Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione dell’incontro inaugurale del 21 novembre 2024 con le riflessioni di padre Bernardo e di padre Stefano
Lectio divinaSan Miniato al Monte, 21 novembre 2024
‘Presentazione della beata Vergine Maria’
Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi
Primo incontro alla presenza del Padre Abate Bernardo Gianni e di Padre Stefano Brina
Inizio dell’intervento di Padre Bernardo
Padre Bernardo: Mentre vengono distribuiti i fogli, prima di entrare un po’ nel vivo con un momento di preghiera anticipo che non ci incontravamo in questa sede e con questo scopo, direi, dalla fine febbraio, primissimi di marzo del 2020. Perché naturalmente con il cosiddetto Lockdown tutto finì, o perlomeno tutto si sospese. In questa sala avrei dovuto accogliere, a febbraio di quell’anno, più scolaresche di un Liceo di Codogno. Credo che la sapienza di qualche insegnante, che rinunciò a venire qui, abbia preservato la nostra città, se non la Regione, da un’incidenza molto maggiore che avrebbe potuto esserci, perché qui sotto avremmo creato un ‘blust’ come si suole dire, cioè un laboratorio di …. E meno male! Poi mettiamo tutto nelle mani di Dio.
Bene, se sono finite le distribuzioni dei fogli, allora possiamo iniziare con un piccolo momento di preghiera:
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Padre nostro ….
Tutti i presenti, guidati da Padre Bernardo recitano: Padre nostro… Amen
Padre Bernardo: Padre Santo, coronati del tuo Santo Spirito circoncidi gli orecchi del nostro cuore perché siano come quelli di Maria capaci del dono della tua Parola, propiziando così una trasfigurazione delle nostre povere vite, che lasciandosi così assimilare al Verbo incarnato possano con umiltà, gratitudine, stupore, niente di meno che pretendere di diventare col tuo aiuto Vangelo vivente, per lo stesso Cristo nostro Signore.
Tutti i presenti: Amen
Padre Bernardo: Una pretesa la nostra, ma curiosa e condivisa, per dare alla nostra vita di fede, di speranza, di carità, la nostra vita di comunione trinitaria, il nostro cammino ecclesiale, la nostra amicizia in Cristo qui nelle penombre di San Miniato, ma anche una accoglienza che ovviamente estendiamo a coloro che magari senza fede, ma per ragionevole, legittima, rispettabilissima curiosità umana si sono affacciati stasera e si affacceranno in questa penombra.
Questa ripresa è stata, devo dirlo, voluta dalla comunità, ma in modo particolare ringrazio la delicata insistenza di padre Stefano che in realtà fin dall’anno scorso spingeva perché si riprendesse questo cammino. Effettivamente un anno fa sarebbe ripreso, ma tutti voi ricorderete che padre Stefano era in Israele proprio in questo periodo, già così segnato (Ahimè!) da una guerra ancora tragicamente in corso e a me parve allora inopportuno avviare questo percorso senza di lui. Adesso che è con noi ripartiamo; ripartiamo dopo questo stacco di tanto tempo in cui effettivamente assembrare persone in uno spazio così particolare come questo, ci sembrava piuttosto imprudente. Ora confidiamo nell’aiuto del Signore, in un impianto di areazione ora non funzionante, ma con le finestre aperte in grado certamente di rendere questo luogo molto più sicuro.
Il cammino di questo anno funzionerà così, vi do questa indicazione pratica: padre Stefano, per ragioni che poi saprà dirvi con acume e sensibilità spirituale, dopo di me, ha pensato di interrompere la lettura del profeta Osea che avevamo iniziato a suo tempo e di iniziare questo nuovo corso della Lectio Divina con un bellissimo testo del Nuovo testamento, la Lettera paolina ai Colossesi.
Le ragioni ce le dirà molto bene lui.
Mi sono permesso di inserirmi nel ritmo bisettimanale della Lectio Divina che, come sapete, da sempre è un giovedì sì e un giovedì no, o meglio, all’inizio era tutti i giovedì ma era veramente un po’ troppo impegnativo, con una inserzione mensile che avrebbe la pretesa, come forse avete letto, di meditare insieme una parola, un verbo. Una meditazione, possibilmente – vedremo se riuscirà il miracolo – più taciturna che parlata. Tenermi la bocca zitta è veramente un miracolo, quindi ancora non ci credo troppo, però l’idea sarebbe questa, un momento magari per qualche riflessione, eccetera… Però anche, soprattutto un tempo di silenzio, di preghiera, anche di invocazione, ispirata naturalmente alla parola in questione. Questo non dovrebbe rallentare troppo il corso della lettura della Epistola ai Colossesi che resterà il fulcro del nostro cammino di Lectio Divina e che è come opportuno, integralmente affidata alla sapienza, alla competenza e alla preghiera di padre Stefano. Questo anche perché, diciamo, suddividere questi versi diventava e diventa un po’ problematico. Quindi, insomma, abbiamo convenuto su questa opportunità, che per altro è un classico perché anche questo da molto tempo accadeva. La nostra Lectio Divina, anche questo mi sento di dirlo prima di darvi qualche piccolo suggerimento molto veloce perché ho terrore di levare minuti preziosi che serviranno dopo, è una sorta di ampliamento alla Lectio Divina, perché la Lectio Divina fondamentalmente si fa in modo personale, aprendo il testo biblico in qualche momento della giornata, scegliendo di seguire per esempio la liturgia del giorno o magari un testo biblico da leggersi per intero in un contesto domestico o anche extra domestico, ma possibilmente raccolto e propizio a far crescere proprio la vostra amicizia col Signore che ci dona la sua Parola.
