Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del quarto incontro animato il 13 febbraio 2025 da padre Stefano
Lectio divinaSan Miniato al Monte, giovedì 13 febbraio 2025
Lectio Divina sulla Lettera ai Colossesi
IV incontro con
Padre Stefano Brina
Preghiera iniziale
Signore desideriamo deporre tutti i nostri pesi, le difficoltà, le preoccupazioni e la fatica di questa giornata.
Ti chiediamo di donarci la grazia di ammetterci alla tua presenza, di essere anche corroborati dall’energia dello Spirito Santo per essere capaci di un ascolto che oggi può essere anche un po’ esigente per la densità del testo che ci verrà proposto, ma che ci vuole aprire e soprattutto orientare verso la contemplazione dell’amore che tu, il Figlio, ha per ciascuno di noi e verso la possibilità di trovare in te un senso, una definizione, un compendio incorruttibile di amore, di luce e uno stimolo a lasciarci condurre all’interno del tuo mistero, accettando anche le sfide che questo comporta e talora anche i passaggi nelle ombre, nelle difficoltà delle tenebre dove tu invece sei luce, sei quel filo di Arianna che ci conduce alla meta.
Donaci la grazia e la gioia di poter condividere e di poter gustare di quella comunione che è il segno della tua presenza in mezzo a noi, a lode e gloria di Dio Padre. Amen
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Col 1 13È lui [Dio] che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
14per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Espansione cristologica (1,15-20)
15Egli è immagine (eiì”òçà°èé`kw.n) del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16perché in lui (en autw/|) furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui (di’’ì’auàòèéç°”£`tou/) e in vista di lui (ei`j au`to.n).
17Egli è prima (pro.) di tutte le cose
e tutte in lui (en autw/|) sussistono.
18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio (a“rch/),
primogenito [di quelli che risorgono] dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
19Perché in lui (en autw/|) è piaciuto [a Dio]
che abiti tutta la pienezza (plh,rwma)
20e per mezzo di lui (di’’ì’auàòèéç°”£`tou/) e in vista di lui (ei`j au`to.n)
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Alla fine dell’incontro precedente ci eravamo lasciati con Paolo che esortava i Colossesi a ringraziare Dio e proprio in Col 1, 13-14 Paolo ne dà la motivazione: “13E’ lui [Dio] che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del figlio del suo amore, 14per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.”
Qui ce n’era abbastanza per esprimere la motivazione del rendere grazie e invece a questo punto abbiamo l’inserzione di un testo che potrebbe essere anche un inno pre-paolino, ma che senza dubbio costituisce un’espansione cristologica di questa motivazione relativa al Figlio, che ha procurato il perdono dei peccati e la redenzione. Alla luce di questo dono del Padre che Gesù Gristo ha realizzato, ecco che in qualche modo l’autore si impenna usando un testo, -forse un inno già conosciuto dalle comunità-, che è costituito da due strofe in cui nella sostanza si celebra il Cristo e si mette in tutta evidenza il ruolo di primato assoluto sia nell’ordine della creazione, sia in quello della nuova creazione, cioè della redenzione.
Entrambe le strofe in cui si può suddividere, sono strutturate in questo modo: vengono fatte delle affermazioni, delle denotazioni e poi, a cascata, delle giustificazioni e precisazioni, che permettono di approfondire e capire meglio il significato delle affermazioni.
Vediamo subito quali sono gli elementi affermativi.
Col 1, 15: “15Egli (ovvero il Figlio, Gesù Cristo) è l’immagine, (letteralmente l’icona), del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione”
Questa la preposizione denotativa, ora comincia la parte giustificativa.
Col 1, 16-17: “16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.”
Sentite questo ‘lui… lui… lui…’ e ‘tutte le cose’ (in gr. ‘ta panta’), cioè lui in relazione a tutta la realtà, è un po’ il continuo che si esplicita.
Soffermiamoci un attimo su questo concetto di Gesù Cristo icona di Dio, immagine di Dio.
Al sentire l’espressione “immagine di Dio” la prima cosa che viene in mente a chi conosce un po’ la Bibbia è il testo della Genesi che afferma Gen 1 26Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine a nostra somiglianza.
