Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del nono incontro animato il 15 maggio 2025 da padre Stefano

Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del nono incontro animato il 15 maggio 2025 da padre Stefano

Lectio divina

San Miniato al Monte 15 Maggio 2025
Lectio Divina sulla lettera ai Colossesi
IX Incontro con padre Stefano Brina

Preghiera iniziale

“Vieni, Spirito Santo,
riempi della tua luce la nostra mente
per capire il vero significato della tua parola.
Vieni Spirito Santo,
accendi nei nostri cuori il fuoco del tuo amore
per infiammare la nostra fede.
Vieni, Spirito Santo,
riempi la nostra persona con la tua forza
per rinvigorire ciò che in noi è debole
nel nostro servizio a Dio.
Vieni, Spirito Santo,
con il dono della libertà,
per sboccare le nostre paure
che ci impediscono di amare Dio e il prossimo.
Amen”

(Carlos Mesters)

——–

Mi sembra che in un testo così fortemente cristologico come la Lettera ai Colossesi, tutto incentrato sul mistero di Cristo, abbiamo sempre bisogno di una ‘dilatazione pneumatica’, cioè di una dimensione in cui raccordiamo la nostra relazione con il Cristo attraverso l’azione e la conoscenza che lo Spirito Santo ci offre. Ma andiamo per gradi.

Paolo ci insegna come essere nel mondo ma non del mondo. Le valutazioni secondo i vari parametri sociologici, politici hanno la loro pertinenza, però noi abbiamo un ruolo come persone di fede, in cammino, che si sono lasciate attirare dal Signore e che nella Chiesa hanno trovato una parola, un vangelo, un mistero che li ha raggiunti.
Se ad esempio uno di noi trovasse che a qualcuno che riveste un ruolo ecclesiale (al Papa, a un sacerdote, a un monaco, a un vescovo, ecc.) manca qualcosa, cosa dovrebbe fare?
Se è un amico, glielo si può anche dire o scrivere, ma prevalentemente tutti possiamo pregare.
La comunione di Spirito è capace di attivare una certa complementarità, facendo in modo che la nostra preghiera giunga a compensare una particolare mancanza o carenza che notiamo in una persona.
Dal punto di vista della preghiera siamo tutti capaci e questo ci permette di portare gli uni i pesi degli altri, compresi quelli dei pastori, o degli ultimi dei credenti o anche dei non credenti (come dice Paolo), ma nello stesso tempo invece di avere un atteggiamento ‘lamentante’, assumiamo un atteggiamento ‘collaborativo’ ed è così che lo Spirito Santo smuove. Se noi siamo docili, dove manca qualcosa arriva qualcun altro che lo aggiunge. Questo credo sia un aspetto importante. Chiaramente è la nostra sensibilità più profonda che ci permette di cogliere le cose, come quando durante le nozze di Cana Maria si accorse che mancava il vino.

Stiamo facendo un cammino di crescita, alla scuola della Parola, di presa di coscienza del dono che il Signore ci offre e della possibilità che abbiamo anche noi di collaborare a questo dono ognuno secondo la propria specificità. Questo aspetto è molto importante. Si tratta di un percorso abbastanza impegnativo, tanto è vero che molte persone dopo un po’ di tempo dicono di non farcela più a seguire, adducendo come motivo di ciò, i molti altri impegni che hanno. La Lectio non è come un incontro isolato a cui uno va, partecipa ed esce; il nostro è un cammino in cui c’è un continuo verificarci nella capacità di attivazione.
Ora riprendiamo il testo già letto la volta scorsa che abbiamo commentato solo parzialmente.

Lettera ai Colossesi, il mystèrion (1,24-2,5). La lotta di Paolo per la diffusione del vangelo

“24Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a
ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è
la Chiesa.
25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio,
26il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. 27A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria.
28 È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza,
per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
29Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.
21Voglio infatti che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona,
2perché i loro cuori vengano consolati.
E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: 3in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza.
4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: 5infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.”

Ci soffermiamo con attenzione sulle parti che riguardano sia l’aspetto del Mistero, sia l’aspetto della relazione di conoscenza e di amore di questo Mistero.