Però è anche importante rafforzarci in questa sensibilità, in questa necessità per la nostra vita in Cristo ed è anche molto importante acquisire un metodo e anche dei contenuti che in qualche misura poi ci saranno utili, non necessariamente soffermandoci sulla Lettera Colossesi, ma più in generale, per usare una terminologia oggi in voga ‘navigando su tutto il testo biblico’, nella fattispecie, effettivamente un ampliamento e quasi un approfondimento di Lectio Divina non può che offrirsi attraverso una forma per voi anche abbastanza esigente, ma che ci rallegriamo di avere sempre constatato particolarmente apprezzato e seguita, che è quella di accogliere le note esegetiche e spirituali che colui che presiede Lectio Divina, ovvero in questo caso per Colossesi Padre Stefano, vi propone perché conosciate meglio quel testo lì, ne acquisite tutte le potenzialità, le ricchezze e in qualche misura entriate sempre meglio e sempre di più nella straordinaria potenzialità comunicativa, ispiratrice, veritativa, della parola di Dio. Ecco questo per dirvi che i nostri non sono dei corsi esegetici come un seminario dove quest’anno si fa Colossesi e giù nozioni di esegesi importanti, ma alla fine un po’ tecniche. Questo per noi è un momento di formazione, ma anche un momento di forte ispirazione del nostro cuore, nella scoperta che abbiamo tutti bisogno di familiarizzare meglio con la Parola di Dio, dedicando come fate voi in modo veramente meritorio stasera del tempo all’ascolto della Parola, in questo caso anche ad una crescita di indubbia competenza sui testi che quest’anno padre Stefano ci leggerà e commenterà da par suo.
Lui mi aveva pregato di fare un qualche numero iniziale prima di avviare la sua riflessione su Colossesi. Io, ripeto, sono un po’ in imbarazzo, perché effettivamente non vorrei essere troppo…. io qui vi ho consegnato un fogliolino, – un foglino che giustamente è stato notato essere forse con caratteri troppo piccoli, soprattutto per la bassa fosforescenza di questo ambiente per gli occhi non sempre di lince di chi legge, iniziando dai miei. Chiedo scusa, terremo presente questa indicazione. Vedo che padre Stefano si è tenuto su un corpo un po’ maggiore del mio, ma neanche troppo, d’altra parte lo abbiamo fatto anche per non produrre centinaia di fogli.
Io, ottemperando alle indicazioni di padre Stefano, sono andato a recuperare uno dei Consigli agli asceti di uno dei padri della prima stagione monastica, Iperechio, il quale scrive “Ascesi del monaco: la meditazione delle Scritture e l’adempimento dei comandamenti di Dio. Informe è il monaco che non si dà a queste cose.”
Bellissima affermazione, che prima di tutto premia ancora una volta la vostra presenza qui stasera, che anziché il comfort zone del salotto di casa, sotto la pioggia, al tepore, siete qui in questo anfratto. È una scesi. Lo era e lo è per i monaci, vorrei dirlo a maggior ragione per persone che hanno una vita magari un pochino più generalmente slegata da certe priorità della nostra vita. Lo dico perché effettivamente non è istintivo, banale, naturale, fermarsi, aprire e meditare la scrittura, occorre un’ascesi; occorre quindi lavorare su alcune nostre ordinarie dinamiche che invece ci sollevano generalmente – non dico nel caso vostro -, ma generalmente ci sollevano dall’attenzione, dall’ascolto, dalla concentrazione, dalla cura necessaria per rimanere in dialogo con qualcuno, figuriamoci se questo qualcuno ci passa attraverso una pagina stampata molto esigente. Quindi grazie di essere qui e per incoraggiarvi vi dico questa espressione potentissima che usa questo padre: “Informe è il monaco che non si da a queste cose.”, cioè è amorphe il monaco che non si lascia formare dalla Parola di Dio. La Parola di Dio è una forma nel senso più alto e teologico di questa espressione, cioè la Parola ci conforma a Cristo, Cristo è la Parola, è il Verbo e praticando la Lectio Divina, cioè accostando la nostra intelligenza, la nostra sensibilità, il nostro cuore, ma direi anche tutta la gamma della nostra umanità alla Parola, possiamo sperare che la sua forza performante attivata dallo Spirito Santo effettivamente germogli nel nostro cuore, fruttificano con una inesausta conversione dei nostri cuori, che è poi la grande meta pratica della vita cristiana. La vita cristiana implica appunto la possibilità che, accogliendo Cristo, questi meccanismi rugginosi, autoreferenziali, increduli, diffidenti e poco inclini all’amore del nostro cuore, finalmente si aprano e traspirino la grazia che ci è data, la comunione che ci è data.
Io poi mi ero anche permesso di infilarci qualche verso luziano tanto per non smentire un trend ormai attivo da vari tempi.
Questa di M. Luzi, “Viaggio terreste e celeste di Simone Martini”, è una lirica molta bella in cui il poeta canta, in un determinato momento di questo ritorno di Simone da Avignone alla sua Siena, quello che penso altre volte mi avrete sentito citare come una delle liriche secondo me più straordinarie di quella raccolta:
“Durissimo silenzio fra noi uomini e il cielo,
arido per aridità di mente
o scomparsa degli angeli rientrati nel verbo, muti,
alla sorgente, afasia, anche,
o morte dei profeti, ma colmato
da nuvole, da pietre,
da alberi, animali,
da quel loro ininterrotto afflato, tutto, creaturalmente.
O anima del mondo, da tutto ferita, da tutto risarcita, non piangere, non piangere mai,
dice nel sonno
la sua amorosa lungimiranza. “
È un testo molto bello che a me serve per dirvi e ridirvi con San Bernardo di Chiaravalle che la prima lettura divina la si fa passeggiando nei boschi, una celebre affermazione del Santo di cui indegnamente porto il nome, ma che condivido con voi perché vi sentiate tutti, nonostante l’ascesi di cui vi ho parlato, potenziali ottimi discepoli della Lectio Divina alla quale ci si addestra anche prestando ascolto all’anima del mondo che ci parla, come evoca qui Mario Luzi, attraverso i suoni della natura, in un tempo così effettivamente attuale, che il poeta epoca con il suo durissimo silenzio, in cui sembra che anche Dio abbia deciso di rientrare in una sorta di afasia che renda anche i profeti muti.
