Omelie

«Ben oltre le colonne d’Ercole». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità di Gesù Cristo Pantokratore

21 novembre 2021 – XXXIV Domenica del tempo ordinaro (B)

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

 

Dal libro del profeta Daniele
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, oggi la parola del Signore ci invita a riscoprire un’esperienza sorgiva della nostra esistenza, ci invita ad andare controcorrente, a risalire il flusso della nostra vicenda biografica, storica, ma in uno sguardo più ampio vorrei dire anche sociale, culturale, istituzionale, tutto quello che conferisce alla nostra caotica esistenza un principio di ordinamento, di riconoscibilità e di misurabilità, attraverso diversi paradigmi, ognuno con la sua validità, la sua legittimità politico, istituzionale, culturale, sociale ma anche scientifico.

Già porci questa prospettiva ci sembra un singolare guadagno, oggi siamo tutti esposti ad un riduttivismo che sembra sollevarci dal porci questioni e dal porci in questione, e conseguentemente la fatica austera di ricavare un possibile metodo, una possibile chiave di lettura, un sistema di misura con cui pensarci nell’esperienza del vivere.

Ma il Signore Gesù va oltre, ci chiede lo sforzo di risalire ad un principio veritativo che stia a monte dei diversi possibili paradigmi con cui pensarci, con cui dare ordinamento a quell’esperienza  frastagliata e incommensurabile che è la vita stessa, nella sua dimensione organica, psicologica, relazionale, che per sua natura e con la forza libera e liberante che le è propria, sembra sfuggire a qualsiasi possibilità di essere inscritta in una dimensione di verità, di oggettività. E la tentazione che ci attraversa è quella di lasciarla nella più totale relatività, nel cogliere della vita la sua possibilità, il suo darsi, anche come occasione preziosa, sia chiaro, che la fede mi permette di agguantare per dare un certo significato ai miei giorni.

Ma la parola di Dio e lo sforzo, anche intellettuale che la parola di Dio propizia, perché non ci stancheremo mai fratelli e sorelle di dirci che la nostra fatica con cui aderiamo, o per lo meno tentiamo di aderire alla parola che rivela il mistero di Dio, con cui tentiamo di obbedire al ritmo che la liturgia ci chiede di riconoscere come vera misura e vero calendario dei nostri giorni, impone sì uno sforzo intellettuale, e non solo cordiale, ma porta con sé delle conseguenze che rafforzano -a noi questo pare- la modalità con cui abitare questa nostra realtà, lasciarci sollecitare da essa, risvegliare ogni nostra consapevolezza e potenzialità, autenticamente umana.

Insomma la fede non significa affatto delegare a qualcun altro le nostre inquietudini, i nostri tormenti, le nostre grandi domande, anzi, significa ispessirle e renderle, con la elasticità propria dello Spirito, capaci di includere tutto della nostra esistenza, da un capo all’altro, e nemmeno la morte, e nemmeno la nascita, fratelli e sorelle, saranno le colonne d’Ercole insuperabili per questa nostra sete di senso e di significato.

Ed è proprio perché il Signore ci vuole oltre le colonne d’Ercole, che ci invita a riconoscere come coloro che venendo dalla verità, ripongono il loro ascolto in colui che oggi si qualifica attraverso una regalità che non ha i confini provvisori e cangianti di questa nostra realtà storica, il suo Regno non è di quaggiù, lo abbiamo ascoltato, ma non perché Egli ci voglia tradurre ed esiliare in una generica quintessenza spiritualistica dove sentirci cittadini di altre realtà, altre dimensioni storiche e sociali, chiusi in un perfezionismo geometrico dentro il quale finalmente sentirci al sicuro. No! La grande e austera fatica del Vangelo è proprio questa, tentare di inscrivere l’assolutezza della regalità del Signore Gesù con il suo essere alfa e omega allo stesso tempo, e questa autoqualificazione che ci viene consegnata stamani dal Libro dell’Apocalisse, che troviamo raffigurato nel grande mosaico absidale, è di suo un paradosso che mette a dura prova qualsiasi nostra forza di concettualizzazione di un ente personale dentro il quale risiede il principio e la fine. Ma tant’è! Questa è l’autoqualificazione del Signore Gesù, essere principio e fine.

Umanità e divinità, storia ed eternità.

Ed è esattamente in questo paradosso che noi siamo invitati ad inscrivere la nostra storia, le nostre storie, la nostra realtà, le nostre realtà.

