Omelie

«Contro la “comfort zone” il primato della “sfolgoranza”». Omelia del padre abate Bernardo per la XXII Domenica del Tempo Ordinario

Domenica 3 settembre 2023 – XXII Domenica del Tempo Ordinario

 

Dal libro del profeta Geremìa
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Omelia:

Cari fratelli e sorelle, ci si avventura sempre con maggiore trepidazione, passando gli anni, nel tentativo di rendere conto di parole come quelle proclamate e ascoltate, esse corrono il rischio di svariate banalizzazioni, rischio di un moralismo in forza del quale dovremmo assumere un atteggiamento virtuosistico di distanziamento dalle nostre aspettative, dalle nostre ambizioni, il rischio di lasciare inquadrare e incorniciare il dinamismo tutto spirituale, tutto pneumatologico nel quale il Signore afferma queste parole perché squarcino ogni ostacolo ad un cammino, ad una propulsione. E invece noi incorniceremo volentieri queste parole nella staticità di un dolorismo che premi ogni nostra velleità sacrificale con la quale elevare un altare dentro la nostra coscienza che bruci le nostre debolezze, le nostre fragilità, all’idolo di un perfezionismo ancora una volta autoaffermativo, confondendolo con la sovranità di un Dio remoto, lontano, fabbricato da questa nostra coscienza.

E invece oggi questa parola fratelli e sorelle, mi sembra che ci riporti davvero al paradosso di una incontenibilità del mistero dell’amore del Signore dentro qualsiasi parametro e protocollo umano, investendo anche i nostri perimetri personali di questa effusione di grazia, di luce, di verità, di autenticità che, confondendo i contorni di ogni nostra aspettativa di Dio, nello stesso tempo provvidenzialmente scontorna anche ogni nostra consapevolezza e certezza in nome di un passare oltre, di un andare avanti, di una approssimazione che segnala la provvisorietà insuperabile di ogni nostra  acquisizione fosse anche di carattere spirituale, ascetico, veritativo.

Illuminante può essere questa introduzione orante della colletta iniziale che ci ha invitato a domandare al Signore la possibilità di percorrere, torno a far mie quelle parole, vie che accrescono la vita, passaggio reso possibile, se il Signore ci dona la grazia della ispirazione di pensieri che siano secondo il suo cuore, perché non ci si conformi alla mentalità di questo mondo ma si segua le orme di Cristo.

Chiarissimo, ma credo a patto che sia lucida in noi la consapevolezza che in questa prospettiva paradossale la crescita che noi domandiamo non potrà certo essere una crescita per banale sedimentazione di conoscenza, di esperienza, di stati d’animo, di consapevolezze archiviabili in un patrimonio in una biblioteca che premia ancora una volta  il compiacimento col quale ci si possa sentire migliori, più maturi, più esperti, più consapevoli.
Non credo sia questa la crescita della nostra vita che noi possiamo e dobbiamo domandare al Signore e che lui ci autorizzi a domandare al Signore se scegliamo invece le vie del suo Figlio. E qui ci soccorre fratelli e sorelle, proprio il Santo la cui festosa memoria è opacizzata dalla priorità liturgica della Santa Domenica, Pasqua della settimana, San Gregorio.

Ne approfitto per fare gli auguri a un giovane ragazzo che cresce in spirito e grazia imitando il Santo di cui porta il nome.

Perché Gregorio Magno è l’autore di questo mirabile effato: Scriptura  cum legentibus crescit, la scrittura cresce con colui che la legge e questo verbo crescere risuona oggi e deve risuonare, non solo per omaggio formale a San Gregorio, uno dei più grandi uomini che lo Spirito ha donato alla Chiesa e al mondo ma perché questo crescere ci ricorda il dinamismo possibile della parola nel nostro cuore, nel nostro corpo e del nostro corpo nella parola, quando il nostro corpo, tutto di noi si lascia ospitare dalla parola, dove questa reciprocità cari fratelli e sorelle ci aiuta ad intuire, anche grazie alle folgoranti parole di Geremia, che non è una ospitalità indolore, non si tratta di accomodarsi nella parola di Dio e di lasciare che la parola si accomodi dentro di noi come dobbiamo e vogliamo fare con tutti i nostri ospiti, avendo a cuore che trovino una zona di conforto, come si dice oggi, ovvero uno spazio che si suppone messo al riparo dai turbamenti e dalle turbolenze di questo mondo.

