«Ascensione, quasi una prima comunione». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Ascensione
Domenica 24 maggio 2020 – Ascensione
Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Omelia della Messa Vespertina:
Fratelli e sorelle, non possiamo che iniziare da questo miscuglio così umanissimo, così verace, così rivelativo che l’Evangelista Matteo non censura nel momento vertiginoso del compimento, secondo il suo racconto, dell’esperienza di presenza fisica del Signore Gesù nel cuore dei suoi discepoli “essi lo videro e si prostrarono ma anche, dubitarono”.
Bellissima questa compenetrazione di esperienze a prima vista effettivamente contraddittorie, come si può nello stesso tempo prostrarsi e nello stesso tempo dubitare? E tuttavia questo realismo che Matteo non censura, non attenua, ci dice tantissimo anzitutto di come il Signore pensasse e sapesse la sua Chiesa, Lui ha il potere, lo abbiamo ascoltato, e a Lui è dato il potere in cielo e in terra, non alla Chiesa, la Chiesa è effettivamente una espressione di amore sostenuta certamente dalla presenza garantita dalla parola del Signore Gesù, vivificata dalla sua Pasqua e dalle energie del suo Spirito, ma non è una esperienza di potere, bene lo sappiamo tutte le volte che sperimentiamo semmai il potere del peccato, del male, la debolezza della nostra carne, la fragilità delle nostre dinamiche psicologiche financo dello spirito ed ecco che in questo realismo c’è spazio da un lato, certamente, per una adesione di adorazione a colui la cui parola, la cui bellezza, la cui attenzione, la cui cura, la cui missione ha conquistato il nostro cuore, dall’altro però c’è questa nostra riserva, questo attrito generato dalla nostra creaturalità, che in qualche misura sempre si indurisce come un callo dovendo resistere alla fatica del camminare la vita, del sostenere la fatica, del patire la ricerca, fino a diventare un callo per così dire refrattario all’irruzione di quella parola che salva umiliandoci, rigenerandoci, rinnovandoci.
E allora questo miscuglio oggi ci è proposto perché davvero l’Ascensione ci chiede un grande salto di qualità nella fede, della quale però vorrei dire anche che siete diventati in un certo senso maestri, in questa lunga quarantena. Sarebbe bello pensare, non lo dico per facile populismo, che accanto alla nostra parola, di quella porzione quantitativamente in realtà ridottissima di Chiesa che ha potuto ogni giorno di fatto celebrare il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, accostarsi cioè, comunicarsi con la viva presenza del Signore Gesù, dopo aver ascoltato la sua viva parola, si potesse udire come voi avete incontrato, sperimentato, riconosciuto il Signore Gesù nel tempo in cui per tante ragioni, non vi è stata data questa possibilità, generando peraltro, e non poteva essere diversamente, una vera ferita nel corpo della Chiesa.
Fate memoria, fratelli e sorelle carissime, non dimenticate, non disperdete le modalità con le quali lo Spirito Santo, presente nei vostri cuori, riversato nei vostri cuore, come dice Paolo ai Romani, vi ha in un certo senso educato, non dirò a supplire, non si può supplire l’Eucaristia, sia ben chiaro, non mettetemi in bocca pensieri che non ho, ma comunque a fare di questa situazione straordinaria l’occasione per non disperdere la vostra fede, piccola o grande che sia, soprattutto per non disperdere, ma anzi paradossalmente intensificare la fame, la sete dell’incontro con il Signore Gesù che io sono certo si siano rafforzati, in questo tempo di astinenza, di deserto, di Pasqua paradossale e questo a paradossale giovamento di una fede che quando è messa alla prova, svela da un lato la fallacia o per lo meno la provvisorietà di tanti nostri cangianti e variopinti desideri, che sono l’onda leggera, variegata che ci fa credere di tenerci a galla, viceversa diradandosi quelli come in una bassa marea invincibile, siete andati alla ricerca degli scogli che vi sottraessero alle sabbie mobili di un tempo si direbbe senza qualità, di spazi senza confini se non quello ristrettissimo delle vostre dimore e delle regole che ci hanno imposto, a noi che ormai da vari decenni siamo refrattari a parole come regole, disciplina, convenzione, perché le riteniamo ormai sintomi di vecchie culture superate.
Noi monaci viviamo nella regola, viviamo di disciplina, viviamo anche, perché negarlo, di un ordine che però è l’ordine che se conservato, conserva noi e ci svela questa dimensione del limite, fratelli e sorelle, questo sesto senso per cui non possiamo accontentarci di sopravvivere grazie a banali desideri, al contrario ancorarci a scogli fortissimi che, anche se l’acqua dovesse risalire, o la sabbia ancora inghiottirci, è uno scoglio affidabile, tenace, che svela il desiderio, la sete, la fame, che tengono veramente in vita.
