«Il vero tesoro per la vera vita». Omelia del padre abate Bernardo per la XXXII Domenica del Tempo Ordinario
«Il vero tesoro per la vera vita». Omelia per la XXXII Domenica del Tempo Ordinario
11 novembre 2018 – XXXII domenica del tempo ordinario (B)
Dio grande e misericordioso,
allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te,
perché, nella serenità del corpo e dello spirito,
possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio.
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».
Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.
Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Omelia:
Fratelli e sorelle ancora una volta lasciamo che lo Spirito risvegli in noi la consapevolezza del perché siamo qui, vorrei quasi dire a cosa serve stare qui.
Fratelli e sorelle, la liturgia alla quale voi peraltro prestate obbediente disponibilità, domenica dopo domenica, e oggi lo fate anche in una giornata in cui è più difficoltoso salire a San Miniato, è un meraviglioso laboratorio attraverso la persuasione della bellezza, della dignità, della consapevolezza e dell’attenzione, è un grande laboratorio di fede, di speranza ed una grande esperienza di amore che ci riporta a un momento importante, testimoniato dalle parole che abbiamo ascoltato, e cioè un momento in cui riconosciamo una grazia speciale che propizia la fede e cioè l’ascolto.
Voi avete ascoltato come il profeta Elia chiami questa povera vedova e dica:-prendimi un po’ di acqua in un vaso perché io possa bere-.
Un profeta che denuncia la sua sete, la sua necessità e il suo bisogno.
E il testo ci dice come questa donna, di fatto, si alzi per andare a prendere dell’acqua, a questo movimento si aggiunge una nuova richiesta che segnala un’ulteriore esigenza, che mette in un certo senso in gioco la sopravvivenza di questa donna. Ecco, io voglio precisare con voi l’importanza di questo movimento con cui questa persona che, anche se il testo non lo dice, è facile immaginare che si alzi per sollecitudine, per disponibilità, per accoglienza, sono parole che ci riportano esattamente alla dinamica di grazia e di mistero nella quale e per la quale noi siamo qui, questa volta noi assetati e nello stesso tempo però mirabilmente circoncisi nell’orecchio dallo Spirito Santo, per ricevere una parola che per così dire, ci lasci virare dal percorso, dalla rotta e dalle traiettorie che le nostre frettolose consuetudini avevano già previsto per la nostra vita e ci impongano quasi una novità di esperienza che rigeneri la nostra vita, una volta che con umiltà la riscopriamo assetata e affamata di senso, di verità, di grazia, di bellezza, di amore.
Ed ecco allora, fratelli e sorelle, che attraverso questa parola e questo ascolto, impariamo con quello che ci è stato descritto, un vero e proprio miracolo, propiziato da un ascolto che ha poi potuto permettere una fiducia, una fede con cui questa donna davvero si è resa disponibile ad una richiesta umanamente impossibile, da cui è scaturita una sovrabbondanza imprevista, tanta farina, tanto olio, tanto cibo per poter continuare la propria esistenza. E questo miracolo prodigioso è davvero la fede, quella fede con la quale noi oggi siamo qui, fratelli e sorelle, per lasciarci interpellare dalla parola, per riscoprirci in un dialogo e soprattutto per sentirci dissetati e sfamati da una sovrabbondanza miracolosa, da un irrompere imprevedibile di Dio nella nostra vita attraverso la sua stessa vita divina in quella Eucaristia che oggi vogliamo riscoprire come il prolungamento di quella sovrabbondanza di nutrimento che ha permesso ad una povera vedova e a un suo figlio di vivere il tempo, non più come maledizione, avete ascoltato -ci siederemo e moriremo- ma come un dono nel quale finalmente magnificare una provvidenza che opera, che agisce nella nostra storia e nella nostra vita.
Noi fratelli e sorelle, pur messi alla prova da tante difficoltà, da tanti enigmi che faticosamente non decifriamo mai abbastanza come mistero, da tante sofferenze, da tante perdite, da tanti dolorosi imprevisti, il Signore ci trasforma in testimoni e messaggeri di questo agire dell’amore di Dio che rende sovrabbondante un nutrimento davvero essenziale per la piena dignità della nostra condizione umana, la quale non può limitarsi ad una sopravvivenza nel contingente ma, attraverso la sapienza della fede, a liberarsi da ogni idolo e a imparare a confidare nell’amore con cui il Signore non smette di guardare alla nostra esistenza per una ritrovata esperienza di libertà -sto citando, forse lo riconoscete quel meraviglioso inizio orante di questa celebrazione dell’Eucaristia nella quale abbiamo chiesto al Signore di sostenere la speranza dei poveri perché imparino a confidare nel suo amore, in una esperienza che tuteli così la loro piena libertà. Il che significa, fratelli e sorelle, respingere tutti quegli idoli che, come surrogato dell’amore del Signore e loro mistificazione, parrebbero garantirci sopravvivenza a scatola chiusa, per così dire, senza liberare, schiudere, la ricerca di quel mistero che esige un percorso se necessario anche nel deserto dove apprende l’arte dell’attesa, l’arte della fede, l’arte dell’ascolto, l’arte del consegnarci ad una rigenerata speranza di amore, proprio in uno spazio così desolato come quella traiettoria alla quale il Signore ci prepara in modo tutto speciale nell’anno liturgico in Quaresima, ma che in realtà vorrei fosse un tratto più abituale della nostra esperienza della vita, anzitutto, dove troppe volte viviamo le difficoltà come il frutto, o di una distrazione di Dio, o di una nostra presunta maledizione o di una nostra frustrante incapacità.