L’immagine inoltre è qualcosa che rende presente qualcuno che è assente, unita al riferimento al Dio invisibile di cui Cristo è immagine ci fa subito pensare al ruolo di Cristo come rivelatore che ci richiama
la fine del Prologo del Vangelo di Giovanni dove troviamo scritto:
“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.” (Gv 1, 18)
Sono dunque queste due le prime associazioni che vengono in mente a noi frequentatori delle Scritture e che hanno indubbiamente una portata rilevante. Vogliamo soffermarci sulle implicazioni sia sul fronte antropologico che su quello teologico che abbiamo appena rilevato, anche se vi anticipo che il significato principale di questo versetto e della pericope intera è un altro che poi metteremo in luce.
Per noi è importante sapere cosa ci dice l’esegesi, dove sta il centro del significato dei testi, per non rischiare derive arbitrarie o infondate, però la Lectio Divina funziona sempre per assonanza, la Scrittura si spiega con la Scrittura, i testi della Bibbia s’illuminano uno con l’altro. Ovviamente in funzione di questo cresce un significato, una comprensione che conduce la persona ad una ‘intelligenza saporita’ dei testi e in funzione di ciò guida anche (a seconda del contenuto dei testi e tanto più nel caso del brano di oggi) ad una dimensione, (come quella a cui invitava Paolo), di gratitudine, di contemplazione, di adorazione, ma poi anche ad una dimensione di riflessione e di impegno (come avremo modo di vedere più avanti).
Dunque, proviamo ad approfondire quanto abbiamo trovato.
A proposito del Cristo rivelatore, se il primo testo che viene in mente è il grande prologo del Vangelo di Giovanni, tuttavia c‘è anche un altro testo significativo di Paolo, più antico rispetto a quello dei Colossesi, ed è la Seconda Lettera ai Corinzi:
“2Cor 4 3E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: 4in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. 5Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. 6E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.”
Questo testo mette insieme il ruolo di Paolo come evangelizzatore (in questo caso al servizio dei Corinzi) e la sua intelligenza profonda, l’azione dello Spirito in lui, che lo porta ad essere in grado di contemplare e trasmettere il contenuto del Vangelo, ossia la Buona Notizia in cui Dio si rivela in Cristo.
Anche noi siamo chiamati a fare questo genere di esperienza, cioè il nostro ascolto della Parola, in particolare in questo caso la nostra contemplazione dei contenuti dei testi, hanno lo scopo di farci entrare in una conoscenza, in una apertura al dono del Signore, il quale riorienta soprattutto la prospettiva del senso della nostra vita ed è quindi in grado di sgombrare le tenebre e le nubi delle situazioni con cui siamo tante volte appesantiti, nel migliore dei casi ridonandoci uno splendore che si riverbera anche sul nostro modo di porci agli altri, sul nostro volto, (come dice Paolo); in altri casi, quando invece siamo in condizioni di particolare prova in cui è molto gravoso il peso che stiamo portando, donandoci una luce più intima che ci permette in qualche modo di non perdere la strada, di riprendere vigore e una sorta di pace interiore che ci fa percepire che il Signore ha in mano la realtà e quindi che anche le dimensioni più tenebrose che possiamo attraversare nella nostra vita, sono in realtà occasioni in cui Lui è con noi, ci orienta e ci conduce.
Così come in altri contesti, in cui forse dobbiamo anche lottare con la parola, con l’azione, per difendere il valore e i diritti degli uomini. Anche sapere che il Signore getta la sua luce sul valore dell’uomo, ci permette di trovare in Lui forza, soprattutto quando siamo in una fase della nostra vita in cui abbiamo assolutamente il dovere di lottare, ecco che la forza ci viene proprio dalla luce interiore e dall’orientamento chiaro che la luce di Cristo riverbera su tutta la complessità della realtà.
Facciamo un ulteriore passo avanti. Abbiamo visto il Cristo come rivelatore, ora andiamo a riprendere l’altro capo che avevamo colto insieme, cioè quello dell’uomo come immagine di Dio.
In Genesi 1, 27 si dice: “27E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.”
Dice ancora Paolo in 2Cor 3,17-18: “17Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. 18E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.”
Ireneo dice che “L’uomo è icona dell’icona.”
Perché Gesù è l’icona di Dio e l’uomo è modellato su Gesù Cristo, il prototipo, il primogenito.