Questa è una situazione esistenziale, sociale, culturale, oggettiva, perché non prestando più ascolto l’uno all’altro, è facile che la Parola del Signore si sia in qualche misura dileguata, più per colpa nostra che sua. Allora il nostro, vostro essere qui, in questa grotta che assomiglia un po’ alla latomia presente a Siracusa, e che il tiranno utilizzava per ascoltare i bisbigli dei suoi prigionieri, è come una sorta di conca dentro la quale ci addestriamo dopo esserci preparati all’ascolto del vento, della natura e di cose più facilmente udibili, ad un’altra parola, al signore che finalmente schiude il suo Verbo, ma non perché non lo facesse prima, ma perché siamo disponibili ad ascoltarlo e questa è un’altra ragione di encomio che con Stefano facciamo alla vostra presenza qui. Non perché vogliamo, come dire, guadagnarci la vostra simpatia, ma perché effettivamente riconosciamo che non è banale essere qui. Dall’altra parte i frutti sono molto preziosi. Qui vi condivido un versetto di bellissima rilevanza, da Paolo ai Romani 15, 4 soprattutto in questo tempo così avaro di speranze, non a caso la speranza è uno dei temi del Giubileo, di imminente avvio. Però purtroppo questo versetto non è stato neanche citato nell’indizione del Giubileo stesso, eppure è la ragione o perlomeno una delle grandi ragioni per cui siamo qui sottoterra a marcire in questo anfratto, per tornare a germogliare al cielo con la forza della Parola.
“Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza.”
Ditemi voi se questo versetto non è una meraviglia! Io lo trovo stupendo, dà ragione al nostro essere qui; con perseveranza, con passione noi ci disponiamo all’ascolto di una Scrittura che ci ospita, perché la Bibbia è un luogo, è una geografia dentro la quale accedere per sentire che diventiamo, con lo Spirito Santo, protagonisti con i grandi testi che meditiamo, preghiamo, accogliamo, di quella storia sacra che il Signore intende continuare a scrivere con le nostre vite. Questo naturalmente è una ragione formidabile di speranza. Questa storia continua, in questa storia possiamo essere, con l’aiuto del Signore, con grande umiltà, protagonisti nella misura in cui ci facciamo piccoli, per entrare e quasi scivolare, come è successo stasera a voi in questo anfratto, in queste straordinarie ‘intelaiature mobili’ che sono appunto i testi rivelati dallo Spirito Santo, che con il suo dinamismo permettono anche a noi una elasticità di cuore, d’intelligenza, di fede, di amore, che si traduce in una dinamica di speranza che racconta e ci racconta che la storia non è terminata. Questo è molto importante dirlo in un tempo storico così difficile come questo.
Un ‘penultimissimo’ spunto viene da un bellissimo passaggio di un testo di capitale importanza per l’auto coscienza monastica di questa Lectio Divina, che si situa non a caso in un antico spazio del nostro monastero benedettino che ha festeggiato mille anni e che da cento anni è abitato di monaci olivetani che a suo tempo, nel medioevo, qui si preparavano da mangiare, perché proprio dietro di noi c’era l’antica cucina del monastero.
Non chiedetemi perché i monaci olivetani facessero le cucine sottoterra, il perché non lo so, però le facevano sottoterra, e qui c’era un camino che ovviamente tirava, ecc…
Questo è motivo di grande suggestione per noi, questo è un luogo di lavoro, c’era un frantoio, c’era la cucina, ci sono gli spazi dove veniva messo il vino, l’olio e quant’altro. È una sorta di cantiere anche questo, diciamolo così, come è ormai tutta la nostra basilica. In questo spazio benedettino noi ci sentiamo a casa perché frequentandoci condividerete con noi quello che Papa Benedetto ha espresso in termini straordinari nella sua mirabile riflessione fatta a Parigi al mondo della cultura francese il 12 settembre 2008:
“Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era intenzione di benedettini creare una cultura e nemmeno di conservare la cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: “quaerere deum”, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo “escatologico”. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. “Quaerere Deum”: poiché erano cristiani, questa non era una spedizione in un deserto senza strade, una ricerca verso il buio assoluto. Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso, anzi, aveva spianato una via, e il compito consisteva nel trovarla e seguirla. Questa via era la sua Parola che, nei libri delle Sacre Scritture, era aperta davanti agli uomini. La ricerca di Dio richiede quindi per intrinseca esigenza una cultura della parola o, come si esprime il monaco Jean Leclercq: nel monachesimo occidentale, escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra. (cfr “L’amour des lettres et le désir de Dieu”, p.14) Il desiderio di Dio, le désir de Dieu, include l’amour des lettres, l’amore per la parola, il penetrare in tutte le sue dimensioni.”
Perdonate la lunga lettura, ma sentiamo di condividere con voi, e non solo con gli oblati e le oblate qui presenti, che vivono la spiritualità benedettina nella loro secolarità, il desiderio di cercare Dio.
Di più, il bisogno di cercare Dio, la non esclusione, – direi sempre in termini ratzingeriani – la ragionevolezza della ricerca di Dio nell’orizzonte della nostra vita, includendo cuore e intelligenza in questa tensione che, come ha detto Papa Benedetto, ci spinge inevitabilmente dalle cose meno importanti a ciò che piano piano intuiamo essere il vero essenziale. Per farlo abbiamo questo dono straordinario che è appunto la Parola. Una Parola resa possibile dalla straordinaria umiltà e accondiscendenza che Dio ha nei nostri riguardi, fino addirittura a esprimersi con lingue umane, essersi fatto simile al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre aveva assunto le debolezze dell’umana natura.
Questa straordinaria valutazione la fa un passaggio di fondamentale importanza del Concilio Vaticano Secondo (Dei Verbum La << condiscendenza, >> v. elenco dei testi di riferimento) dove si parla proprio della condiscendenza, cioè della synkatabasis, della umiltà, della attemperatio con la quale il Signore, – direi come voi stasera – sprofonda verso la nostra umanità per intavolare con essa un dialogo con le nostre parole, con la nostra grammatica, con i nostri suoni, il nostro alfabeto.
Non è banale, non è scontato questo. Dunque, un ulteriore motivo di plauso per la vostra presenza qui. Vi siete resi conto del dono immenso che è la Parola di Dio che sceglie per amore di entrare in amicale colloquio con ciascuno di voi.
Immaginatevi, arriva una persona importante per chiacchierare con voi e non trova nessuno. Stasera invece, la synkatabasis di Dio trova la vostra presenza attenta, desiderosa, disponibile a restare in dialogo con il Signore.
Bene, io volgo questa mia – diciamo stramba – prefazione al termine, vi segnalo che in tutto questo brogliaccio c’è anche un interessante passaggio di Evangelii Gaudium di Papa Francesco (v. elenco dei testi di riferimento) che per motivi di tempo affido alla vostra personale lettura, sulla centralità e importanza della Lectio Divina, nell’enciclica fondante il magistero dell’azione Pastorale di Papa Francesco. È un po’ la sua ‘Magna Carta’ e non a caso al numero 152 Papa Francesco si dilunga, per così dire, sulla Lectio Divina, facendovi capire quanta importanza abbia dal suo punto di vista una evangelizzazione centrata sulla conoscenza e l’esperienza, la preghiera della, con la, sulla Parola di Dio.