Ecco, impariamo a leggere tutto il mistero della vita attraverso questa lente bellissima e questo laboratorio prezioso che è la liturgia, che non deve semplicemente servirci a soddisfare un dovere, fratelli e sorelle, per tirare dalla nostra parte il Signore, ma deve essere una scuola complessiva e totalizzante di qualificazione della nostra condizione umana la quale è veramente tale quando, rigenerata nella figliolanza, impara a riscoprire fame, sete, di bellezza, di intelligenza, di senso, di sapienza, vorrei dire in una parola di definitività.
Ed ecco la prospettiva con la quale leggere sempre di più, fratelli e sorelle, questo spazio come un’anticipazione di quell’infinito di quella eternità che grazie al Signore Gesù noi possiamo sperimentare in una vertiginosa assimilazione al suo movimento di amore, resa possibile non certo dalle nostre forze, tanto meno dalle nostre presunte innocenze, ma semmai da quello Spirito Santo che imprime anche ai nostri corpi quel movimento che vi ha portato ad essere qui, per scegliere se essere nel segno dell’apparenza vistosa che assimilerebbe la nostra fede a quella degli ipocriti o di quei ricchi che si limitano a gettare anche tante monete, ma senza tocca l’essenziale del loro cuore, o piuttosto assimilare questo nostro essere qui ad una consegna esistenziale radicale della nostra vita.
E questo è possibile, non perché dietro di me c’è un serbatoio nel quale io vi chiedo di depositare i vostri soldi, assolutamente no, e guai se questo facessi, perché in realtà se avete compreso molto bene grazie alla Lettera agli Ebrei, quel tempio nel quale quella donna, pur lodevolmente, deve gettare i suoi pochi spiccioli per un’esperienza assimilabile davvero ad una consegna di tutta la sua vita al Dio della storia che è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Israele, è sostituito dal corpo stesso del Signore Gesù, comprendete fratelli e sorelle questo salto di qualità fondamentale? Lo stiamo imparando domenica dopo domenica, prestando attenzione a questi momenti bellissimi della Lettera agli Ebrei e oggi vi è quasi più facile coglierne tutta la sua pregnanza anche estetica, perché a San Miniato la parola si commenta anche guardando questo luogo: osservate per esempio la volta, l’intradosso come si dice, di questo bellissimo ciborio, voi vi accorgete che è del colore del cielo che brilla, seppur opacizzato dai secoli, di tante piccole stelle che i fratelli Della Robbia hanno disposto per adornare questo altare, per ricordarci come Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso e dunque, fratelli e sorelle, effettivamente noi sentiamo come la vera copertura di questa liturgia non può essere la pur bella capriata trecentesca che ci protegge dalla pioggia, nemmeno questo meraviglioso ciborio restaurato per il millenario, ma è il cielo stesso, l’infinito di Dio, l’assimilazione davvero abissale della sua offerta radicale di se stesso nello sconfinato spazio dell’amore del Padre. E tutto questo fratelli e sorelle non solo lo possiamo contemplare, ma di più, vivere, riconoscendo il momento di grazia che ci è stato dato come il paradigma di quella consegna che Gesù ha fatto di se stesso, senza riserve, di cui è profezia e simbolo e segno il gesto della vedova che non si è risparmiata in niente per entrare in questa logica di amore, figura, per ripetere ancora una volta le parole della Lettera agli Ebrei, di quell’amore pieno, definitivo e compiuto col quale il Signore dona se stesso al Padre.
E noi siamo qui fratelli e sorelle, non semplicemente per cantare ed elogiare una pur doverosa morale della bontà e della carità sociale, ma siamo soprattutto interpellati dal mistero della parola per cogliere come la radice vera di ogni nostro gesto di carità col quale ci separiamo da ricchezze spesso e volentieri non così importanti, l’assimilazione è proprio al movimento di amore del Signore Gesù, nello sconfinato spazio dell’amore del Padre, senza riserve, in un assaggio di eternità, di infinito, reso possibile dalla fede con la quale davvero ci congediamo da calcoli, da certificazioni e assicurazioni e davvero, consegnando il tanto e il poco che possiamo, con questa disponibilità radicale resa possibile dalla fede che ci educa proprio a sconfinare ben oltre le nostre umane possibilità.
Se la liturgia non è questo sprone, se la liturgia non è questo laboratorio, se la liturgia non è questo esercizio di intelligenza, di amore, di consegna e soprattutto questa grazia di assimilazione al gesto di Cristo, effettivamente ridurremmo i nostri incontri ad una reciproca consolazione che possiamo scambiarci per cercare di navigare, in questa settimana, a vista e invece no, tutto quello che noi viviamo, ascoltiamo, riceviamo, doniamo e ci scambiamo in questo mirabile laboratorio, non può che essere apertura profetica a quel cielo senza fine che oggi ci visita con Gesù Cristo e nello stesso tempo ispirazione perché, altrettanto infinito per mistero e per grazia, connetta le nostre vite ben oltre ogni scambio di valuta e semmai per essere, ciascuno di noi, con l’attenzione che Gesù oggi ci insegna, essere per tutti un frammento, un segno, un rimando, un simbolo, a quell’eterno amore con il quale, e per il quale, siamo stati creati, pensati, desiderati, dal nostro Signore. Amen.
Trascrizione a cura di Grazia Collini