Come siete riusciti a tenere desti questi desideri?
Sarà bellissimo potervi ascoltare a proposito fratelli e sorelle.
E’ uno scoglio che adesso vi rende possibile un ulteriore scatto, appena riceverete il meritato nutrimento, eccome se lo meritate! Certo ognuno di noi avrà inevitabilmente le sue colpe, i suoi peccati, anche questo diciamolo con onestà, la Chiesa è luogo di veracità, dove l’uomo e la donna imparano a riconoscere l’ombra che inevitabilmente produce qualsiasi presenza sotto il sole, l’ombra delle nostre apprensioni che tante volte in questi giorni hanno ceduto alla rassegnazione, alla disperazione, allo sconforto, privo di quella dinamica dello Spirito tutta pasquale che ci fa mettere a fuoco nel futuro uno zenit di grazia, ma il Signore è qui per donarsi come nutrimento, come scatto dello Spirito che vi farà drizzare su questo scoglio, voglio usare questa immagine, e mettere a fuoco finalmente l’infinito del cielo, non più quello in una stanza, come cantava Mina, se non sbaglio, ma l’infinito del cielo che sovrasta le nostre vite, sovrasta la storia, vorrei dire con forza sovrasta anche la Chiesa, sovrasta anche la Chiesa perché di fronte a questo cielo si ricorda di essere quel miscuglio umano e divino al servizio di una parola che troppe volte anche la nostra fragilità non testimonia con adeguata forza, purezza, decisione, abbandono, gratuità.
Allora su questo scoglio ci ritroviamo tutti, anche noi che abbiamo celebrato tutti i giorni e non per questo siamo migliori di voi, anzi, lo ripeto, io benedico la vostra pazienza, la vostra perseveranza, la gioia che vi fa sembrare, lo dico senza facile retorica, bambini e bambine alla Prima Comunione. Qualcuno si è appalesato così stamani al mio sguardo levandosi la mascherina, bambini alla Prima Comunione nello stupore di incontrare Gesù come ci insegnava il nostro parroco che a quel momento di grazia ci ha accompagnato.
Ed è necessario questo nutrimento proprio per ricalibrare la fede a queste misure umanissime, “dubitarono”, ma anche altissime, perché oggi anche questo il Signore ci dice attraverso la riflessione ecclesiologica, per usare un parolone, di San Paolo, perché una volta messa in chiaro questa nostra umana debolezza possiamo anche ricordarci cosa pure sia la Chiesa, che ha per capo Cristo “essa è il suo corpo, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”.
Ma queste meravigliose espressioni paoline che ci fanno capire come questo organismo architettonico pur meraviglioso è nulla in confronto alla pienezza dell’autenticità mistica trinitaria della Chiesa come corpo del Signore, proteso verso l’infinito, queste cose le diciamo dopo aver letto che dubitarono, perché è importante ricordarci anche questo lato un po’ scomodo, fragile, sdrucciolevole del nostro cuore, per non illuderci di essere automaticamente collocati in una dimensione che attraverso la scorciatoia della presunzione ci risparmi presuntuosamente da questo travaglio, l’alternanza sofferta del dubbio, dell’umanissimo dubbio e il misterioso divinissimo prostrarci alla sua presenza, e in questa prostrazione riconoscerci che non per merito, ma per grazia, partecipiamo di questa presenza, la tradizione mistica ebraica direbbe la “Shekhinah” di Dio nella storia: sono con voi, sempre, dovunque –dice Gesù- vi accompagno nella vostra missione.
Che è come se la Chiesa si assottigliasse per diventare per così dire, filo di luce capace di entrare anche nelle oscurità più impenetrabili, nelle serrature più complicate, dipanandosi per sconfinare anche oltre le barriere delle resistenze culturali, sociali, psicologiche più ardue, come era la mia di incredulità, prima della conversione.