Infine, un piccolo dono, ancora legato, ma non per nostalgia sia chiaro, ma per semplice apprezzamento, credo assolutamente fondato al magistero di Papa Benedetto, che da buon teologo è stato anche un grande ascoltatore della Parola, e qui abbiamo un bellissimo paragrafo sul silenzio, al quale mi avvio con un passaggio che credo incoraggi anche ognuno di voi nei momenti difficili della Lectio Divina, personale e comunitaria, tipo: non riesco a entrare in sintonia; mi annoia; mi sembra di essere precipitato in un’aridità silenziosa; non riesco a ricavarci frutto; non prego e quant’altro.
Da Benedetto XVI Verbum Domini 2010:
“Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre é tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. Appeso al legno della Croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Mt 27,46). Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo alito di vita, nell’oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre. A lui si è affidato, nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.” (Lc 23,46) Questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio. È un’esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti. Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio. Pertanto, nella dinamica della Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un’espressione importante della Parola di Dio.”
Eravamo partiti dal durissimo silenzio di Mario Luzi, dalla afasia dei profeti, dagli angeli rinchiusi anch’essi nel silenzio, qui terminiamo questo percorso invece valorizzando una dimensione che in effetti sembra altrettanto importante nel nostro dialogo col Signore, questo suo tacere, che in realtà sembra lasci a noi, mirabilmente, la grande libertà, la grande responsabilità, come è successo a Maria, di far germogliare nel nostro silenzioso ascolto il Verbo. Questa è una dimensione anche che espone i nostri cuori sia all’esperienza già vissuta dal Cristo sulla croce, sia anche all’umile attesa, alle speranze, e ai desideri di una donna che, silenziosamente dedita alla decifrazione delle Scritture, se le è viste trasfigurate, compiute, addirittura consumate dalla presenza dell’angelo che ha portato una parola ancora più eccedente rispetto a tutto quello che stava leggendo negli antichi rotoli di Israele, ovvero il Verbo incarnato.
Un abbandono, una resa, una consegna di tutto di noi, quasi cullati da questa dialettica, che stasera si inaugura e che padre Stefano saprà da par suo alimentare fra parola e silenzio, un ondeggiamento che avrà sicuramente tanto frutto Pasquale nella vostra vita, come ce lo augura prima di tutto indicandocene la sofferta fruttuosità questa mirabile poesia di Renzo Barsacchi:
“Non nel tacere Dio parla ma nel silenzio del silenzio, quando
non sbatte l’ali l’anima, ma plana abbandonata nel suo indicibile spazio.
Ogni luce raccogli alla Sua ombra, fatti attesa continua finché passo
giunga dal vuoto dell’inevidenza. E prega senza più parole: prega
respirando soltanto, come il fiore senza vederlo. Il sole. Offri l’inquieta
necessità d’essere amato amando alla tenebra ardente del Suo amore”.
La tenebra c’è qui sotto, l’amore e il silenzio anche, ma adesso finalmente ascoltiamo la parola di padre Stefano.
Inizio dell’intervento di Padre Stefano
Padre Stefano: Innanzitutto sono molto grato di questo dono, non solo della possibilità di ricominciare quest’anno un percorso che abbiamo fatto per tanti anni sulla Parola, ma anche della possibilità di farlo insieme con P. Bernardo.
Tutti avete sentito come P. Bernardo ha cominciato e concluso con il riferimento a Maria: oggi è il giorno della memoria liturgica della presentazione di Maria al Tempio.
Non a caso, pensando a questo giorno, stamattina nell’Ufficio delle Letture sant’Agostino ci presentava un testo con una sua riflessione sulla forza e l’importanza di una generazione che avviene prima con l’ascolto grazie alla fede di Maria. Maria concepisce prima per la fede e poi praticamente attraverso la carne. Agostino lo propone ai suoi auditori, proprio in quanto vuole coinvolgerli in questo grande dono, in questa grande possibilità che è lo stesso Gesù ad aprire. Quando la donna nel Vangelo di Luca dice: << Beato il grembo che ti ha portato!>> (Lc 11, 27), ecco che Gesù risponde: << Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano.>> (Lc 11, 28)
Allora Agostino commenta che nessuno più di Maria ha ascoltato e osservato la parola di Dio.
Vi lascio il testo che può essere interessante da leggere al riguardo. (v. elenco dei testi di riferimento)
Prima di questo avevo posto una reminiscenza. Andando un po’ a ricercare nelle nostre vecchie sintesi degli incontri, avevo trovato quelle della lectio sull’Esodo che eccezionalmente facemmo insieme ai frati carmelitani di Arcetri, ho ritrovato un brano di Padre Saverio Cannistrà, che poi è stato anche generale dei carmelitani e che allora era maestro di formazione, che vi ripropongo perché sinteticamente ci introduce al senso della lectio divina:
“La parola di Dio è indispensabile per la vita di fede del credente. C’è in noi un’oscurità che può essere solo illuminata dalla parola di Dio, che non è semplicemente un libro ma un rapporto vivo, ”una relazione” che può illuminare l’uomo interiormente. È una situazione fondamentale che dovrebbe rinnovarsi quotidianamente nelle nostre vite. Il nostro pregare non può essere un’abitudine ma deve avere un’autenticità vitale-esistenziale. Fare ‘Lectio divina’ vuol dire immergersi in questa situazione fondamentale per ascoltare Dio che parla, lasciare che questa parola risuoni individualmente e rispondere a questa parola concretamente.” (P. Saverio Cannistrà ocd)
Padre Bernardo ha già ampiamente sviluppato tutti questi temi e ora mi sembra doveroso dare giustificazione del fatto che non riprendiamo da dove avevamo forzatamente interrotto la lectio sul libro del profeta Osea, un testo bellissimo, anche di grande portata per tutta la mistica sponsale e la mistica della figliolanza, ma un testo che noi avevamo abbandonato alla fine del capitolo tre, quando in una lectio che fu inusuale, ci si fermò tutto il tempo a riflettere sulla metafora del pozzo. Insistemmo molto su questa esperienza di discesa nella profondità, di questo ritorno alla sorgente, dopodiché ci chiusero tutto perché era scoppiato il Covid che ci costrinse a bloccare tutti gli incontri.