Ed è uno sforzo faticoso ma bellissimo, fratelli e sorelle, è lo sforzo per il quale voi siete qui adesso, riconoscendo nei perimetri ben determinati di questa Basilica, uno spazio nello stesso tempo transeunte ed assoluto, riconoscendo nell’accoglienza di questa parola l’utilizzo di sillabe sottoposte al gusto e ai codici del tempo presente, non a caso deve esistere anche un aggiornamento nella forza semantica nelle parole che noi per fede riconosciamo come Scritture che contengono la parola di Dio, e tuttavia nella loro dinamica transeunte, sentiamo che vi risuona il silenzio assoluto del Padre che si squarcia soltanto per donarci il Logos, il Cristo unigenito, Figlio che è la sua autentica parola.

E ancora fratelli e sorelle, noi stiamo per ricevere, ponendo così fine ad un digiuno esistenziale, quel frammento di pane, e se ce lo permettesse la fine della pandemia, un goccio di vino, riconoscendo che in questa semplicità alimentare e dietetica sta niente di meno che quella vita divina che vuole traboccare nei nostri corpi, nei nostri cuori, nei nostri pensieri, per farci diventare “fiale”  dice Nicola Cabasilas nel 1300, fiala vivente della presenza di Cristo.

Allora fratelli e sorelle, sentite come siamo messi a dura prova, e dopo questo esercizio di ascolto con il quale prestiamo fede ad una persona che nello stesso tempo viene dalla verità, è sorgente di verità, è verità essa stessa e ci conduce alla verità -e così la verità cessa di essere un concetto statico, frutto di semplice riscontro fattuale, ma è davvero esperienza che cammina nella storia, senza tradire sé stessa, ma accompagnandoci nel mistero dell’essere, che proprio per questo diventa un esserci, noi fratelli e sorelle, dopo questa fatica di ascolto abbiamo anche, devo dirlo davvero fratelli e sorelle, una sorta di mirabile collirio che ci viene donato dallo Spirito Santo per stropicciarci gli occhi ed avere questa capacità di visuale che abbia la stessa audacia, la stessa ampiezza, ma anche la stessa capacità di dettaglio, di frammento.

Oggi accanto all’ascolto centrale della parola che il Signore Gesù rivolge a colui che in realtà potrebbe ascoltare, potrebbe vedere, dunque essere fedele alla sua coscienza, ma voi sapete, come risponde Pilato a questo incalzare quieto del Signore Gesù: “Che cos’è la verità?”

Che non è una domanda, sia chiaro, filosofica, sapienziale, potrebbe esserlo, Giovanni come al solito è mirabilmente bivalente, ambiguo si direbbe. “Che cos’è la verità?” in bocca a Pilato non è la fatica per la quale voi siete qui stamani fratelli e sorelle, degni di mirabile apprezzamento perché avete vinto il sonno, la distrazione, la persuasione che ci hanno lasciato nel cuore questi lunghi mesi di pandemia, in fondo alla celebrazione eucaristica si può e si può non andare, a limite ci possiamo assistere in televisione. No. Non può esser questo. Sentiamo come questa intensità di verità chiede che i nostri corpi siano presenti, per diventare concorporei alla parola del Signore Gesù, alla sua carne, al suo sangue e non c’è internet, non c’è diretta facebook, non c’è televisione che basti in questa prospettiva.

E invece Pilato fratelli e sorelle, è lì che si domanda  banalmente, ma che vuoi che sia la verità, lasciala perdere la verità, e tradisce così la sua coscienza perché egli ha perfettamente capito che Gesù non è venuto per minacciare l’impero romano, non è venuto per fare della Giudea una nuova, ennesima patria alle legittime, ma pur sempre provvisorie, sbandate, velleità sovraniste, si direbbe oggi, di un manipolo di patrioti e zeloti. No! Che cos’è la verità è la domanda fortissima che stura, circoncide le nostre orecchie e, finalmente, rende i nostri occhi capaci di questa visione i cui contenuti ve li dico con la prima parola che abbiamo ascoltato, il Profeta Daniele:

“Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo..”

Guardando nelle visioni notturne.

E ancora, avete ascoltato il Libro dell’Apocalisse:

“Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.

Sì, Amen”

E allora fratelli e sorelle questa visione, propiziata da un ascolto di una parola che viene, è e ci conduce alla verità, ci permette di restituire alla nostra oretta a San Miniato, un poco più quando vi tocca Padre Bernardo, una forza immaginifica oltremodo necessaria, che non si accontenta e non si accontenti mai di misurare la realtà come vorrebbe fosse misurata una cosiddetta tradizione scientifica, empirica, sensoriale, assetata di riscontri importanti, ma pur sempre costretti all’evidenza di quello che noi tocchiamo.