Ebbene, questa dimensione l’uomo la recupera, la invera attraverso la sua esperienza di vita e di vita di grazia, ecco perché Paolo parla di trasformazione. Noi siamo sempre nel regime di una libertà condizionata. Il Vangelo libera la nostra libertà, una libertà che però non ha la forma di come oggi è generalmente considerata, ovvero come scioglimento da ogni regola, da ogni direzione determinata, da ogni limite imposto al soggetto. La verità che libera il Vangelo è quella di adesione, di andare oltre sé stessi, libertà di donarsi, libertà di scegliere il meglio. Tutte queste cose si inverano man mano nella vita, nelle circostanze concrete in cui noi abbiamo sempre delle opzioni e siamo chiamati a fare delle scelte, scelte che poi hanno delle conseguenze.
Andiamo un po’ oltre. Questa dimensione dell’immagine-icona la ritroveremo più avanti anche nella Lettera ai Colossesi, proprio riferita ai cristiani, cioè agli uomini e non al Figlio di Dio.
Col 3, 9-11: “9Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni 10e avete rivestito il nuovo (allude alla scelta battesimale, come nuova via), che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato (cioè di Dio). 11Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.”
Rileggiamo allora Col 1, 13-14: “13È lui [Dio] che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, 14per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.”
Lo vedremo meglio più avanti, ma già in questi due passi si accenna alla rottura di quelle distinzioni che sono occasione di prevaricazione e di conflitto; pur non avendo assolutamente intenzione di abolire le distinizioni, il Signore butta giù tutti i muri, è Lui che rende possibile questa realizzazione, questo recupero della realtà in cui noi siamo e in cui è presente tutto il mistero del male. È chiaro che non è automatica questa dimensione della manifestazione dell’immagine.
In Genesi 1, 26 abbiamo già letto: “26Dio disse: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza …>>”
I Padri, scavando meglio in questo passo di Genesi, dicono che l’uomo con il peccato ha perso la somiglianza con Dio ma non l’immagine; allora tutto il cammino della vita cristiana sarebbe un cammino di conversione per recuperare la somiglianza, a questo proposito i santi sono chiamati i ‘somigliantissimi’.
Ora leggiamo un brano celeberrimo e di grandissimo spessore del Concilio Vaticano II, con cui si conclude la prima parte della costituzione pastorale Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Questa prima parte è dominata dallo sguardo su tutta la realtà dell’uomo e quindi su tutta la sua dignità; in questa sintesi conclusiva del n. 22 vengono ripresi i testi biblici fin qui citati, insieme anche ad altri testi paolini, e riletti nella dimensione antropologica, ossia mettendo in evidenza cosa dicono dell’uomo alla luce di Cristo.
Per noi è importante sapere chi siamo e la rivelazione ci dà un’indicazione molto chiara su chi è l’uomo. Papa Benedetto diceva che lui vedeva la sfida principale nella civiltà contemporanea nell’antropologia, cioè nel concetto di uomo. Se pensate a tutta la deriva del transumanesimo che attualmente spesso muove chi ha le leve delle scelte che guidano la rivoluzione tecnologica in atto, voi capite che sono visioni dell’uomo veramente alternative alla visione dell’uomo in Cristo. La rivelazione ci dà una visione di grandissima portata, che motiva anche un certo tipo di posizionamento nel mondo e anche la perseveranza, la pazienza, la grandezza d’animo, la magnanimità (come diceva Paolo ai Colossesi).
Gaudium et Spes 22. Cristo, l’uomo nuovo.
“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore.
Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte (ossia tutto quello che è stato scritto nella prima parte della Gaudium et Spes sull’uomo e la sua dignità) in lui (cioè in Cristo) trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è «l’immagine dell’invisibile Iddio» (Col 1,15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.”
Vedete che respiro c’è in questo scritto. Questa è l’identità che ci dà il Signore, un’identità liberante. D’ora in avanti la Gaudium et Spes sviluppa temi che non riguardano strettamente il nostro testo di Colossesi, ma che comunque interessano tutta la dimensione che vi sta a monte: non si può arrivare alla cristologia cosmica di questo inno se non ci fosse stata l’esperienza storica con Gesù Cristo e con la sua resurrezione. In seguito all’esperienza della Pasqua, alla luce dello Spirito Santo, si comincia ad ampliare lo sguardo su Gesù, fino ad arrivare a leggerlo come colui che presiede addirittura a tutta la creazione e non solo al cammino della vita umana. Per noi è molto importante questo legame con il fatto storico di Gesù Cristo. Questo punto è irrinunciabile, perché senza questa connessione stretta con ciò di cui noi facciamo esperienza, cioè la vita, non possiamo elevarci, sarebbe un volo nella ‘mitologia’.
