cieco ogni responsabilità circa quanto è accaduto.

Vedete come il Signore viene a visitare la nostra condizione umana, spogliandola di ogni certezza, di ogni reticolo di socialità e di consanguineità, perché emerga una solitudine orfana che ci riporta a questo dato estremo, muto, opaco, scuro, in forza del quale non c’è alcun legame relazionale stabilito dalla forza della sola natura e della sola affettività psicologica che basti a dire la vocazione alla luce inscritta nella nostra sete di verità e che soltanto l’esperienza dell’amore con il quale si rinnova dal profondo l’esistenza di questo cieco nato, che è ciascuno di noi ovviamente, può accordare mediante l’esperienza di una fede che ci fa sentire oggetti di un amore che se ci ha reso radicalmente passivi è solo e soltanto per far entrare nelle fibre della nostra vicenda biografica l’operosità eccedente dell’amore del Padre attraverso Cristo, questo suo posizionarsi nel cuore del luogo -dove sta colui che ti ha reso vedente?-

-non lo so dove è- risponde il cieco

Potremmo dire e suggerirgli che è davvero dentro di lui, il Signore Gesù è entrato con la sua luce, con la sua capacità di restaurare il nostro sguardo, anche quando crede di vedere: “Ubi amor ibi oculus” – ci avverte Riccardo di San Vittore, dove c’è l’amore lì c’è un occhio, lì c’è una palpebra che si apre spalancando la pupilla ad una verità che è anzitutto la luce stessa generatrice di verità, tutto il contrario dell’oscurità complice del male.

Risuona profondo fratelli e sorelle, l’avvertimento con cui si concludeva cinquanta anni fa The dark side of the moon dei Pink Floyd, tutto ciò che tocco, tutto ciò che vedo, tutto ciò che trasformo, tutto ciò che do in elemosina, tutto è in accordo sotto il sole, ma il sole è eclissato dalla luca; questa dinamica verace  fratelli e sorelle, è la diagnosi che ci porta a riconoscere come in quella mirabile copertina l’oscurità dominante della nostra realtà e nello stesso tempo come non possiamo perdere, illuminati da questa sapienza, l’appuntamento con la luce che se attraversa il prisma dell’amore diventa rivelativa di una iridescenza, di una trasformazione, di un cambiamento, di una articolazione, di un cromatismo, che mette in luce e finalmente, il disegno creativo dell’opera di Dio nel mondo, del suo farsi storia nella storia, del suo scegliere questo nostro impasto argilloso, ravvivandolo con la saliva, perché diventi il protagonista mediante la fede di una azione storica iniziata ma non conclusa con Abramo, non conclusa con Mosè, non conclusa con le opere della legge, una prospettiva questa che condanna i farisei, che vorrebbero mortificare l’opera di Dio nel mondo, chiudendola nel sepolcro del riposo del sabato, ma se il Signore Gesù nel sabato santo entrerà davvero in un sepolcro non sarà certo per farci morire Dio, semmai per farci morire l’uomo vecchio che è in noi, la sua indisponibilità a reagire cromaticamente alla luce inviata dall’amore del Padre attraverso di Lui. E quindi la resurrezione come novello arcobaleno che tratteggia anche il mistero dei misteri, cioè la morte in una possibilità inedita di luce, appello alla creatività, alla trasformazione in forza di quanto abbiamo ricevuto in questo itinerario quaresimale fratelli e sorelle, in cui pazientemente ci esponiamo per essere la materia viva, bruta, sulla quale si esercita l’opera di Dio nel mondo, dalla polvere e la cenere, dalla polvere del deserto, dal pulviscolo della luce del Tabor e di quella nube nebbiosa, da quella terra argillosa e riarsa che Gesù ha calpestato per giungere assetato al pozzo di Samaria, vedete come questa Quaresima è davvero scabrosa nel mettere in luce la nostra inconsistenza ed è esattamente questa intuizione fratelli e sorelle, il grande kairos con cui vincere la tentazione di riporre, rinchiudere, ostacolare l’azione di Dio nell’osservanza esteriore del riposo del sabato, della legge, del giudizio, delle casistiche che sono esattamente a disposizione dei discepoli per non accorgersi di quanto sia orfano quel cieco nato, di quanto siamo orfani noi, con la nostra incapacità di lungimiranza e di visione.

