«Todas tus palabras fueron una palabra: Velad». Omelia del padre abate Bernardo per la I Domenica di Avvento
Omelie e meditazioniDomenica 3 dicembre 2017 – I domenica di Avvento (B)
Dal libro del profeta Isaìa
Tu, Signore, sei nostro padre,
da sempre ti chiami nostro redentore.
Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie
e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?
Ritorna per amore dei tuoi servi,
per amore delle tribù, tua eredità.
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Davanti a te sussulterebbero i monti.
Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo,
tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti.
Mai si udì parlare da tempi lontani,
orecchio non ha sentito,
occhio non ha visto
che un Dio, fuori di te,
abbia fatto tanto per chi confida in lui.
Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia
e si ricordano delle tue vie.
Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato
contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli.
Siamo divenuti tutti come una cosa impura,
e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia;
tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome,
nessuno si risvegliava per stringersi a te;
perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto,
ci avevi messo in balìa della nostra iniquità.
Ma, Signore, tu sei nostro padre;
noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
tutti noi siamo opera delle tue mani.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.
La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Omelia:
Mi piacerebbe conoscere bene lo spagnolo per recitarvi con la corretta pronunzia questi pochi versi di Antonio Machado
Io amo Gesù che ci ha detto:
Cielo e terra passeranno.
Ma quando cielo e terra passeranno,
la mia parola resterà.
Quale fu, Gesù, la tua parola?
Amore? Perdono? Carità’?
Tutte le tue parole sono state
una parola: Vegliate.
Ecco, l’intuizione poetica di Antonio Machado, fratelli e sorelle carissimi, ci introduce alla qualità di questo tempo forte, ad una qualità esistenziale, riconoscendo nelle diverse qualità dei tempi liturgici, delle stagioni con cui il Signore ci fa vivere il mistero del tempo, non uno specifico compartimento stagno, ma una qualificazione che in realtà, come fosse un vero laboratorio, deve di fatto contagiare ogni istante del tempo che viviamo che, in quella particolare dorsale di tempo, avrà una sua accentuazione propizia a trasfigurare tutto il nostro cuore, secondo quelle prospettive che diventeranno, come diventano, l’intonazione speciale con cui celebrare il mistero in queste quattro settimane che ci avvicinano al Natale, esperienza di una memoria che torna a farsi confidente perché il Signore davvero trasudi nel nostro cuore, forti dell’esperienza storica, oggettiva, trasmessa dalla oggettiva memoria del Vangelo stesso circa la prima venuta del Signore Gesù.
Ma la vita in Cristo, tante volte lo abbiamo detto, non è esercizio archeologico, a noi interessa piuttosto avere gli strumenti con cui vivere il presente, e nemmeno il presente ci basta, a noi serve riconoscere il futuro come esperienza di accesso al mistero, come prospettiva con la quale qualificare il mistero della nostra vita, perché se la Fede non mi aiuta a riscoprire come la mia vita arrivi dal futuro e non dal passato, a niente serve questa Fede, se non a collezionare un patrimonio che può diventare, nel migliore dei casi, una cultura con la quale sentirci magari un po’ diversi, un po’ più fortunati rispetto ad altri, e certamente il cristianesimo ci insegna la cultura del perdono, della carità, dell’amore, ma giustamente ci avverte Machado, perché il Cristo sia davvero la presenza che trasuda nella mia vita, io ho bisogno di un’altra parola, indisponibile a lasciarsi qualificare, segmentare, come mero dato culturale, occorre una parola che vada al cuore del mio cuore, che lo renda insonne, che lo renda inquieto, che lo renda incontentabile rispetto a qualsiasi avvenimento dato una volta per sempre.
Questa qualità, per sua natura dinamica, capace cioè di traslare il nostro presente verso un indefinito orizzonte è per l’appunto la parola che risuona forte nel tempo di Avvento e con la quale iniziamo questo nostro cammino “Vegliate!”, stare svegli, il che significa stare attenti, in una disposizione che mette a fuoco nelle nostre pupille la possibilità che quell’orizzonte, altrimenti piatto e monotono, possa essere rotto da qualcuno che viene, per l’appunto a recare con sé una novità di cui abbiamo smarrito il senso e la possibilità stessa che possa accadere.
In questa luce è davvero il quadro esistenziale trascritto dal profeta Isaia e che si adatta molto bene, si conforma molto bene al nostro presente, un presente argilloso dove effettivamente dice Isaia: “Nessuno invocava il tuo nome,
nessuno si risvegliava per stringersi a te” -bellissime queste immagini dove l’esperienza di Dio si fa davvero concretezza di una presenza. Noi non ci accontentiamo di un’idea di Dio, di un concetto di Dio, ci vogliamo stringere intorno alla presenza di Dio.