Torniamo a GS22:
“Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con sé stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore.”
Tutte le nostre piccole o grandi esperienze d’amore hanno un richiamo con la destinazione finale, con l’eredità, con la pienezza, sono una prefigurazione, una prolessi. Infatti, sono le cose che salviamo della nostra vita, quello che teniamo con noi e che pensiamo non ci abbandonerà neanche dopo.
“In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, nell’attesa della «redenzione del corpo» (Rm 8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.”
Questo testo di grande portata antropologica evidenzia anche la pregnanza di questa speranza.
“E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.”
Questa conclusione che manifesta la portata universale del dono di Cristo -senza la pretesa di misurare la grazia di Dio o i modi che il Signore usa-, ci è molto di aiuto, perché tante volte ci ritroviamo con persone che possono non avere il dono della fede oppure avere una fede diversa. Questo testo irradia di speranza e ci mette in una dimensione di apertura fiduciosa verso tutti gli uomini di buona volontà.
“Tale e così grande è il mistero dell’uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!”
È un testo di una grandissima densità, ma anche di straordinaria bellezza, che dovremmo leggere tutte le volte che vediamo l’umanità offesa a tutti i livelli nella sua dignità e tutte le volte che ci troviamo a non sapere chi siamo e cosa ci stiamo a fare al mondo (cosa che può succedere tante volte, anche ai credenti).
Se anche i due approcci, quello genesiaco e quello di Cristo rivelatore, non sono il centro del nostro testo, che è costituito dalla mediazione di Cristo, (questo è il punto centrale), però come si può vedere questi testi hanno illuminato anche nella tradizione della Chiesa e del magistero proprio la visione sull’uomo e sulla creazione. Abbiamo già trattato dell’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione e ho già detto che non è la Genesi il testo dell’Antico Testamento che fa da retroterra al nostro testo.
Ma allora qual è?
Il nostro testo ha un retroterra di tipo sapienziale, ovvero esistono dei testi nei libri sapienziali che in qualche modo preparano questo nostro testo, o perlomeno sono stati tenuti presenti dall’autore del nostro testo che, ovviamente ci parla di Cristo, ma utilizza delle immagini, delle categorie, delle realtà che sono già presenti.
Ebbene, tra questi testi sapienziali il più antico è quello dei Proverbi. Questo libro parte da un’idea di fondo che vale per tutti i libri sapienziali di tutte le tradizioni dell’umanità, ovvero che nella realtà ci sia un verso con cui le cose funzionino e quindi merita indagare, cercare, valutare, per capire quale è il verso per vivere bene. Perché l’obbiettivo è sempre quello di portare frutto e vivere la vita in modo felice, per lo meno si affrontano le difficoltà della vita con un valore. Non tutti i modi di vivere, non tutte le azioni anche concrete, non tutti i principi funzionano, per cui la sapienza umana nelle varie tradizioni cerca di selezionare, infatti normalmente nascono dei proverbi, dei piccoli detti che prima servono per cose anche molto pratiche e poi portano a vedere una sorta di griglia, di sottofondo. Allora ecco che addirittura il cercare la sapienza assume un valore in sé, fino al punto che questa sapienza viene a prendere quasi una forma personale, ovvero si crea una sua personificazione.
Ed è proprio la signora Sapienza che parla in questo brano di Proverbi 8, 22-31:
“22Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. 23Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.”
Quanto la Sapienza dice di sé in questo testo dei Proverbi, ricorda per analogia ciò che Paolo dice di Gesù Cristo in Col 1, 15: “…primogenito di tutta la creazione…”
E poi più avanti in Col 1, 18: “Egli è principio”. È lo stesso termine greco archè che si traduce con principio, inizio, origine. Ma a differenza del nostro testo della lettera ai Colossesi che si concentra sul ruolo di mediazione di Cristo, questo testo dei Proverbi, tende ad illustrare tutta l’attività della Sapienza.
“24Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;25prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, 26quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. 27Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, 28quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, 29quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, 30 io ero con lui come artefice (altra traduzione possibile: lattante, bimba) ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, 31giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.”
È bellissima questa immagine della ‘Sapienza che sta all’origine’ che sta a significare che il mondo ha un senso, che nella creazione c’è un ordine e non è frutto del caso.