Per questo è bellissimo questo invito, già così profondamente pasquale: -svegliati tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà.

Cristo che non ha avuto paura a sprofondare nelle tenebre di quel sepolcro, dopo essersi addestrato nel deserto, accecato nella nube del Tabor, assetato al pozzo, con gli occhi che grondano lacrime nel Getsemani, fratelli e sorelle, c’è tutta la nostra vita in questo itinerario, fino a sprofondare in quel sepolcro, sapendo che non sarà dimenticato dall’amore del Padre. Ci porta tutta la nostra umanità orfana in quella oscurità, fratelli e sorelle, memori di come il Signore ha scelto il suo avo Davide, non come guardano gli uomini, è lo sguardo di Dio quando sceglie, lo avete ascoltato nella prima lettura, l’uomo sceglie, Dio scarta, e ciò che scartano gli uomini è scelto da Dio, questa prospettiva scomoda, inquietante, che ci obbliga, fratelli e sorelle, ad abitare l’eclisse, ad abitare l’eclisse attendendo la luce del sole.

Questo è anche un grande messaggio di profezia in questa storia che stiamo vivendo, una storia condannata a se stessa, condannata a questa sorta di riposo isterico delle nostre domeniche vuote e alienate perché non sappiamo più per chi e per che cosa fare festa, come, dove riconoscere un tempo altro da quello che subiamo. Vedete che c’è di fatto da riconoscere una anestesia del cuore, noi questa intuizione l’abbiamo ricevuta con lo Spirito Santo mediante il dono grandissimo della fede, e allora stiamoci fino in fondo in questa prospettiva, non temiamo di riconoscerci ciechi, facciamo questo esercizio di una mistica miopia, l’etimologia è la solita, chiudo, socchiudo il mio occhio, l’esperienza che rende il mistico capace di scorgere la densità più vera e profonda della realtà, inaccessibile allo sguardo superficiale che accarezza le cose, lasciando che sia la luce a dare i colori alle cose, noi invece come ci avverte quella mirabile icona di Dark Side of the Moon, sappiamo che luce ha i suoi colori, sta alla nostra fede scoprirli e se la nostra fede è già in grado di colorare la luce nella notte più oscura, l’eclisse è vinta e tutto ciò che facciamo, e tutto ciò che tocchiamo, e tutto ciò che ascoltiamo tornerà ad essere in armonia con un sole finalmente intramontabile. Amen!

 

26 Marzo 2023 – V domenica di Quaresima

 

Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele.
Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio.
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

 

Omelia:

Cari fratelli e sorelle, questa parola ascoltata ci conduce coerentemente a tutto l’impianto temporale della liturgia, alla soglia dell’ora del Signore Gesù, al culmine del suo manifestarsi come gloria del Padre, come esperienza cioè di amore ricevuto, intronizzazione di una signoria che conduce ogni realtà alla pienezza della sua suprema vocazione, l’essere perenne vita in Dio.

Questo è l’esplicarsi della gloria di Dio in Cristo, un procedimento rivelativo di un mistero che svela in modo pieno e definitivo il congiungimento del Figlio al Padre e di noi che, congiunti al Figlio, siamo investiti da altrettanta gloria di vita.

È così, in questa profonda drammaturgia di luce, che possiamo intendere e inscrivere l’episodio appena ascoltato in tutta la sua maggior pregnanza teologica, rispetto al dato letterale, cronachistico, narrativo, ce lo impone fratelli e sorelle anzitutto il metodo giovanneo, non ci stanchiamo di ricordare come San Giovanni ci insegni, lui, il prediletto di Cristo, ci insegni a leggere la realtà con amore, sollevando con amore ogni lembo della realtà, per giungere all’esito di uno sguardo innamorato che come tale entra nel cuore della realtà, non si ferma all’apparenza, non consuma la realtà, non abusa della realtà, vi entra ed entrandovi non può che amarla ancora più profondamente, per questo Giovanni ha questo dettato così incline a mostrarci i fraintendimenti, gli equivoci, in cui cadono i giudei, gli interlocutori del Signore, in cui cadiamo noi, quando non compenetriamo la realtà attraverso questo metodo di decifrazione, penetrante perché innamorata della realtà stessa, come Gesù lo è innamorato della realtà, perché inviato dal Padre a restituire alla realtà tutta intera la consapevolezza di dove essa sia destinata e orientata.