Abbiamo già commentato e contemplato Paolo sofferente, che partecipa alla sofferenza aperta di Cristo che gli permette di partecipare attraverso i suoi patimenti alla missione che gli è stata affidata da Dio, quella di essere “luce per le genti”, secondo l’espressione che ritroviamo negli Atti degli Apostoli.
Il suo obiettivo è quello di portare a compimento la Parola di Dio; ma questo cosa significa?
Lascio anche a voi trovarne il significato.
Faccio notare come Paolo sia consapevole della necessità di un processo di assimilazione, di approfondimento, di ‘cristificazione’, perché nelle persone si compia quel cambiamento annunciato dalla Parola di Dio che si traduce in un vero cammino di crescita.
Non a caso abbiamo detto che per la prima volta in questo brano di Colossesi viene introdotto il vocabolo ‘Mistero’, (poi lo ritroveremo anche in Efesini), mentre nell’Exordium, ossia nella prima parte che precede il corpo della lettera, avevamo trovato il termine ‘Vangelo’, consueto nelle lettere di Paolo.
Il passaggio da Vangelo a Mistero dice qualcosa di un po’ diverso, perché quando pensiamo al Vangelo pensiamo all’annuncio, in particolare nel caso di Paolo all’annuncio del Mistero Pasquale sul quale lui concentra la sua attenzione, e più ampiamente a tutto il messaggio che comprende anche le narrazioni e le tradizioni sulla vita di Gesù e non solo l’epilogo.
Il Mistero ha sempre a che fare con qualcosa che è nascosto e anche i misteri pagani avevano questa caratteristica, con la differenza però che a questi ultimi si veniva iniziati per ‘prove’ successive che avevano lo scopo di far acquisire sempre maggiori competenze per poter padroneggiare sempre meglio la conoscenza dei misteri stessi a cui si associava la possibilità di una salvezza.
Nel caso delle lettere paoline invece, il Mistero è del tutto irraggiungibile dallo sforzo umano, ma non è più una realtà nebbiosa, bensì rivelata: il Mistero è Cristo.
Finché consideriamo Gesù di Nazaret, ci riferiamo a una persona, un uomo, un maestro, ma poi c’è dell’altro, perché di questo Gesù di Nazaret non si dice solo che è un maestro e un profeta, ma che ha una relazione con Dio tutta particolare. Meno male che c’era già una rivelazione nell’Antico Testamento che parlava di un Messia che doveva venire, anche se poi non tutto è stato capito. Nel momento in cui succede che il suo popolo lo rigetta e Lui muore in croce, tutto sembra illogico e questo è misterioso, come ci dirà Paolo. Per Paolo è un mistero il fatto che Gesù non sia stato accolto dagli ebrei, dai suoi corregionali, è un mistero insondabile e Paolo ci riflette molto. Per Paolo rimane un mistero insondabile che Gesù non sia stato accolto dai suoi correligionari ebrei, e nella Lettera ai Romani cerca di capire che cosa sia successo e quale possa essere il senso di una tale contraddizione.
Ma poi c’è un mistero ulteriore: Gesù rivela che la sua morte in croce non è assolutamente l’epilogo ineluttabile di un giusto che viene rifiutato, perché lui dice (e anche l’evangelista Luca sottolinea questo verbo imperativo ‘dei’): “Il Figlio dell’uomo doveva morire, dare la sua vita e risorgere il terzo giorno.” Quindi Gesù Risorto insiste sulla necessità della sua Passione, ma ancora di più nell’ultima cena Gesù dice “Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il sangue della nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”, attribuendo così al suo sacrificio, alla sua morte in croce, il potere di liberare l’umanità, il potere di aprire e riconciliare l’umanità con Dio e con il suo destino di amore.
Quindi, la contraddizione affrontata la volta scorsa, il paradosso che perché ci fosse il bene per tutti Gesù dovesse passare attraverso il male della sofferenza e della morte, compiendo la Redenzione, rappresenta indubbiamente un mistero: il mistero pasquale.
Ancora: come abbiamo visto la volta scorsa è un Mistero anche che le nostre sofferenze, (talvolta banali, spesso deprecabili, da cui cerchiamo di scappare prima possibile, sia che siano fisiche, sia che siano morali, spirituali, ecc.) possano in qualche modo rendere attiva la redenzione di Cristo dentro la realtà fenomenica della nostra vita. Non è per nulla scontato che questo aspetto possa essere vissuto così! Capite allora che Paolo ci mette in contatto con questa dimensione, per certi versi multiforme, ma anche ben centrata in Gesù Cristo, che qualifica come Mistero.
C’è inoltre un obiettivo per cui Paolo offre la sofferenza che patisce: che i cuori dei fedeli vengano consolati.
Noi prima abbiamo affrontato questo discorso pneumatologico. Chi è che consola? Chi è il consolatore?
Lo Spirito Santo.
Paolo soffre perché i cuori vengano consolati, perché è solo attraverso la consolazione che il cuore può aprirsi, può penetrare in una conoscenza più profonda e in una partecipazione totale alla vita di Cristo. Questo è un aspetto bellissimo, ma non scontato né banale e certamente non in linea con l’interpretazione corrente della realtà con la sua drammaticità.