No, non è così fratelli e sorelle, anzi la scrittura cresce in noi e noi cresciamo con la scrittura proprio riconoscendo una sua forza propulsiva ma proprio per questo anche distruttiva, disgregante, sfiancante, una parola che siamo disposti ad accogliere nella consapevolezza, uso un’espressione fortissima, che nostro Signore come si lamenta Geremia è un Dio seduttivo, di più, perché la parola seduzione ha anche una sua risonanza positiva, è un Dio manipolatore, così arriva a dire Geremia, lamentandosi a chiarissime lettere di tutto quello che il Signore gli ha fatto patire avendo scelto il suo cuore come dimora della parola, come possibilità di una alleanza non indolore ma un’alleanza intrusiva che rendesse la persona, il corpo, la vicenda di Geremia espressiva di questa eccedenza dinamica dell’amore di Dio, di fronte al quale fratelli e sorelle dobbiamo una buona volta comprendere che la scena di questo mondo non basta, che le nostre certezze, le nostre coordinate, le nostre aspettative, i nostri progetti non bastano a contenere questa forza intrusiva dell’amore di Dio, dovremmo essere noi finalmente disponibili, costi quello che costi, a questa azione a prima vista manipolatoria dell’amore di Dio ma che in realtà è funzionale alla costruzione di una prospettiva radicalmente nuova per la nostra vita, in forza della quale non possiamo pensare di poterci mettere al riparo nella cornice pur luminosa, pur bella, di questa nostra realtà, la quale può accontentarci ma mai soddisfarci.

E qui fratelli e sorelle, credo che non sia un caso che il Signore concluda questo invito fortissimo rivolto a Pietro e attraverso Pietro anche al diavolo, al divisore: seguimi, poniti dietro le mie spalle una buona volta, lasciati cioè ricondurre attraverso di me, tu che sei il diaballein, il divisore, il contrappositore, lasciati attraverso di me ricomporre, symballein al Padre celeste. E il Signore di fronte a questa affermazione davvero straordinaria afferma “Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”.

Sentite che c’è questa fortissima imminenza che il Signore Gesù vuole sottolineare, perché non è in gioco l’esito della carriera di Pietro e qui restiamo un po’ nella visione di queste parole come una sorta di correzione alla fine moralistica delle nostre ambizioni ecclesiastiche o civili o comunque tutta la nostra istintività psicologica, per tanti versi necessaria, di affermare il nostro io.

Qui il Signore Gesù, fratelli e sorelle, ci invita a dare una lettura esistenziale della nostra vicenda temporale cogliendola dall’estremo bordo, dall’estremo margine di tutta la storia, di tutti gli spazi, da quell’eschaton estremo, quell’ultimo orizzonte che noi scansiamo, a cui noi non vogliamo e non possiamo pensare, nemmeno più abbiamo a disposizione gli strumenti per arrivare a questa lettura profondissima, abissale, vertiginosa e vorticosa della storia.

Purtroppo nemmeno nelle chiese ci educhiamo più a questo punto di vista escatologico.

E dunque per forza di cose dobbiamo ragionare di buona psicologia, di buona condotta, di una giusta capacità di pettinare le velleità della nostra anima, diamine, come si dice a Firenze, c’è anche questo!

Ma scusate, il Signore vi chiede di uscire dalle vostre case, di domenica, nella giornata di festa e del riposo per farvi sorbire una lezione di morale e di educazione? Non pensate forse invece che il Signore vi aspetta qui per accendere di combustibile inesauribile il fuoco che, nonostante le manipolazioni, le seduzioni e le sofferenze ha tenuto ardente la passione di Geremia verso questo suo Dio intrusivo, che gli ha creato un sacco di guai ma che lui ha sperimentato come l’unica ragione che desse senso, autenticità, vastità a tutto quello che il suo cuore pativa e sentiva, come incommensurabilità che nessuna comfort zone, come si dice oggi, poteva mettere al riparo, nessuna promessa, nessuna comodità, nessuna sistemazione poteva in qualche modo placare.

Per questo noi, torno a dirlo con forza, voi, così inattuali nella vostra costanza domenicale, abbiamo bisogno, eccome se abbiamo bisogno, della liturgia perché abbiamo consapevolezza che settimana dopo settimana questo fuoco inevitabilmente è soffocato dai riscontri che, se ancora potrebbero dirci qualcosa di Dio, ce lo fanno sentire quanto meno, se non manipolatore, ingannatore, proponendoci prospettive che sono smentite da malattie ingiuste, da vicende incomprensibili e da distrazioni che si direbbero per tanti versi giustamente imperdonabili, quando chi le ha causate adesso porta una croce che non è certo minore della croce di chi ha perduto quei familiari, quei colleghi schiacciati da un treno che non doveva passare di lì a quell’ora.