Oggi invece lo sguardo si amplia, si dilata, con una pupilla capace di includere e superare l’alfa e l’omega, non c’è colonna d’Ercole per noi, Ulisse del Signore Gesù e come tali capaci di trasformare in realtà quello che per il mondo antico è un mito, e che per noi invece è esigenza fortissima veritativa nel pellegrinaggio di questa nostra vicenda personale, biografica, comunitaria, storica.

Per cos’altro dobbiamo vivere fratelli e sorelle?

Rivendico alla vita monastica questa sua capacità di visione, noi che non serviamo assolutamente a nulla nella Chiesa e nel mondo, noi che non abbiamo una progenie biologica, ma neanche una missione troppo pastorale, ci possiamo permettere il lusso, che condividiamo con voi che un pochino avete evidentemente pure, questo -starei per dire baco- senza offesa, altrimenti non verreste qui alle nostre lunghe liturgie, oggi arricchite dalla nostra corale monastica, in questa spoliazione di funzionalità noi siamo invitati a chiederci davvero ancora più nitidamente e coraggiosamente il perché della vita.

Perché siamo vivi?

Non ci può bastare semplicemente mettere al mondo altri figli, non può bastarvi, noi dobbiamo avere il coraggio di risalire, come si diceva all’inizio, all’alfa e all’omega, di più ancora, andare oltre, ed ecco che si affaccia fratelli e sorelle, questa immagine, sovrana del Signore Gesù, dell’uomo Dio, che fa della verità un contenuto di amore, anzitutto ricevuto e accolto dal Padre, per essere testimoniato nella forma crocifissa, cioè nella forma capace –ce lo ricordava molto bene Enzo Bianchi proprio ieri- di trasformare la morte in vita, la sofferenza in dono, il limite in nuovo inizio.

Una dinamica  cioè che fa dell’apparente inerzia, entropia, cui è sottoposta la grande massa energetica che ci attraversa anche biologicamente, uno spazio in cui nascondere un seme di novità, un seme di speranza, un seme di attesa, un seme di desiderio per non lasciare l’ultima parola alla rassegnazione.

Di qui la grande sovranità di cui ci parla il Signore Gesù, che non è soltanto concettuale, quella concettualità cui, per vostra sventura, stamattina cerco malamente di  condurvi, ma è anche una esperienza, e qui il respiro si allarga, di non rassegnazione nelle nostre dinamiche con cui impariamo così a perdonarci, perché sulla regalità del male sta sopra la forza sovrana dell’amore che perdona, sull’apparente signoria della morte cui è consacrata questa collina, come recita una lapide ottocentesca in questa mirabile necropoli, sta invece la signoria pasquale del Signore Gesù, sui limiti delle nostre competenze che la sapienza della parola rivelata ci ricorda contro ogni presunzione, sta, fratelli e sorelle, la sophia dell’amore di Dio , quella sapienza di cui è riverbero fra tanti altri fenomeni di bellezza di questo luogo, il nostro zodiaco, che sintetizza da un lato la struttura geometrica della realtà posta in essere da Dio, perché questa nostra vita non sia inghiottita dalla dinamica incontenibile, frastagliata della nostra vita organica, e accanto a essa e tuttavia al centro, lo vedete, c’è un sole che dà luce a tutta la realtà stessa e smuove le cose perché oltre ad essere spazio statico siano anche tempo, e tempo misurabile.

Questa è la sophia che noi possiamo soltanto contemplare e ascoltare, tentare di decifrare, ma mai possedere.

Ecco il senso di questa ricerca che ci attraversa, ci risveglia e fa voi essere qui, dopo avere sapientemente deidolatrato tutti i vari presuntuosi che vorrebbero porsi di fronte ai nostri occhi e nel nostro cuore come i signori di quello o di quell’altro mondo, di quello o di quell’altra sovranità. Tutto via!

Spazzato via dal vento dello Spirito.

Per essere nudi davanti all’unico vero sovrano, il quale ci riveste, lo avete ascoltato fratelli e sorelle, dell’abito più bello che fa della nostra nudità lo splendore nel quale si rispecchia l’amore del Padre in Cristo, quell’unzione sacerdotale che avete ricevuto nel Battesimo e che ci rende sacerdoti, popolo sacerdotale, pontefici siete e siate, nella città, per aprirle un ponte di luce che le ricordi il cielo da cui viene, il cielo in cui è attesa, il cielo in cui approderà. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La foto è stata scattata a Napoli nel 2005 da Gabriele Basilico

 

 

 

 

 

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