Queste stesse caratteristiche in realtà vengono assunte da Paolo nel nostro inno, con gli stessi termini, per affermare il primato di Cristo, la sua precedenza e il suo essere ragione di tutto.
Anche il Libro della Sapienza, un testo più tardivo scritto in greco, ci dice qualcosa al riguardo:
Sap. 7-8: “722In lei [nella Sapienza] c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, 23libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili. 24La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
25È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa. 26È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. 27Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti. 28Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza.
29Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; 30a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza.
81La sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo.”
Perciò, in una forma poetica molto bella e suggestiva, la Sapienza presiede alla creazione di Dio; l’uomo deve investigare e trovare la Sapienza, poi per mezzo di questa leggere la realtà e la propria vita così da orientarla. Questa è la grande tradizione sapienziale.
La lettera ai Colossesi riprende questi concetti, ma Cristo non è semplicemente la Sapienza, il testo sapienziale aiuta ad entrare nella luce, fa esprimere il ruolo di Gesù Cristo nella creazione ed ecco perché in Col 1, 15 si dice che: “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione”.
Avendo riconosciuto la matrice sapienziale del testo, potremmo pensare che il primogenito della creazione, significhi che Gesù Cristo è creato da Dio come tutta la creazione di cui egli risulterebbe la prima creatura, ma il seguito preciserà meglio impedendo questa conclusione.
Col 1, 16: “Perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze”.
Quindi Cristo non è il primo di tutta la serie delle cose create, è in lui che sono create tutte le cose nei cieli e sulla terra. Se poi non abbiamo ancora capito bene dove Paolo vuole portarci, aggiunge: non solo le cose visibili, ma anche quelle invisibili. Ovviamente quando parla di cose invisibili intende riferirsi a tutta la dimensione spirituale e subito dopo infatti precisa che si tratta dei Troni, delle Dominazioni, dei Principati e delle Potenze. Tra l’altro i Troni e le Dominazioni sono nominati una sola volta e poi non compaiono più nel NT.
Noi potemmo anche dire che Paolo poteva risparmiarsi di specificare queste categorie spirituali, perché dopo aver detto che in Cristo erano state create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili, a noi bastava, perché già avevamo capito. Ma Paolo insiste nel voler nominare e specificare di quali potenze si tratta, perché queste creavano un po’ di problemi ai Colossesi, (come vedremo nel corpo della lettera, al capitolo 2) e proprio per questa ragione le anticipa qui.
Ma se anche queste potenze sono state create in lui, cioè in Cristo, allora ovviamente dipendono da lui che sta sopra di loro.
Chi sono però i Troni, le Dominazioni, i Principati e le Potenze?
Se si va un po’ a cercare nella Bibbia qualcosa si trova a proposito.
In Col 2, 9-10 e 15 si dice:
“9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. (…)”;
“15Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.”
Per meglio aiutarci a capire consideriamo anche un passo della Lettera agli Efesini, (lettera sorella della nostra ai Colossesi, che utilizza lo stesso ‘gergo’).
Ef1, 20-23: “20 Egli (Dio) manifestò [la sua potenza] in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. 22 Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: 23 essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.”
Vedete quale visione gigantesca, pensate a Gesù di Nazaret, il bimbo di Betlemme, poi a all’inizio del ministero pubblico di Gesù, alle folle che lo circondano quando opera miracoli, alla pretesa di essere il Messia che viene contrastata dalle autorità religiose e da quelle politiche che ne vedono un possibile rischio di turbamento dell’ordine pubblico, fino alla morte in croce. Poi con un altro grande salto il Gesù risorto che cambia tutta la prospettiva nel momento in cui lui ha vinto la morte, pensiamo dunque all’estensione della sua signoria non solo sulle persone che credono in lui come Signore Gesù Cristo ma che intuiscono la sua divino-umanità e ricordano le sue strane affermazioni di mutua immanenza tra lui e il Padre.
Se pensiamo solo alla dimensione del cosmo, di tutta la realtà, dei pianeti, di tutta la realtà visibile, della complessità e grandezza del macrocosmo e l’articolazione incredibile del microcosmo, che cosa sarà mai Gesù Cristo?!
Invece, vedete come a partire da questa realtà di vittoria del Signore Gesù, si estende la comprensione del suo valore.
Dov’è che vuole portarci Paolo?