Cioè comprendiamo davvero fratelli e sorelle che questa realtà di suo non basta, non basta, a dare senso alla nostra vita, significato, pienezza, amore, allora i casi sono due, o malediciamo la realtà e noi che ci viviamo, o proviamo a fare alleanza con questa dimensione di un amore, fratelli e sorelle, che per manifestarsi come tale ha questa forza disgregante, credibile perché colui che la testimonia per affermarla crescita in questa fiducia, in questa consapevolezza, in questa risoluzione, in questa speranza, lascia che questo amore paradossalmente lo distrugga, è il mistero della croce, è il mistero pasquale, è questa nostra disponibilità fratelli e sorelle che, attraverso quel fuoco, quella luce nelle tenebre, ci porta ad essere se non avvezzi quanto meno orientati a cercare la vita nella morte, il chiarore nell’oscurità più densa, il bene, la gratuità, la misericordia nel fitto paludoso e informe del male e del peccato.

Quindi come vedete sono percorsi estremamente difficili, sofferti, dove la crescita è tale perché mettiamo in conto che per trasfigurare in una dimensione di maturazione, di fermentazione di questa nostra consapevolezza che finalmente potremo dire seguendo Gesù, sempre più filiale, eccome se dobbiamo passare attraverso la morte, il fallimento, la cesura, la scissione, altro che comfort zone!

Perché anche questo deve destare la nostra inquietudine credente, la nostra testimonianza che noi possiamo giocare con le parole, possiamo proteggerci, possiamo crescere e far crescere intorno a noi delle ovatte protettive ma, il duello col mistero della vita deve trovarci pronti a riconoscere che senza spargimento di sangue, senza ustione, il Vangelo non fa per noi, non fa per noi ma non perché –sia chiaro- vi  voglia testimoni militarizzati di una fede autoreferenziale, e qui Matteo sta ponendo le fondamenta, direi così, i fondamenti costituzionali della sua comunità ecclesiale, questo suo personalissimo travaglio fra identità giudaica tutta giocata nell’autoreferenzialità di sangue, di osservanza, di circoncisione e il nuovo, il nuovo che è Gesù e che è questo oltranzismo dello Spirito.

E questo crinale oggi Matteo ce lo fa attraversare in questa consapevolezza fratelli e sorelle, di una comunità, tanto più accogliente, tanto più aperta, quanto più generosa, quanto più concentrata nella essenzialità di un baricentro senza il quale non c’è coscienza personale e comunitaria, ma questo baricentro non può essere l’identità statica dell’autosopravvivenza ma al contrario questo traforo interiore dove costantemente deve passare l’intrusione pasquale dell’amore del Padre che scavandoci dentro cerca le ferite che ha trovato aperte nella carne del suo Figlio Gesù per donarci il Suo Spirito di risurrezione.

Paolo lo dice in un linguaggio chiarissimo e fortissimo: “vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” né vitelli, né buoi, ma nemmeno ideologie fratelli e sorelle come saremmo tanto ben volentieri tentati di fare oggi per sentirci Chiesa muscolare pronta alle sfide della modernità. Non è questo il punto fratelli e sorelle, in gioco c’è il dinamismo delle nostre corporeità, delle nostre relazioni, delle nostre prossimità, delle nostre anche sacrosante capacità di sperimentare la grazia della solitudine, del silenzio e dello smarrimento, cose inattualissime in tempi di comfort zone.

E allora fratelli e sorelle questa credo sia la prospettiva ardua ma nello stesso tempo bellissima di una nostra indisponibilità profetica, vigilante, ardente a non lasciarci conformare a questo mondo, lasciandoci trasformare. Questa nostra disponibilità ad una passività, così pure inattuale in tempi di attivismo, passività che nello stesso tempo si fa declinazione deponente, nemmeno attiva, preciso, deponente, ovvero deponendo il nostro io ma facendo in modo che quanto riceviamo dall’azione trasformante del Signore diventi possibilità oggettiva di un rinnovamento dei nostri cuori.

Siate questa primavera vi prego, in questo autunno che inizia, siate testimoni di una crisi, di una vostra talvolta sofferta ma direi quasi ben comprensibile ribellione al Signore perché ciò dà valore alla vostra fede, dà valore alla vostra speranza, dà valore alla vostra carità, non abbiate paura di essere umani in Cristo davanti a Dio e a quanti hanno smesso o non riescono né a credere, né a sperare e né ad amare.

Vi siano di sintesi in questa mirabile consapevolezza inconsapevole e tuttavia ardente e determinata i bellissimi versi di Mariangela Gualtieri:

Questa sfolgoranza in noi preme

per combustare in fuoco. Essiccare

in diamante. Quanta vastità

dentro l’umano

e il lieve involucro del corpo

è un aggregato intorno al suono

che ci chiamò.

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

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