Questa di oggi è una pagina cari fratelli e sorelle, di profondissima geografia teologale e dunque esistenziale, dov’è il destino dell’uomo e della donna? Dove è?

Nell’oscurità muta, silente, caotica di un antro, di una grotta, dove marcisce la condizione umana per arrivare a puzzare? O non è piuttosto il destino della condizione umana scoprirsi chiamata, raggiunta da una vocazione: “Lazzaro, vieni fuori”, e rispondendo a questa chiamata, accedere alla sua pienezza di verità che la introduce, non in una generica sopravvivenza cronachistica, ma nel mistero più profondo cui ci sta conducendo la parola, il dettato giovanneo che è quell’esperienza di liberazione: “lasciatelo andare” e Lazzaro non saluta nessuno, né le sorelle, ma nemmeno l’amico amantissimo che pure lo ha liberato da quella morte, Lazzaro compie il suo esodo per entrare nella gloria del Padre suo, Padre dell’amico Gesù e Padre nostro e credo intendiate bene fratelli e sorelle, quale itinerario davvero esodico, pasquale, il Signore apra a Lazzaro, apra a ciascuno di noi, anteponendo così il suo esodo pasquale e offrendolo a piene mani a questo suo amico amato, perché tutti credano, spalanchino gli occhi, sturino le orecchie e accedano alla più profonda comprensione di ciò che attende il Signore Gesù, quando giungerà la sua ora, quando cioè saranno consumate quelle dodici ore di luce cui allude San Giovanni.

Bellissimo! Queste dodici ore di operosità dove il Signore Gesù assieme al Padre opera, non può non operare, perché l’amore non può non operare, l’amore è inarrestabile fratelli e sorelle, per questo quasi naturalmente in obbedienza alla sua verità l’amore entra nella morte, rende operosa la morte, sconvolge la morte, smentisce la morte nella sua affermazione menzognera in forza della quale vorrebbe farci credere che destino dell’uomo sia l’entropia della sua energia d’amore, della sua riserva di speranza, della sua apertura confidente; in questo arresto entra l’operosità della gloria del Padre attraverso il Signore Gesù il quale, fratelli e sorelle, comprendete perché non intervenga con sollecitudine nella speranza di giungere quando Lazzaro è ancora malato, ma vivo.

Quante volte abbiamo ascoltato: è malato, è malato, è malato.

E Gesù attende, attende la pienezza del fallimento di una prospettiva umana, svincolata da quella consapevolezza filiale che Gesù risveglia nei nostri cuori, di cui la morte è l’estrema conseguenza che noi possiamo e dobbiamo chiamare per l’appunto peccato, la morte del nostro corpo come ci ha detto Paolo. Ed è per questo che il Signore Gesù sembra di fatto sordo e lo è stato alle lamentele sul passato delle sorelle: “se tu fossi stato qui il nostro fratello si poteva salvare”, confinando l’azione dell’amore e della gloria del Signore Gesù, fratelli e sorelle, solo e soltanto ai perimetri della vita fisiologica  e biologica. Capite la ristrettezza, l’angustia della prospettiva delle sorelle, il loro attaccamento al presente, il loro ritenere che l’amore e la gloria del Padre siano funzionali solo e soltanto a lasciarci illusoriamente liberi nell’orizzonte di questo spazio e di questo tempo, quando la vera libertà è ciò che il Signore Gesù dona e conferisce a Lazzaro, lasciandolo andare verso il Padre, svelando dove sia la meta, dove sia l’origine: pros ton theon, così inizia il Prologo di Giovanni, lì era il logos prima di prendere carne.

Vi ricordate l’inizio delle vocazioni?

Quella che rivolge al Signore Gesù ad Andrea, il protocleto, il primo chiamato: “maestro dove abiti?”.