E allora fratelli e sorelle, però, è anche la Chiesa, questo luogo immenso, corpo del Signore, pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose a dire cioè che nel nostro riconoscerci Chiesa, intravediamo profeticamente, quello che saremo, fratelli e sorelle, noi che siamo abituati a vivere il tempo come consunzione, invecchiamento, fragilità, indebolimento. No! Nella luce della Chiesa il tempo è promessa di un futuro di qualità inimmaginabile, per cui occorre ribaltare la prospettiva, non mi stanco di dirlo, e l’ingrediente che genera questa dimensione profetica, questa attesa profetica, che sbaraglia anche la morte, fratelli e sorelle e il peccato, è per l’appunto l’Eucaristia, resa incandescente dalla miccia della parola che ascoltate. Pensate a Emmaus, prima gli si riscalda il cuore a quei due increduli, disillusi, disperati, si direbbe il popolo del lockdown, i due di Emmaus, quest’anno tra l’altro le liturgie pasquali ce l’hanno fatto commentare due volte, però Gesù si accosta, parla della sua parola e gli si scalda il cuore, ma non basta, non può bastare, sarebbe come dire, accontentatevi dello streaming, ho fatto un bel discorso, sono contento, posso chiudere la diretta, spengo Angelico e mando a casa voi. No! No!
Occorre un evento perché accada in noi quello che è già accaduto e che accadrà nella storia in questa dinamica formidabile con cui la Chiesa può annunciare la pienezza di tutte le cose, in Cristo che ascende al cielo, che cioè porta con sé una primizia di umanità che vince le leggi di gravità, che vince i condizionamenti fisici, psicologici cui soggiaciamo troppe volte.
Questo evento è l’Eucaristia, celebrata, consumata, gustata, direi proprio con forza, goduta, per questo oggi insisto su questo approccio al mistero dell’Ascensione perché è la vostra Prima Comunione, quindi ve ne devo parlare, di cosa significhi questo incontro col Signore che non è solo, anche, ma non è solo un intimo colloquio della nostra anima con Gesù, come pure una lodevole tradizione ci ha invitato a vivere, ma in realtà fratelli e sorelle accade qualcosa che è davvero di cosmica rilevanza nell’intimo dei nostri cuori per rendere i nostri corpi annuncio profetico di una novità che non ha confini e che si situa proprio in questa verticalità abissale dove si colloca il corpo del Signore Gesù, perché questa è l’Ascensione, il corpo del Signore Gesù che vince la gravità, e questa dinamica accade profeticamente anche nei nostri corpi nella misura in cui ci comunichiamo al suo corpo, in forza dell’Eucaristia, dopo aver prestato fede alla sua parola e prostrandoci, fra qualche rivolo meno limpido di dubbio, ecco il nostro consegnarci a questa grazia.
Ma in fondo fratelli e sorelle, lasciatemelo dire, chi e cosa ci dice prospettive vorrei dire più belle sulla nostra condizione umana? Lasciamo perdere il più vero, il più giusto, il più ragionevole, semplicemente più bello, chi ci consola meglio di queste parole, chi ci solleva meglio di queste parole, chi ci incoraggia meglio di queste parole, chi libera meglio le nostre vite, i nostri sensi e la nostra intelligenza di queste parole?
Che cos’è l’Ascensione se non questa liberazione, vorrei quasi dire, guarigione da ogni condizionamento.
Abbiamo aperto le porte, e concludo, non solo per ragioni igieniche, ci hanno raccomandato che più porte aperte abbiamo e più aria circola e meno il virus può intrattenersi in mezzo a noi, ma devo anche dirvi che queste porte aperte, compresa la nostra Porta Santa che dal millenario in poi è più aperta che chiusa, ecco significa proprio questa capacità di riconquistare gli spazi, i tempi, in una prospettiva che finalmente riconosce gli scogli affidabili su cui poggiare i nostri piedi senza più timore di affogare, questa roccia, questo scoglio è Cristo che si fa fondamento, che rende possibile quello scatto con cui poterlo inseguire nell’orizzonte infinito del cielo e così tutto si salda della nostra storia e della nostra vita, la necessità di fondamenta che esigono la nostra cura, la nostra responsabilità, Papa Francesco ce lo ricorda tante volte, ma anche cieli sconfinati che esigono un raffinare sempre più insistente e dedicato di quella spiritualità, per alimentare la quale da oggi riprendiamo insieme il nostro cammino, nel solco fecondo e verace della divina liturgia. Amen.
Omelia del mattino:
Ecco, è consentito al celebrante quando proclama la Parola, quando parla, di abbassare la mascherina tanto la distanza è abbastanza mantenuta. Non useremo i guanti per la distribuzione dell’Eucaristia perché è prevista la possibilità di igienizzare abbondantemente le mani, quindi preferiamo fare così, voi stenderete la mano e noi ve la depositeremo un po’ a distanza e prima di iniziare la comunione io dirò “Il corpo di Cristo” e voi direte “Amen” e verremo noi da voi.