Il testo di Osea in realtà dal capitolo quarto cominciava a diventare estremamente duro, iniziava a prendersela con i sacerdoti … e quindi ecco perché lo abbiamo bloccato!
Dopo quattro anni si riparte, ma potevamo forse ricominciare dandoci subito la zappa sui piedi? No!! – ovviamente sto scherzando –
Tuttavia, è vero che il testo prosegue con la denuncia fino al capitolo undicesimo senza risparmiare nessuno, a parte una piccola pausa al capitolo sesto. Vi assicuro che è un testo bellissimo, con una grande ricchezza di immagini e simboli, però onestamente riflettendo sul fatto che dal 2020 siamo continuamente sottoposti a situazioni opprimenti, ho pensato che ci troviamo sia bisogno essenziale di essere sostenuti e confermati dalla Parola di Dio. Certamente, per carità, anche sferzati e corretti, ma principalmente aiutati in questo clima disorientante e plumbeo e cercavo qualcuno che ci desse una mano da questo punto di vista.
A questo si è aggiunto un episodio dato dalla vita. Negli ultimi anni ho accompagnato un caro amico, che recentemente è andato a partecipare alla ‘sorte dei santi nella luce’, come dice la Lettera ai Colossesi. Quest’uomo, andato in pensione, si era dedicato moltissimo all’approfondimento dei testi di Papa Ratzinger, ma poi arrivato in una fase più dura della sua vita aveva scoperto san Paolo e si era dato all’approfondimento delle sue lettere e dei commenti di studiosi autorevoli per aiutarsi a comprendere e ogni volta che ci trovavamo, mi intratteneva con le sue scoperte.
Questa esperienza mi ha un toccato, tanto da farmi pensare che forse per ripartire ci sarebbe voluto proprio san Paolo.
Ora noi avevamo commentato tanti anni fa una piccola lettera di san Paolo, molto bella, molto amata, la Lettera ai Filippesi, una lettera autentica, senza ombra di dubbio.
Ci sono altre grandi lettere di san Paolo, come quella ai Romani e le due lettere ai Corinzi, ma sono tutti testi un po’ lunghi, così ho pensato che ci volesse un testo un pochino più corto da concludere in un tempo ragionevole. Di fronte a questo e soprattutto alla percezione che avremmo avuto bisogno di un testo che fosse, – guarda caso poi Bernardo senza saperne niente ha toccato il tema -, anche formativo, che desse cioè un po’ di spinta, di luce, anche di forza al nostro bisogno di perseveranza, alla nostra capacità di reggere nella lunga distanza anche alle sfide della vita, ecco allora che la mia mente è andata subito a due splendide lettere: la Lettera ai Colossesi e la Lettera agli Efesini, due lettere molto vicine, per vocabolario, per stile e temi trattati, sicuramente dello stesso ambiente, ma visto che la Lettera ai Colossesi è più breve, (quindi per molti autori precede quella agli Efesini) e inoltre presenta in un modo straordinario la realtà di Cristo, fino ad arrivare al Cristo cosmico, la scelta è stata immediata: “Andiamo dentro Colossesi!”
Poi non vi dico cosa vuol dire quando ci si comincia ad addentrare nel testo! Mi sono detto: “Ma chi me lo ha fatto fare?”
Perché effettivamente, come già altre volte, non prendiamo un testo facile, però tenete conto che una parte di voi ha partecipato alla Lectio sulla Lettera agli Ebrei e se c’è qualcosa nel Nuovo Testamento di bello, impossibile, molto esigente, teologicamente ancora più esigente, è proprio la Lettera agli Ebrei.
Gianfranco Ravasi negli anni ’90 tenne diverse conferenze (che potete ancora trovare on line) al Centro San Fedele, – allora non era ancora cardinale ma era già un grande biblista e un eccellente divulgatore – e dopo aver commentato la Lettera Colossesi disse: “Beh, adesso che avete preso forza vi faccio fare anche la Lettera agli Ebrei.”
Noi abbiamo fatto l’opposto, quindi mi sono detto: “Si può fare!”
In ordine a Paolo poi, nonostante spesso ci venga detto che Padre Bernardo ed io siamo così diversi e per certi versi anche così complementari, tante volte però ci veniamo un po’ incontro, e se Bernardo cita il Luzi poetico, ovviamente da me non ve lo potete aspettare. Però, una presenza amica, Paolo Andrea Mettel, uomo finissimo, di grande intelligenza e sensibilità, che è stato un carissimo amico della comunità e ha raggiunto anche lui i santi nella luce, a suo tempo ci aveva regalato una copia del Nuovo Testamento di cui lui stesso aveva trovato i curatori e i traduttori.
Ebbene, prima delle lettere di s. Paolo c’è un testo introduttivo di Mario Luzi, di cui Paolo Andrea era stato un caro amico, un testo in prosa che si intitola: “Sul discorso paolino”.
Ve ne cito un brano:
Dice Luzi: “L’incomparabile miscela di umiltà soggettiva e di autorità sovra personale che regola la voce di Paolo. L’oralità è infatti intrinseca a questa scrittura, chiunque sia realmente lo scriba” – poi torneremo sull’argomento – “fa sì che la figura individuale dell’apostolo sia quasi divorata dalla sua stessa luminosa e infuocata radiazione profetica.”
Ho trovato molto bello questo passo, perché noi abbiamo bisogno di un testo e di un ‘campione’ – passatemi il termine – che in qualche modo sia forte, verace, capace di aprire al futuro, ma nello stesso tempo che entri dentro la situazione della nostra vita senza averne paura e Paolo fa questo!
Tutta la sua tradizione, tutta la sua scuola, non fa altro che riverberare di questo impulso fortissimo.
Dice ancora Mario Luzi: “È vero, non mancano i passi in cui l’apostolato paolino consiste soprattutto nell’ammaestramento, nella ricerca, nella convalida di criteri di comportamento comuni, se non addirittura di precetti, di norme, sebbene prese le distanze dall’ebraismo avendo, per accordi con Pietro, Giacomo e Giovanni, giurisdizione apostolica tra i gentili, Paolo sia riluttante a ossequiare o tanto più a stabilire la Legge.”