Paolo vuole portarci ad un riferimento prioritario a Gesù, che non è come tutti gli altri, Gesù Cristo non è paragonabile agli altri; non possiamo misurarlo come si misurano le altre realtà, sia quelle mondane, sia quelle delle varie forze e potenze che si muovono nella realtà che noi sperimentiamo e tante volte ci sovrasta. Riguardo a questo aspetto imprescindibile, questo valore che è il nostro vero tesoro, Paolo vuole che noi lo contempliamo e quindi ne siamo assunti dall’interno, così che lo Spirito Santo ci illumini, smuova l’intelligenza della nostra mente per dilatarla e per saper leggere anche quello che non è possibile cogliere con i sensi; perché ci doni forza, speranza e intensità con cui poi poter vivere le nostre realtà concrete di ogni giorno, sapendo riconoscere però nelle circostanze che viviamo, un portato simbolico, un rimando a dell’altro e dell’oltre e ci dona anche la capacità di testimoniarlo.
Ricaviamo qualche notizia a proposito di questi esseri superiori all’uomo, se leggiamo il Libro di Giobbe, al cap 1, 8–12. Qui si racconta infatti che un giorno i figli di Dio erano andati a presentarsi al Signore e in mezzo a questi c’era anche Satana. Ad un certo punto “8Il Signore disse a Satana: <<Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male>>. 9Satana rispose al Signore: << (…) Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. 11Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!>> 12Il Signore disse a Satana: <<Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui (cioè, non lo uccidere). >>”
Tutta la scena è modellata sull’idea di una corte con il re e tutti i suoi dignitari, e così anche nell’ambito della dimensione celeste abbiamo Dio-YHWH con il suo consiglio, formato dai figli, esseri superiori all’uomo, identificati con gli angeli appartenenti a tutte le varie gerarchie angeliche.
Questa realtà così complessa e variegata è testimoniata nella spiritualità ebraica, ma troviamo qualcosa di analogo anche nella concezione spirituale ellenistica che anzi, credendo che la divinità non potesse entrare in diretto contatto con la materia, tendeva ad accentuare ulteriormente il ruolo e l’importanza di queste grandi potenze ‘mediative’, ritenendole necessarie a presiedere al moto delle sfere e far funzionare tutto il mondo.
Questo tipo di concezioni, con tutte le pratiche che poi ne derivavano, sono sempre esistite, non solo nelle culture antiche, ma anche nel presente della storia.
Paolo ha bisogno di mettere in evidenza questo punto e lo fa, non semplicemente con l’intento di correggere da deviazioni, ma per orientare i suoi interlocutori ad una contemplazione più ampia della realtà di Cristo.
È bellissimo questo principio e dovremmo tenerlo come riferimento per il nostro modo di leggere le cose. A volte nella vita facciamo esperienze che lì per lì leggiamo male, non riusciamo a coglierne né il valore, né la portata, spesso ci provocano disturbo; accade che dobbiamo attraversare situazioni, non volute, non auspicate e quindi facciamo fatica a starci dentro.
Poi quando grazie anche all’aiuto dei fratelli, della preghiera, dell’affidamento al Signore percorriamo un tratto di strada e superiamo la fase critica, spesso e volentieri ci accorgiamo di esserne usciti con una percezione della realtà molto cambiata, con una scala di valori trasformata, anche con un’esperienza del fatto che in certe situazioni il Signore c’è stato per noi. Quindi, là dove è stato possibile vincere tutto il disagio che abbiamo avuto, poi riusciamo a trattenere il frutto che ci ha cambiato e non solo le fatiche che abbiamo fatto. Qualora questo cambiamento sia stato accompagnato, sia stato vissuto attraverso la sequela del Signore, o comunque sia avvenuto non solo per merito nostro, ma anche perché altri ci hanno liberato prendendosi cura di noi, questo ci ha fatto fare un’esperienza che è preziosissima e suscita un inatteso cambiamento in noi. Credo che questo ci aiuti un pochino a cogliere il portato del nostro camminare e del nostro porci nella realtà, le cui sfide hanno come ‘possibilità’, non tanto il superamento delle sfide in sé, ma l’acquisizione di qualcos’altro di più prezioso, qualcosa che appartiene ad un altro piano.
Tornando al nostro testo, Paolo dice in Col 1, 16: “… in lui furono create tutte cose… per mezzo di lui e in vista di lui.”