E dunque si inaugura questa dinamica che nell’Avvento è fortissima, da un lato il nostro impegno a spianare le strade perché il Signore venga, dall’altro l’invocazione che veramente sia Lui, la sua grazia, il suo mistero di misericordia, di perdono e di pazienza a lasciarlo precipitare ancora una volta nei nostri cuori, ponendo fine a questo nascondimento nel quale sembra davvero ripararsi, perché stanco della nostra mediocrità, stanco della nostra non attesa, stanco del nostro non desiderio, stanco della nostra non inquietudine.
Ecco, fratelli e sorelle, la proposta che la Chiesa ci fa, che questa comunità monastica vi fa, sull’alto di questa collina: ve la sentite, ce la sentiamo di condividere questo turno di sentinella notturna che ci viene proposto mentre la città dorme?
Ce la sentiamo e proviamo insieme ad abitare la notte come possibilità che non diventa estrema e reiterata divagazione dal senso profondo e misterioso della vita? E’ significativa la vicenda delle notti bianche, ancora una volta senza giudicare, senza criticare ma, come dire, questa dimensione pervasiva del divertimento che deve traslarsi anche nel cuore della notte per portare dove è buio quella luce lì.
Noi stanotte entriamo nella notte sapendo che la notte è buia e che non c’è nessuna risorsa umana, tanto meno tecnologica capace di trasformare la notte buia in notte bianca.
Vogliamo perderci in questa oscurità, fratelli e sorelle, vogliamo insieme vivere l’angoscia dell’abbandono tipico del grande cuore mistico, dai grandi maestri del passato fino a Teresa di Calcutta e riconoscere in questa percezione tipica del nostro piccolo e fragile cuore, dell’essere abbandonati da Dio, esattamente la molla con la quale riscoprire il desiderio di Dio?
Queste due tensioni devono coabitare nel nostro cuore credente, non dobbiamo avere paura né dell’una né dell’altra, pena la trasformazione della Fede in Cristo in una religione oppiacea che saturi le mie paure con un senso prefabbricato di consolazione. Non è questo fratelli e sorelle, e l’Avvento ci invita a percorrere questo dorsale faticoso, certamente, che non ha stabilità, e non può avere stabilita’ un crinale eroso come è dal vento, e d’altro canto non esiste qualificazione, fratelli e sorelle, più bella dello stato del nostro peccato come deficienza di bene, peccare, mancare di, questa nostra dimensione creaturale che se assolutizzata e resa per così dire, indisponibile all’azione della grazia di Dio, per sua natura diventa peccato.
Allora Isaia ce lo fa capire con questa immagine bellissima che in questa giornata fredda e gelida suona davvero come una sottolineatura esistenzialmente efficace per un cammino autentico di conversione : “Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento”.
Noi crediamo di ingrassare col peccato, pensiamo di fortificarci puntando a noi stessi, difendendoci, sopravvivendo, qualificandoci, in realtà lo sguardo lucido di Isaia coglie perfettamente il segno: l’iniquità disidrata, rende la nostra struttura personale in realtà davvero fragile e veramente vulnerabile e allora la grande intuizione che consegna come ragione di una notturna veglia di custodia, nella vita e per la vita di ciascuno di noi, e per la vita della nostra città, siamo opera delle mani di Dio. Siamo opera delle mani di Dio.
Come possiamo pensare, fermandoci un attimo, riscoprendo questa nostra creaturalità, bagnandola della misericordia che oggi scorre copiosa come ogni domenica attraverso la parola del Signore, attraverso l’Eucaristia, come possiamo finalmente pensare che le mani di Dio si dimentichino della loro opera, di quello che noi siamo?
Ecco, questa confidenza, fratelli e sorelle, fondata sulla memoria pasquale del Natale deve spingerci verso il futuro nell’attesa di colui che si lascia riconoscere come Dio dell’amore semplicemente perché viene.
Cioè a dire, non esiste diaframma che fermi la sua venuta, il suo essere inerenza di questa nostra creaturalità, ma se Lui viene, quello che ci è chiesto davvero, più ancora che l’amore, più che ancora che la carità, più ancora che il perdono è tutto ciò che sta come radice di questa esperienza di novità della nostra vita. E’ lo stare svegli.
Niente di più triste che andare incontro ad una persona e trovarla immersa in questa sorta di morte quotidiana, necessaria certo al nostro organismo, ma alla fine capace di erodere la verità del nostro cuore, le sue pulsioni più autentiche, i suoi desideri, che vogliamo insieme stamani sottrarre alla fantasia dei sogni e renderli responsabilità per un domani migliore di questo presente. Amen.
Trascrizione a cura di Grazia Collini