«Con Dio la vita non muore mai». L’editoriale del padre abate Bernardo per il notiziario dell’Istituto Maria Cristina Ogier
Meditazioni«Con Dio la vita non muore mai». Un protocollo evangelico in tempo di Covid
Carissime lettrici e lettori de «La Scia», oltre alla misteriosa e inarrestabile dimensione della preghiera, possiamo ben dire che in questo difficilissimo momento storico il nostro bollettino è l’unica “piattaforma” possibile dove incontrarci e approdare assieme in uno spazio che ci veda raccolti attorno alla viva memoria della nostra Maria Cristina. Per le disposizioni normative inevitabilmente vigenti in questa sempre più angosciante e letifera pandemia non possiamo infatti entrare nelle nostre case-famiglia per visitare i nostri amici ospiti e le suore che, affiancate dalla professionalità generosa e costante del personale, accudiscono con infinita premura la loro esistenza. Possiamo dunque solo immaginare quanto sia doloroso per tutti loro vivere questa sorta di isolamento così severo, ma al contempo così necessario perché il temibile Corona-Virus 19 non si impossessi delle loro vite ferendole in modo quantomeno feroce se non letale. Vincendo ogni tentazione di rassegnata e fatalistica rassegnazione, dalla Parola di Dio siamo al contrario invitati a discernere questi «giorni cattivi», come li definirebbe san Paolo (Efesini 5, 16), e assieme a tanti opportuni protocolli di carattere sanitario, come credenti in Cristo, non possiamo sottrarci ad alcune linee guida che ci sono state indicate da papa Francesco in un memorabile momento del suo magistero, il 27 marzo del 2020 in una piazza San Pietro deserta e piovosa. In quel giorno abbiamo ricevuto dal suo cuore parole tuttora valide ed efficaci per affrontare questa seconda ondata di contagio, con i vari e gravi rischi che questa comporta. Anzitutto l’essenziale: l’umiltà per riconoscerci finalmente piccoli e fragili, la speranza e la fede per non restare schiacciati dalla provvidenziale consapevolezza del nostro essere humus, ma al contrario scoprirne la necessità per aprirci filialmente ai disegni della Provvidenza di Dio. Così papa Francesco: «L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai». Trovo meravigliosa questa sintesi autenticamente pasquale di tutto il messaggio del Vangelo di Cristo: «con Dio la vita non muore mai». Basterebbe tornare ad acquisire questa verità come credibile speranza offerta dalla Divina Rivelazione al nostro cuore per attrezzarci tutti in vista del futuro storico e di quello escatologico, ovvero di quel tempo trasfigurato in eternità nel quale saremo finalmente nella perfetta comunione con le persone della Santissima Trinità in un orizzonte irreversibile di luce e di pienezza. Nel frattempo ci ostiniamo a non considerare la passata quarantena e quella che eventualmente ci attende come un tempo sospeso, come superficialmente si è soprannominato il presente momento storico. Per chi come noi crede nella Provvidenza non esiste il tempo sospeso, esiste solo il tempo che Dio ci dona per fare un umile e speranzoso esercizio di discernimento, per imparare cioè a intuire la volontà del Signore per le nostre vite e conseguentemente deciderci a intraprendere un cammino di conversione. Un tempo da attraversare illuminati dall’unica risorsa capace di farci leggere il male in una prospettiva che né affermi una sua fatale ineluttabilità, né lo banalizzi in una generica accidentalità aggirabile con l’altrettanto generico e banale ottimismo che nei tristi e austeri giorni della prima ondata della pandemia si siglava ovunque e comunque con la semplicistica formula andrà tutto bene. Chi è disponibile ad accogliere la croce del Signore Gesù sa bene, come ci insegna l’esempio della nostra Maria Cristina, che in questo controverso tornante storico no, non sempre e non dovunque andrà tutto bene. Esiste piuttosto quello che Paolo chiama, scrivendo ai Tessalonicesi, «mistero dell’iniquità» (2 Tessalonicesi, 2, 7) che ispirava a san Giovanni Paolo II queste forti e illuminanti parole pronunciate in piazza San Pietro nell’ormai lontano 10 dicembre 1986: «Il Concilio Vaticano II si pronuncia su questo tema in modo molto chiaro: “Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” (Gaudium et Spes, 37). In un altro passo il Concilio si esprime in un modo ancora più esplicito, parlando della lotta “tra il bene e il male” che si combatte in ogni uomo: “L’uomo si trova incapace di superare efficacemente da se medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato”. Ma a questa forte espressione il Concilio contrappone la verità sulla redenzione con un’affermazione di fede non meno forte e decisa: “Il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo, e scacciando fuori “il principe di questo mondo”, che lo teneva schiavo del peccato” (Gaudium et Spes, 13)». Sì, solo nel mistero pasquale, inclusivo della terribile e ineffabile esperienza della morte nel Dio crocifisso, possiamo percepire come sia trasfigurato il banale ottimismo dell’impersonale andrà tutto bene nel personalissimo protagonismo del Dio Amore che in Cristo Gesù ci offre un’affidabile, concretissima ed esemplare esperienza di un Amore amato dal Padre e dunque capace di amare così infinitamente la nostra vita da sottrarla dai lacci della morte e del male. L’epistolario di san Giovanni ci offre a riguardo una parola ineludibile per la chiarezza della sua verità verticale e delle sue inevitabili conseguenze, per così dire, orizzontali: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (I Giovanni 3, 16). È una parola, questa, che attraversa la storia della Chiesa e la storia della santità fino a riecheggiare in quella indimenticabile piazza San Pietro, nel cui sconfinato silenzio e nel cui impensabile vuoto ha trovato dimora, sotto il cielo cinerino di un piovoso pomeriggio di inizio primavera, l’umanità intera, la sua più lucida coscienza, i suoi più alti propositi di ritrovata fraternità, i suoi più audaci desideri circa un futuro speranzosamente sottratto agli scenari apocalittici agitati, spesso in malafede, da apprendisti visionari e al contrario finalmente rischiarato dalla luce della grazia implorata per il bene del mondo intero: «Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, “ritornate a me con tutto il cuore” (Gioele 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo». E fra questi «tanti altri» noi osiamo ravvisare il luminoso e discreto riverbero dei gesti umili, semplici, gratuiti, ma sempre evangelicamente pasquali nella loro conformità all’amore trinitario, della nostra Maria Cristina.
padre Bernardo, abate di San Miniato al Monte
Firenze, 4 novembre 2020
Memoria di san Carlo Borromeo
Nell’immagine: papa Francesco in piazza San Pietro il 27 marzo scorso (Foto: Vatican Media)