Non troverete nessun testo sapienziale che dirà che tutto è creato in vista della Sapienza, perché la Sapienza non è compimento ma è mediazione, c’è un ordine logico nella realtà, ma non è questo il fine, mentre di Cristo, si afferma che tutto è stato creato in vista di lui.
Per dirla con Ruperto di Deutz: “Bisogna dire in modo religioso e ascoltare con rispetto che è a causa del Figlio dell’uomo che doveva essere colmato di gloria, che Dio ha creato tutto. “
Ebbene, qui il testo di Paolo afferma che Cristo non è solo la causa strumentale, ma è anche la causa finale, il fine di ogni cosa (anche nella Gaudium et Spes si dice che siamo orientati a Lui).
Anche andando avanti nella lettura della seconda parte del nostro testo paolino si insiste su questo concetto, perché Lui è il primogenito dei morti e in questo caso non significa semplicemente che Lui è il primo, ma anche che attraverso di Lui noi tutti siamo chiamati a seguirlo nella risurrezione.
Come dice J.N.Aletti: “Il Figlio è allo stesso tempo colui per mezzo del quale tutto è stato creato, colui che ha rappacificato tutto per mezzo del sangue della sua croce e colui che è stato elevato nella gloria. È dunque al Figlio eterno, nato, morto e risorto, che, nel brano, si danno i titoli d’immagine, principio, primogenito di ogni creatura e di coloro che risuscitano dai morti.”
- M. Congar dice che il Signore Gesù è il “… compendio incorruttibile di tutta la creazione, in cui questa avrebbe il principio di una nuova partenza: un po’ come l’umanità era stata salvata in una sintesi di se stessa nella famiglia di Noè (quando ci fu il diluvio).”
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Terminiamo questo nostro incontro sotto il mosaico dell’abside della nostra Basilica, pregando davanti all’immagine del Cristo Pantocratore, una icona che riassume e permette una teologia visiva, un’esperienza visiva di quanto oggi abbiamo esaminato attraverso l’ascolto delle Scritture.
Foto del Mosaico dell’abside della Basilica di San Miniato al Monte:
Cristo Pantocratore in trono fra Maria, San Miniato e i simboli dei quattro evangelisti.
Mentre voi guardate in alto il mosaico, io vi leggo questo Inno IX, 24-25, dagli Inni al Paradiso, di Efrem il siro:
“Torrenti di soavità fluiscono dallo splendore del Padre mediante il suo Primogenito, verso la folla dei veggenti. Là si daranno avidamente al godimento del pascolo delle visioni divine. Chi mai ha visto degli affamati saziarsi, impinguarsi e inebriarsi dei flutti della gloria, che fluiscono nella bellezza di quella Essenza bella? Il Signore di ogni cosa è il tesoro di ogni cosa. |
A ogni uomo, secondo le sue forze,
mostrerà attraverso una fessura la sua bellezza celata e la sua lucente maestà. Egli è lo splendore che, nella sua misericordia, fa tutto brillare: i piccoli mediante i suoi lampi, i perfetti mediante i suoi fasci di luce. Solo il Figlio suo è all’altezza della veemenza della sua gloria. “ |
Concludiamo questo incontro recitando tutti insieme il Te Deum, questo inno rivolto a Dio e subito dopo a Cristo:
Te Deum laudámus:
te Dóminum confitémur. omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli,
Pleni sunt cæli et terra maiestátis glóriæ tuae. te prophetárum laudábilis númerus,
Tu rex glóriæ, Christe.
Tu, devícto mortis acúleo, in glória Patris. Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, in glória numerári. Salvum fac pópulum tuum, Dómine,
Dignáre, Dómine, die isto |
Noi ti lodiamo, Dio ti proclamiamo Signore. O eterno Padre, tutta la terra ti adora. A te cantano gli angeli Santo, Santo, Santo I cieli e la terra
O Cristo, re della gloria, Vincitore della morte, Soccorri i tuoi figli, Signore, Salva il tuo popolo, Signore,
Degnati oggi, Signore, Tu sei la nostra speranza,
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Infine vi saluto con l’augurio che faceva il grande monaco Isacco della Stella:
“In te cresca il Figlio di Dio, già formato in te, finché divenga, per te e in te, senza misura; vi sarà allora riso, esultanza e gioia totale, che nessuno ti potrà togliere.”
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Trascrizione a cura di Gaia Francesca Iandelli, Obl. OSB