Noi analizzeremo anche questi passi, presenti soprattutto nella seconda parte della Lettera ai Colossesi, grazie ai quali ci confronteremo anche con la situazione culturale del I secolo, affrontando i famosi Codici Domestici, cioè le indicazioni pratiche per la vita in famiglia.
Voi donne tenetevi salde!
Io cerco sempre di svicolare davanti a questo tipo di testi che mi hanno sempre fatto sospirare, ma la Lettera ai Colossesi è troppo bella per cui si può anche affrontare questo.
Se non altro nella Lettera ai Colossesi, Paolo è un pochino più sobrio che nella Lettera agli Efesini, dove indugia molto a parlare di donne, mariti e mogli e di conseguenza c’è molto da precisare, anche se poi come fa lui entra dentro quasi in punta di piedi nella realtà culturale del suo tempo, senza preoccuparsi di modificarla e poi la indirizza verso Dio e verso Cristo, in una maniera stratosferica.
Secondo me in questo modo Paolo ci insegna anche un metodo, la grande sfida è sempre questa: non sfuggire alle situazioni e anche alle provocazioni della vita, con le sue luci, i suoi drammi e anche le sue potenzialità, ma ancora una volta trovare linguaggi nuovi per riorientare verso il centro imperdibile che è Cristo.
Vi ho detto in questo modo anche una delle tematiche fondamentali della Lettera ai Colossesi, poi ci entreremo dentro con un pochino più di faticosa analisi per illustrarla. Paolo indubbiamente affronta i problemi e anche gli errori che sono presenti nella comunità di Colossi, – o almeno la tradizione paolina entra in questo -, e ancora una volta approfitta di queste situazioni per riorientare al centro. Un centro che in Paolo si illumina sempre di più addentrandosi nel mistero di Cristo.
È chiaro che noi risentiamo della sua esperienza personale, mi riferisco all’esperienza sulla via di Damasco e alle sue incredibili conseguenze, ma poi questa esperienza personale è diventata un metodo, qualcosa che anche i suoi discepoli hanno saputo implementare nelle situazioni nuove della Chiesa e della comunità del loro tempo.
Anche questo aspetto, personalmente mi intriga parecchio e tra l’altro vi presenterò quelle difficoltà – dovevo farlo nell’introduzione ma ormai lo farò la prossima volta -, che esprimono e manifestano tutti coloro che iniziano a spiegare un testo come quello della Lettera ai Colossesi e grazie ai contributi dell’esegesi degli ultimi quindici anni, scopriremo che ciò che poteva sembrare una perdita, in realtà non lo è affatto.
Mi riferisco alla messa in discussione dell’autenticità paolina di questo testo, di cui fino al secolo diciannovesimo non c’erano dubbi su chi fosse l’autore.
Al contrario, forse ricorderete che, quando abbiamo introdotto la Lettera agli Ebrei, – citammo una frase molto suggestiva: “La Lettera di san Paolo apostolo agli Ebrei non è una lettera, non è di san Paolo e non è scritta agli ebrei.” Se vi ricordate si partì da lì.
Se fin dai primi secoli c’era la consapevolezza che la Lettera agli Ebrei non potesse rientrare nel corpus Paolino e bisognasse trattarla a sé, viceversa fino al XIX secolo la lettera agli Efesini e quella ai Colossesi erano ritenute opere di Paolo.
L’esegesi tedesca però, ha cominciato a porre dei grossi interrogativi. Se voi andate su YouTube troverete la conferenza che Gianfranco Ravasi tenne su questo argomento negli anni ‘94/’95 al Centro San Fedele, dove con estrema chiarezza elenca tutta la serie di problematiche che per lui e per molti altri esegeti sono il motivo per cui questa lettera non sarebbe di Paolo. Ve ne ho fatto una sintesi. (v. elenco dei testi di riferimento)
Noi terremo come punto di riferimento anche un altro grande esegeta, Jean – Noël Aletti, il quale è uno specialista che ha continuato a studiare questo argomento e ha cominciato a sfumare i termini della questione.
Negli approfondimenti più recenti viene ricompresa l’idea della pseudoepigrafia; il fatto che un autore pubblichi un’opera assumendo il nome di un’altra persona, che però non è responsabile della stesura di quel testo, non sarebbe considerato una falsificazione.
Episodi di pseudoepigrafia si riscontrano nell’Antico Testamento e anche Ravasi spiega che nell’antichità si prendeva un’autorità e ci si faceva forti di quella, così tutti i libri della Legge, cioè i 5 libri del Pentateuco, erano stati attribuiti a Mosè, tutti i Salmi erano stati attribuiti a Davide, i Libri Sapienziali a Salomone, anche se dall’analisi dei testi si riscontrano incongruenze e si comprende che non possono essere stati scritti allo stesso tempo dalla stessa persona.
Rispetto alla sensibilità moderna però, se l’opera non fosse di Paolo ed evidentemente altri autori si fossero ammantati della sua autorità, la cosa ci risulterebbe un po’ più difficile da accettare e la svaluterebbe.
Senza comunque scartare la questione, nell’ipotesi che la lettera ai Colossesi sia di Paolo, – scritta però per mano di uno scrivano come lascerebbe intendere il finale della lettera – è significativo e utile approfondire l’evoluzione della riflessione dell’apostolo in relazione a nuove situazioni e problematiche che la vita delle Chiese comporta. Se invece si tratta, come possibile e probabile, dell’opera di un discepolo di Paolo o di una scuola paolina, è importante approfondire come il pensiero di Paolo sia stato recepito e sviluppato nelle generazioni successive alle prese con un quadro ecclesiale e un contesto mutati.
Questo lo trovo stimolante anche per noi che siamo comunque chiamati, ovviamente nel patrimonio della rivelazione che ci è consegnata, a fare un’opera di reinterpretazione all’interno delle situazioni della nostra vita.
C’è di più, noi non facciamo un corso biblico sulla Lettera ai Colossesi, ma come ha ben evidenziato Padre Bernardo la nostra è una lettura orante e chiaramente qui facciamo una parte, un invito, un aiuto. Quando commentammo la Lettera agli Ebrei, abbiamo visto che funzionava molto bene il fatto di avere la collatio, ossia quando terminavamo una sezione della lettera avevamo un incontro in cui tutti insieme presentavamo le varie risonanze su quello che avevamo letto, meditato, pregato nei mesi precedenti. Abbiamo visto che è cosa molto difficile mettersi in gioco, però abbiamo anche sperimentato un arricchimento prezioso.