Facciamo un piccolo excursus nel primo Paolo, nei testi che conosciamo e poi nella Lettera agli Efesini che, come sapete, è quella più vicina a Colossesi e che spesso parla la stessa lingua, usa i vocaboli con lo stesso significato.

Ho già accennato al mistero dell’indurimento di Israele e se uno vuole cogliere tutta la drammaticità della questione può leggere la Lettera ai Romani, in cui Paolo arriva ad affermare il paradosso di voler essere scomunicato purché i suoi correligionari aderiscano a Cristo. Alla fine del cap. 11 di questa Lettera Paolo aggiunge: “25Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. 26Allora tutto Israele sarà salvato.”

Paolo, dunque, si chiede perché succede così e dopo averci patito molto trova una sua spiegazione: Dio racchiude tutti nella disobbedienza, sia i pagani che erano disobbedienti già da prima perché non riconoscevano Dio nonostante le cose visibili da cui potevano arrivarci, sia gli ebrei che nonostante avessero la rivelazione però non hanno riconosciuto il Messia. Però siccome i pagani arrivano alla fede ad una velocità impressionante Paolo dice: “Voi siete un po’ come un olivastro che viene innestato nell’olivo buono, non avevate tutte le prerogative eppure siete arrivati e vi siete innestati. Attenzione però a non credervi delle persone migliori, perché in realtà il motivo per cui il Signore ha permesso tutto questo è un mistero, anche se mi sembra che lo voglia fare perché vuole racchiudere tutti nella disobbedienza così da fare misericordia a tutti. Perché è solo l’amore che può arrivare a rendere ragione di tutta la vita, di tutta la realtà.”
Pertanto, sia chi sembra essere stato scelto per un compito, sia chi invece arriva all’ultimo minuto e sembra vada più avanti di quello che è una vita che si dà da fare, che cerca di capire, di partecipare e che poi magari non ci arriva, entrambi non devono credersi chissà cosa o pensare di essere nella condizione di poter giudicare gli altri.
È chiaro che questo vale anche per noi cristiani rispetto ai non cristiani, o per chi si sente praticante e fedele rispetto a chi pensa non lo sia.
Paolo dice: Questo è un grande mistero.
Noi certamente avremmo pensato che le cose sarebbero andate diversamente, cioè che trascorsi tanti secoli da quando Dio si era rivelato a Mosè e ad Abramo, quando poi fosse arrivato Gesù i primi ad accoglierlo fossero proprio gli ebrei e dopo tutti gli altri. Anche gli apostoli Giacomo e Giovanni la pensavano così, infatti volevano essere alla destra e alla sinistra di Gesù come ministri del suo regno.
Tutto sarebbe stato congruente, la rivelazione era giusta e Dio era fedele a coloro che avevano accolto la rivelazione, poi però ad un certo punto succede che nulla va in questa direzione, niente va bene, tanto da chiedersi chi avesse ragione.
Paolo trova questo suo modo di darsi ragione di una cosa che per lui era indigesta da morire, perché nel concreto vede i suoi correligionari indurirsi e rifiutare Gesù, mentre i pagani accolgono l’annuncio della Parola e cominciano a vivere di questo dono.
Nell’ultimo capitolo della Lettera ai Romani, Paolo finisce con una dossologia bellissima che io penso stia bene anche per noi.

Rom 16: “25A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, 26ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, 27aDio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.”

Il mistero, che ha come destinataria tutta l’umanità e addirittura tutta la creazione (come scrive Paolo sempre nella Lettera ai Romani alla fine del capitolo 8), si rivela essere questo progetto di partecipazione per ogni creatura e in particolare per le creature capaci di corrispondere nella libertà a questo amore che si offre, che affronta anche tutto il dramma della vita e che però ne dà un senso e una direzione.
Nel nostro testo, come vedete, c’è un linguaggio di tipo sapienziale conoscitivo, mentre magari alcune lettere del primo Paolo insistono sul provocarti alla fede, sulla tua adesione a Cristo: credi in Gesù Cristo, altrimenti non c’è salvezza, perché è lui il Salvatore, devi riconoscerlo, devi aderire a Lui.