Che dire? E’ una celebrazione un po’ asettica, dovremo essere anche un pochino più brevi, infatti non abbiamo cantato, questa omelia sarà un po’ breve perché la macchina liturgica si è rimessa in moto, pubblicamente, dopo un lungo periodo di sosta.
Non che noi avessimo mai fermato le celebrazioni, anzi, mi piace dirvi subito che abbiamo sperimentato in modo ancora più profondo questo mistero che innerva di sé la Chiesa e cioè il mistero della comunione, cioè la mistica partecipazione dell’amore trinitario di ogni realtà in senso generale, in modo particolare di ogni membro vivo della Chiesa. Questa scoperta, o riscoperta, oggi ci è particolarmente necessaria perché l’Ascensione è una grande e bellissima festa di speranza, dove per così dire siamo addestrati a riconsiderarci in questa dimensione interpersonale che rende la Chiesa davvero unico corpo del Signore, quindi devo dirvi che il fatto che la prima celebrazione domenicale a cui potete assistere, sia proprio l’Ascensione è un bel segno, anche se molti non possono esserci perché prudenti, per alcune loro buone ragioni o scoraggiati dall’idea di essere esclusi, però devo dirvi che voi che ci siete sperimentate questa dimensione che rende, per usare la parole di Sant’Agostino, questa festa una grande scuola di speranza perché egli dice, il Padre ha voluto far vivere alla nostra consapevolezza di fede, una scansione temporale ben determinata, funzionale proprio all’addestramento alla speranza con la quale si qualifica la nostra fede ed entrambe si carburano per così dire con l’amore. Quale è questa scansione? La scansione è questo, cioè: poteva in effetti risorgere il Signore Gesù, come è risorto, capo dell’unico corpo che è la Chiesa e trascinare con sé tutta la Chiesa, tutta la compagine ecclesiale, tutte le membra? -si domanda Agostino.
Perché non lo ha fatto? Ecco, per questa ragione, avere il capo, cioè Cristo nell’alto dei cieli significa rieducare tutte le membra del corpo che è Chiesa a guardare in alto, a volgere il cuore, i sensi, l’intelligenza verso uno zenit, diciamo pure così, esercizio da cui scaturisce una speranza quale chiave interpretativa della realtà tutta intera.
E ci sembra una bella prospettiva quella delineata da Agostino, certo, l’addestramento della speranza passa attraverso i tornanti della storia, le fatiche della storia, i sudori della storia, le lacrime della storia e ne abbiamo versate e ne versiamo tante in questo periodo così colmo di curve, però effettivamente devo anche dirvi che c’è qualcosa di epico, di grandioso, in questa prospettiva, rende le nostre vite soggette certamente all’attrito, alla fatica della storia, ma per così dire ci risparmia il Signore dalla tentazione di una sorta di funivia, paghi il gettone, arrivi in vetta, vedi tutto dall’alto, ma in una modalità tecnologica, virtuale e non hai il gusto della fatica, non hai l’avventura della scelta del sentiero, non misuri le tue forze, non conosci veramente te stesso, con i tuoi dubbi, le tue fatiche, le tue tentazioni ma anche quella molla, quello scatto per cui vuoi ascendere verso l’alto sapendo che in Cristo risorto l’alto, il crinale, la vetta è la mia meta, non la scorciatoia. Ecco, questa pagina di Vangelo come vedete include anche una ennesima prova di dubbio dei discepoli. Quindi ci fa sentire come su questa scorza umana si giochi questo allenamento alla speranza.
Però anche se in piccolo numero lo troviamo veramente essenziale da testimoniare, tanto la forza, la consistenza del dubbio, che segnala la nostra fragilità, quanto l’aspirazione sostenuta proprio dallo Spirito Santo a non arrenderci al dubbio e a mettere un piede dopo l’altro in salita per arrivare a questa prospettiva ascensionale che ci permetta, lo ripeto, una lettura unitaria di sintesi della storia e della realtà, in quella prospettiva altamente simbolica (symballein-mettere insieme) che ci dice da un lato un grande esercizio di intelligenza, dall’altro anche un grande esercizio di amore, una iperconnessione delle cose nel nome dell’amore, con la forza dell’amore, con la passione e l’intelligenza dell’amore.
Ecco tutto questo è consegnato all’intelligenza della nostra fede dalla celebrazione dell’Ascensione che, come ripeto, si colloca davvero come una festa anche di ritorno per tutti noi, qui in questo luogo, intorno a un altare, è vero abbiamo già iniziato le celebrazioni lunedì, ma questa è la prima celebrazione domenicale, pasquale, tutto ha inizio da qui.