Secondo me la grande sfida della Lectio Divina e la grande opportunità di questi incontri è quella di ‘testare’ un’affermazione che la Chiesa continua a proporci, e cioè che se è tanto importante la lettura orante personale della Parola, è pur vero il fatto che nell’assemblea liturgica, nel momento in cui la Chiesa è radunata, lì il Vangelo si invera, la Parola parla, entra dentro la realtà che ci coinvolge.
Noi avremo l’occasione di verificare questa cosa, – in piccola o grande misura -, e comunque abbiamo la possibilità di provarci e questo secondo me è un aspetto stimolante.
Quindi se è vero che l’invito alla Lectio serve in ordine a un approfondimento personale, per poter poi scavare nella preghiera e per poter anche trovare la Parola di Dio per noi, poi è nell’ambito ecclesiale, quando la comunità è riunita, che lo Spirito rinnova, vivifica, rende efficace la Parola. Almeno questo ci dice la Chiesa, scusate se sto semplificando, però è così.
In realtà, l’esperienza che facemmo di crescita nella comunione, di capacità di condivisione, di apertura al testo, è stata significativa. Vorremmo riuscire a rifarlo anche questa volta, con l’aggiunta di due cose: da una parte il fatto di non essere io solo a guidare ma di essere insieme nella comunione con Padre Bernardo e altri confratelli; dall’altra, anche il maggior spazio dato alla preghiera in alcuni incontri, che guiderà P. Bernardo.
Padre Bernardo: Bene, allora lascio a Stefano il compito di chiudere l’incontro con una piccola preghierina e grazie a tutti per essere venuti qui.
Padre Stefano: Preghiamo con un brano tratto dalla lettera agli Efesini.
“Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.” (Ef 3, 14-21)
Tutti i presenti insieme: Amen
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Elenco dei testi di riferimento per l’intervento di Padre Stefano
Dalla Seconda lettura dell’Ufficio delle letture del 21 novembre, estratti dai Disc. 25, 7-8 e da Pl 46, 937-938 di Sant’Agostino:
<< Fate attenzione, vi prego, a quello che disse il Signore Gesù Cristo, stendendo la mano verso i suoi discepoli: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12, 49-50). Forse che non ha fatto la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede, fu scelta come colei dalla quale doveva nascere la nostra salvezza tra gli uomini, fu creata da Cristo, prima che Cristo in lei fosse creato? Ha fatto, sì certamente ha fatto la volontà del Padre Maria santissima e perciò conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima di dare alla luce il Maestro, lo portò nel suo grembo. Osserva se non è vero ciò che dico. Mentre il Signore passava, seguito dalle folle, e compiva i suoi divini miracoli, una donna esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato!» (Lc 11, 27). Felice il grembo che ti ha portato! E perché la felicità non fosse cercata nella carne, che cosa rispose il Signore? «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28). Anche Maria proprio per questo è beata, perché ha ascoltato la parola di Dio e l’ha osservata. Ha custodito infatti più la verità nella sua mente, che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente, di ciò che è portato nel grembo.>>
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Testo della Lettera ai Colossesi:
Col 1 1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, 2ai santi e credenti fratelli in Cristo che sono a Colosse: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro.
Col 4 7Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, 8che io mando a voi perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. 9Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e carissimo fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.
10Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Bàrnaba riguardo al quale avete ricevuto istruzioni – se verrà da voi, fategli buona accoglienza – 11e Gesù, chiamato Giusto. Di coloro che vengono dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di conforto.
12Vi saluta Èpafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non smette di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. 13Io do testimonianza che egli si dà molto da fare per voi e per quelli di Laodicèa e di Geràpoli. 14Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema. 15Salutate i fratelli di Laodicèa, Ninfa e la Chiesa che si raduna nella sua casa. 16E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi. 17Dite ad Archippo: «Fa’ attenzione al ministero che hai ricevuto nel Signore, in modo da compierlo bene».18Il saluto è di mia mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.
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Introduzione al testo:
Dati sintetici:
Colosse era una cittadina della Frigia, situata nella valle del fiume Lico in Anatolia (Asia Minore nella parte occidentale dell’attuale Turchia), circa 150 km a est della grande città portuale di Efeso.
Nel primo secolo d.C., Colosse era una piccola città agricola, ma nel V-IV secolo a.C., aveva goduto di una fiorente economia grazie al commercio dei tessuti. Aveva successivamente perso di importanza a causa della costruzione di una via commerciale nel terzo secolo che passava a Laodicea, più a ovest di Colosse. Paolo scrive una lettera alla piccola comunità cristiana di Colosse, senza avere probabilmente mai visitato la città.
Insieme a Laodicea e Gerapoli subirono una distruzione molto probabilmente nel 60-61 da un terremoto (Plinio verso il 70 nella descrizione della valle del Lico non le menziona) e mentre Gerapoli venne ricostruita dopo pochi anni, Colosse sembra non essersi più ripresa ed essere rimasta un villaggio senza importanza per lungo tempo, oggi restano pochi ritrovamenti archeologici di scarsa rilevanza, ma di Colosse e dei Colossesi continuiamo a parlare grazie alla lettera.
Autore: Tradizionalmente e dal saluto iniziale (1,1-2) Paolo, apostolo, ma anche al capitolo 3, e nella conclusione.
Fino al secolo XIX tale autenticità non è stata mai messa in dubbio mentre poi soprattutto a partire dalla critica tedesca si sono sollevati dubbi e si è ipotizzata una pseudo – epigrafia che ha conquistato molti pareri autorevoli tra gli esegeti contemporanei, la cui maggioranza propende per riconoscere la lettera non di Paolo ma della sua scuola, ovvero di discepoli di Paolo che scrivono dopo la sua morte.
A favore dell’autenticità possono giocare la presenza di temi tipicamente paolini:
notizie di Paolo
lo schema indicativo – imperativo (l’affermazione dottrinale da cui consegue quella
Il battesimo partecipazione alla morte di Cristo (Rom 6 e Col 2)
Le virtù teologali fede, speranza e carità (1 Ts e Col)
Per la pseudo – epigrafia invece si sono date le seguenti motivazioni:
Considerazioni letterarie:
34 parole che ricorrono solo in Col nel NT
28 parole che non compaiono nelle proto-paoline (1Ts, Rom, 1-2Cor, Gal, Fil, Fm)
Considerazioni di stile: nelle lettere proto-paoline è uno stile diretto, vivace e talora nervoso come nello stile di Paolo, mentre in Colossesi (e in Efesini) lo stile è piuttosto solenne e ridondante con molte proposizioni subordinate.