Venite e vedrete, tutto il Vangelo di Giovanni fratelli e sorelle è lasciarci prendere per mano dal Signore Gesù e venire e vedere dove abita, ma questa dimora fratelli e sorelle, non è certo la dimora terrena, come credono all’inizio i discepoli, come si ostinano a credere trattenendo Gesù dal rischio di tornare là dove lo avrebbero lapidato. La dimora di Gesù è presso il Padre e noi abbiamo veramente bisogno fratelli e sorelle di riscoprire questo domicilio spirituale della nostra esistenza, senza questa consapevolezza noi viviamo da cristiani senza avere fede sufficiente ed adeguata alla sfida che ci viene quotidianamente offerta, non tanto e non solo dalle ideologie avverse alla Chiesa, sì, questi sono dati importanti, ma tutto sommato culturali e contingenti, la sfida è con la morte, con il peccato, con l’oscurità, con le tenebre, sono i perenni avversari, fin dall’inizio del disegno di amore, di libertà, di gloria e di luce che il Padre attua, prospettando anche per noi creature, questo esito di partecipazione e condivisione alla sua gloria, che diventa invece oggetto dell’invidia delle forze avverse per le quali spesso diventiamo inconsapevoli ostaggi, non alimentando fede, non alimentando amore, non alimentando speranza.

Per questo fratelli e sorelle abbiamo tanto bisogno di entrare in questo spazio simbolico e reale che corrisponde al metodo giovanneo di decifrazione della realtà che è proprio lo spazio liturgico anzitutto, noi qui entriamo fratelli e sorelle, nella dimora di Gesù, noi entriamo con Gesù, il corpo di Cristo, il suo tempio, ricostruito dopo la morte in tre giorni, come ci avverte ancora una volta la plastica simbolica di Giovanni, in questo luogo noi fratelli e sorelle, fate come me, io lo faccio per la stanchezza dei miei occhi: chiudete le palpebre, per favore chiudete le palpebre e percepite di essere immersi nel corpo di Cristo di cui ascoltiamo la parola che rimbomba nel cuore, come accade quando siamo sott’acqua e quei rumori invadono anzitutto il diaframma prima ancora che l’udito.

Pensate che fra qualche istante con la divina Eucaristia voi diventate ancora una volta nella pienezza di consanguineità col Signore Gesù e attraverso l’Eucaristia noi fratelli e sorelle, riceviamo lo Spirito di Dio, quello Spirito, ci ha avvertito Paolo, grazie al quale il Padre ci strapperà dal sepolcro facendolo diventare come fuoco ardente la miccia della deflagrazione con la quale sconfiggeremo quei sepolcri che corrispondono a quella pietra che trattiene Lazzaro in quella ubicazione che non può essere il domicilio della gloria con cui il Padre intronizza il Figlio e che il Figlio comunica a tutti noi, perché anche noi prendiamo parte alla sua gioia, la nostra gioia sia piena perché molte dimore sono dove Lui va e ciascuno di noi avrà uno spazio, fratelli e sorelle, così ci educa il Vangelo di Giovanni. È molto importante fratelli e sorelle, noi che abbiamo a disposizione navigatori, mappature puntigliosissime degli spazi che abitiamo, grazie ai nostri artifici digitali, noi da questa liturgia impariamo l’atlante del futuro, la cosmologia della speranza, la beatitudine di una navigazione che trasfigura questi nostri passi stanchi in cui la sonnolenza che i discepoli vorrebbero far credere a Gesù sia l’unica malattia di Lazzaro, diventa invece la patologia del nostro cuore che si immerge in sepolcri esistenziali e reali, storici e oggettivi, come ci avverte Ezechiele, perché tutto di noi, fra pochi giorni, sia disponibile a vivere e a celebrare l’intero mistero pasquale perché si riconosca rivolta esattamente a noi e non ad altri, la suprema vocazione della condizione umana.

Lazzaro, vieni fuori.

Amen!

 

Trascrizioni a cura di Grazia Collini

L’immagine è la copertina dell’album «The Dark Side of the Moon» dei Pink Floyd (1973)

 

 

 

 

 

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