Ripeto con questa sottolineatura molto importante, siamo qui più corpi che ascoltano la stessa parola del Signore, che si nutrono, si cibano dell’unico pane, per essere costituiti davvero, unico corpo del Signore. Ecco questa grazia di aggregazione oggi ha questo significato profondamente illuminante e consolante, essere davvero un farmaco di speranza per noi che in questo tempo indistinto che abbiamo vissuto a casa, molti lo hanno chiamato tempo sospeso, si va dalle analisi di raffinati sociologi fino alle battute del comico -ci diceva con una certa intelligenza Pieraccioni, ha paragonato questo tempo a quando si rompe l’ascensore e si sta lì fermi- ecco io devo dirvi che preferisco chiamarlo un tempo di fermentazione, nella penombra, nella marcescenza, quando davvero il tempo si allenta, lo spazio si condensa, ma tutto questo provoca anche una fortissima trasformazione bioenergetica delle nostre strutture personali.
Quindi è una grande occasione da non disperdere. Quindi io, in modo ancora molto confuso perché ho perso un po’ l’abitudine a parlare al grande pubblico, è vero ci sono state puntualmente, anche stasera, le cosiddette Messe in streaming su facebook. Sono diventato virale, non nel senso che ho preso il virus spero, ma perché mi hanno detto che in effetti questo modo un po’ strampalato di celebrare è stato condiviso, insomma non voglio cedere alla civetteria ecclesiale. Fermiamoci qui.
Diciamo questa dimensione del parlare a tante persone dal vivo l’avevo un po’ persa quindi perdonate se le mie riflessioni sono un po’ imbrogliate ma concludo con questa importante raccomandazione.
Trattenete nella memoria e riportate al cuore tutti questi giorni, io già avverto con le prime uscite, che poi per noi sono molto limitate, ma un po’ lo sgretolarsi il patrimonio di esperienze distillate in questi lunghi giorni e vorrei che questo non mi accadesse, non ci accadesse, perché è stata una esperienza inedita, straordinaria, di sofferenza ovviamente, di morte, ma anche di un limite che come tutti i limiti è stato capace senz’altro nel cuore di tutti noi di raffinare altre percezioni, altri sensi, altre modalità di lettura e di quantificazione della realtà, interiore ed esteriore.
Non disperdiamo queste potenzialità, non cessiamo di accorgerci e di segnalarci quanto questa esperienza ci ha trasformato, come dire, non abbiamo l’ansia di ritornare nella cosiddetta normalità di prima, senza volerla giudicare migliore o peggiore, l’uomo resta l’uomo, già il Qohelet, ci avverte, niente di nuovo sotto il sole, quindi non io credo che avremo e sperimenteremo grandi trasformazioni, ma quello che però importa è, almeno noi che siamo dal Vangelo educati all’ascolto, all’attenzione, alla cura, veramente non perdiamo di vista quanto lo Spirito Santo ci ha trasformato, anche in rapporto all’esperienza del mistero. Questo è qualcosa che ci dovete dire voi, noi le Messe abbiamo continuato a celebrarle ordinariamente, voi ci dovete dire a noi clero come ve la siete cavata senza la presenza corporea del Signore Gesù. Ma questo mica ha significato che avete perso la fede, che non avete avuto una esperienza di Cristo, che lo Spirito Santo vi abbia in qualche modo dimenticato e distanziato dalla economia trinitaria, impossibile questo anche perché sennò non sareste qui. Quindi abbiamo un patrimonio diverso ma comune da condividere, quindi lancio questa idea, quando ci sarà possibile nelle modalità che affiancheranno la liturgia, di raccontarci un po’ meglio come abbiamo vissuto questo tempo, in un senso profondo ovviamente, non tanto quello che s’è mangiato.
Ci interessa invece capire cosa ci è cresciuto dentro. Questo sì.
Grazie per la vostra presenza, grazie per la vostra preghiera, grazie anche per aver partecipato alla morte di Don Nicola, una vita lunghissima, 98 anni ma come tutte le lunghe vite assomigliano magari a quella quercia a quel cipresso che dà forma e qualità a un giardino, quando una tempesta lo abbatte si resta veramente spaesati, così è successo a noi per Don Nicola e quindi ecco, il vostro conforto e la vostra vicinanza, ci hanno aiutati e nello stesso tempo, visitati dalla morte, ci siamo sentiti un pochino ancora più vicino alle persone che l’hanno subita in modo anche più oltraggiose, perdendo persone giovani, in questi giorni così terribili. Amen.
Trascrizione a cura di Grazia Collini
La fotografia è di Giacomo Costa