Considerazioni teologiche:
1) Assente il tema della giustificazione per la fede e discorso sulla salvezza impostata differentemente
2) Presenza dei Troni, Dominazione, Principati e Potestà potenze cosmiche che l’autore riconosce sottomesse a Cristo e sussistenti solo grazie a lui Col 1,16 Col 2,10.15 Cristologia di tipo cosmico
3) Cristo capo del corpo che è la Chiesa e del Cosmo (1,18; 2,10.19) mentre in 1Cor si dice che siamo corpo di Cristo ma non che lui è il capo.
4)Escatologia realizzata a partire dal battesimo (la pienezza della salvezza è già ora)(Col 2.12)
Battesimo in Rom 6 partecipazione alla morte di Cristo, ma in Col 2,12 è già partecipazione alla risurrezione. (Col 3,1-3)
5) Il tema del Mysterion (in Efesini il mistero è la salvezza dei pagani oltre a quella degli Ebrei) in Colossesi il mistero di Dio, che è Cristo (Col 2,3), in voi, speranza della gloria (Col 2,2-3; 4,3)
6) Accentuazione della fede come contenuto piuttosto che la fede come fiducia e relazione tra fede e conoscenza (Col 1,5.6.9.10.28; 2,2-3.7.10; 4,5) Teologia della conoscenza (solo abbozzata in 1Cor)
7) Rivestirsi dell’uomo nuovo (Col 3,9) mentre Rom 6 e Gal 3,27 aveva invece rivestirsi di Cristo)
Tutte queste motivazioni sia di tipo formale che tematico hanno indotto una maggioranza degli esegeti a propendere per la pseudo – epigrafia quantunque recentemente le posizioni sono molto più sfumate e la considerazione della possibilità di mutamento di stile nel tempo e l’assenza di vocaboli e la comparsa di altri in funzione della situazione concreta mutata, vengono maggiormente considerati oltre alla considerazione del contributo di scrivani tra i discepoli e collaboratori di Paolo nella stesura del corpo della lettera.
Destinatari: prevalentemente etnico-cristiani (provenienti dal paganesimo) (Col 1,21.27 e 2,11-13)
Luogo: se autografa di Paolo essendo stata scritta in prigione, si pensa tradizionalmente sia stata scritta a Roma (At28, 30-31), altra ipotesi plausibile Cesarea, oppure Efeso.
Se pseudoepigrafa probabilmente nella stessa provincia di Asia.
Data: se autentica attorno al 61-63 epoca della prima prigionia romana, oppure nel 60 se da Cesarea. Se invece l’autore non fosse Paolo, si pensa a suoi discepoli e si considera Colossesi la prima delle lettere deutero paoline e quindi scritta negli anni 70-80 dopo la morte dell’Apostolo.
Personaggi menzionati nella lettera: Paolo, Timoteo, Epafra il fondatore della chiesa, Tichico il latore della lettera, Onesimo schiavo di Filemone che accompagnerà Tichico, Aristarco compagno di carcere di Paolo, Marco cugino di Barnaba, Gesù detto giusto, Luca, il caro medico, Dema.
Eresia di Colossi (Col 2,4-23) di tipo sincretistico (ellenismo: forze cosmiche che guidano gli uomini.
Religioni misteriche. Giudaismo: venerazione per le potenze angeliche, Filone, Enoch) Cristo non è che uno dei mediatori tra terra e Cielo.
Inno cristologico (Col 1,15-20)
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Suddivisioni e Struttura:
Tradizionalmente la lettera è stata spesso suddivisa con criteri tematici in due parti: una dottrinale (1,15-3,4) e una etica/esortativa (3,5-4,6) incorniciate dai saluti iniziali (1,1-2) e finali della lettera (4,7-18),
Talora è stata proposta anche una suddivisione del corpo della lettera in tre parti invece che in due, con una cesura all’inizio del capitolo 2 oppure in 2,5 isolando la polemica contro l’eresia di Colosse.
Noi seguiremo la strutturazione proposta da J. N. Aletti il quale utilizza un criterio principalmente letterario frutto dell’analisi retorica applicata alla lettera.
Schema epistolare: Saluto iniziale (1,1-2)
Composizione retorica:
exordium con sviluppi innici (1,3-23)
vv 3-8 Azione di grazie di Paolo a motivo dei frutti dei Colossesi (virtù teologali)
vv 9b-14 Preghiera di Paolo per il progresso dei Colossesi per la conoscenza della Volontà di Dio per una vita degna di Lui, con perseveranza e rendendo grazie al Padre per la partecipazione alla sorte dei santi nella luce.
vv 15-20 Espansione cristologica
la partitio (1,21-23) o annuncio dei temi trattati:
- c) l’opera di Cristo per la santità dei credenti (vv 21-22)
- b) la fedeltà al Vangelo ricevuto (v. 23a)
- a) e annunciato da Paolo (v. 23b)
Corpo della lettera: Lo sviluppo dei temi in ordine inverso (1,24-4,1)
- Il Mysterion, combattimento di Paolo per l’annuncio del vangelo (1,24-2,5)
- Fedeltà al vangelo ricevuto (2,6-23)
- Esortazioni relative alle pratiche cultuali (vv. 2,6-8)
- Ragioni cristologiche: Cristo e i credenti in lui (2,9-15)
a’) conseguenza: ripresa delle esortazioni (2,16-19);
+ i 2,20-23 come subperoratio;
- L’agire etico dei credenti (3,1-4,1)
- Principi (3,1-4)
- Stato del cristiano e agire etico-ecclesiale (3,5-17)
Espressioni negative (3,5-9)
Motivazioni: l’essere in Cristo (3,9B-11)
Espressioni positive (3,12-17)
- Applicazione alla vita famigliare o domestica (3,18-4,1)
Esortazioni finali con funzione perorante (4,2-6)
Ripresa dello schema epistolare: (4,7-18)
Trascrizione a cura di Gaia Francesca Iandelli, oblata benedettina secolare
La fotografia è di Mariangela Montanari