“E’ per la fede che sei salvato” dirà ancora Paolo nella Lettera ai Romani.

Ma la Lettera ai Colossesi e quella agli Efesini presentano uno sviluppo in una dimensione più sapienziale, ovvero: dato per assunto che hai aderito al Signore Gesù, ora devi entrare dentro, devi conoscere, perché la conoscenza muove la tua azione, rende partecipe e trasforma il tuo modo di stare al mondo, il tuo modo di affrontare le contraddizioni della vita. Queste ultime ti fanno entrare in una pienezza di relazione, addirittura ti fanno entrare in una relazione viva con Cristo.

Nella prima Lettera ai Corinzi, al cap 2, Paolo dice:

“1Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza.”
Paolo ad Atene, dove erano tutti intellettuali, aveva provato a parlare con eloquenza e sapienza, ma lì non aveva raccolto un gran frutto. Per questo a Corinto, città portuale anche abbastanza malfamata, caratterizzata dalla presenza di molte etnie, Paolo sceglie di non presentarsi facendo sfoggio della sua cultura e infatti specifica:
“2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.”
Parlare di un Cristo crocifisso però era la cosa meno adatta da fare, (a maggior ragione ad un greco): se c’era qualcuno da seguire non era certo uno crocifisso, se uno era andato a finire così male era meglio non seguirlo, che salvezza poteva offrire?
Ma Paolo invece ha capito che deve annunciare questo paradosso e che non è lui che deve agire, ma è Cristo che deve agire nei cuori, allora in qualche modo lui deve presentare il nucleo nudo e puro della fede.
“3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.”
Paolo è consapevole che, quando lui annuncia, lo Spirito Santo tocca i cuori, così le parole si illuminano e cominciano a parlare dentro l’esperienza di vita delle persone, le quali iniziano a vedere le cose con uno sguardo diverso perché sono entrate in contatto con Gesù Cristo vivo.
Funziona esattamente così anche fra noi. Tutti noi ci sentiamo inadeguati e la maggior parte di noi non ha avuto rivelazioni con effetti speciali, però la Parola che arriva, ti coinvolge, ti tocca, ti muove, ti trasforma dentro, penso che molti di voi l’abbiano ricevuta. Dunque il mistero si manifesta anche a noi.

Sempre in 1Cor 2: “6Tra coloro che sono perfetti” – e non intende perfetti in senso morale, ma si riferisce a coloro che hanno completato il percorso di formazione nella fede – “parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.”
Lo splendido progetto di Dio per la creazione e per l’umanità in particolare è splendidamente descritto nel’inno della lettera agli Efesini (Ef1,3-14).

Ancora in 1Cor 2: “8Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9Ma, come sta scritto:
Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.”

Come potete vedere c’è anche un processo di consapevolezza, di crescita, di conoscenza d’amore.

Mentre in Efesini 1, Paolo dice: “9Facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto 10per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.”

E poi ancora in Efesini 3: “1Per questo io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani… 2penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: 3per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui vi ho già scritto brevemente. 4Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. 5Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, 7del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza. 8A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.”
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Vi offro un testo di Papa Benedetto XVI che sintetizza in modo mirabile quanto abbiamo detto finora:

P. Benedetto XVI, udienza generale del mercoledì 14 gennaio 2009:

“[…] C’è poi anche un concetto speciale, che è tipico di queste due Lettere, ed è il concetto di “mistero”.
Una volta si parla del “mistero della volontà” di Dio (Ef 1,9) e altre volte del “mistero di Cristo” (Ef 3,4; Col 4,3) o addirittura del “mistero di Dio, che è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” (Col 2,2-3). Esso sta a significare l’imperscrutabile disegno divino sulle sorti dell’uomo, dei popoli e del mondo. Con questo linguaggio le due Epistole ci dicono che è in Cristo che si trova il compimento di questo mistero. Se siamo con Cristo, anche se non possiamo intellettualmente capire tutto, sappiamo di essere nel nucleo del “mistero” e sulla strada della verità.
È Lui nella sua totalità, e non solo in un aspetto della sua persona o in un momento della sua esistenza, che reca in sé la pienezza dell’insondabile piano divino di salvezza.
In Lui prende forma quella che viene chiamata “la multiforme sapienza di Dio” (Ef 3,10), poiché in Lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). D’ora in poi, quindi, non è possibile pensare e adorare il beneplacito di Dio, la sua sovrana disposizione, senza confrontarci personalmente con Cristo in persona, in cui quel “mistero” si incarna e può essere tangibilmente percepito. Si perviene così a contemplare la “ininvestigabile ricchezza di Cristo” (Ef 3,8), che sta oltre ogni umana comprensione.
Non che Dio non abbia lasciato delle impronte del suo passaggio, poiché è Cristo stesso l’orma di Dio, la sua impronta massima; ma ci si rende conto di “quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di questo mistero “che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3,18-19).
Le mere categorie intellettuali qui risultano insufficienti, e, riconoscendo che molte cose stanno al di là delle nostre capacità razionali, ci si deve affidare alla contemplazione umile e gioiosa non solo della mente ma anche del cuore. I Padri della Chiesa, del resto, ci dicono che l’amore comprende di più che la sola ragione. “
——-
Ora leggiamo insieme un testo di H. U. Von Balthasar che sviluppa il tema su come noi conosciamo Gesù. Lui dice alcune cose che abbiamo toccato guardando i testi, ma le dice da par suo.

M.U. Von Balthasar, “Gesù ci conosce, noi conosciamo Gesù”:

“Lo Spirito infuso in noi, che ci introduce in “tutta la verità” di Cristo e che “non parla da sé stesso, ma che prenderà del mio per annunciarvelo (Gv 16,13 ss), è inseparabile dal Cristo ormai glorificato dallo Spirito e dal Cristo che si partecipa nell’Eucarestia: indivisibile al punto che Paolo ne parla in termini di perfetta unità: “Il Signore è lo Spirito.” (2 Cor 3,17).
Si può perciò riconoscere la presenza dello Spirito Santo operante in un uomo proprio per il fatto che lo Spirito riproduce in lui gli stessi atteggiamenti e disposizioni di Gesù. Questa configurazione a Cristo avviene però in una tensione irriducibile ad una spiegazione in parole e in pensieri umani. Infatti, l’uomo che ha ricevuto in dono lo Spirito di Gesù conoscerà Gesù come Colui che gli è sempre superiore, in quanto suo Signore e Maestro, in quanto è Colui che gli fa grazia e lo giudica per quanto, strettamente e intimamente unito a Lui come suo “fratello”, l’uomo possa comprendersi come un “membro” del suo corpo mistico.”
Vedete il richiamo a Colossesi e anche a Corinzi: noi siamo il corpo mistico di Cristo.
“Il cristiano potrà dire di sé di “essere crocifisso con Cristo” (Gal 2,19), ma respingerà con orrore l’idea di essere stato crocifisso in espiazione per gli altri nello stesso senso in cui lo fu Cristo.” (“Forse Paolo è stato crocifisso per voi?”: 1 Cor 1,13)
Questo lo dice Paolo, ma anche noi quando siamo in certe prove molto dure possiamo dire di essere crocifissi con Cristo.
“Proprio nella vicinanza operata dallo Spirito, appare in tutta chiarezza la distanza tra l’uomo redento e il suo Redentore, evidenziata dallo stesso Spirito.
Anche la “serva del Signore”, adombrata dallo Spirito disceso su di lei come potenza del Padre per infonderle il seme del Figlio, anche lei, in tutta la sua esaltazione, ha tuttavia piena consapevolezza della sua “umiltà” di serva. (Lc 1,48). E Paolo, da parte sua, si guarderà bene dal chiamarsi amico di Cristo (nonostante Gesù chiami amici i propri discepoli), ma si presenta sempre come suo doulos, come suo schiavo. E sant’Agostino dice: “Anche se tu mi chiami amico, io però mi riconosco servo.”
Questo sapere per opera dello Spirito, che una distanza da Gesù è insita in ogni nostra intimità con Lui, è una costante perenne e invariabile della nostra conoscenza di Lui e costituisce un criterio di discernimento per riconoscere l’uomo veramente spirituale. Questi non si distingue affatto perché possieda doni particolari dello Spirito, come quello di “parlare in lingue” (Gesù non ha mai parlato in lingue per rivelare Dio), bensì per il fatto di possedere il dono sommo dello Spirito, quell’amore assolutamente disinteressato che come Gesù, “tutto copre, tutto sopporta” (1 Cor 13,7), e che non avrà mai fine, anche quando tutti gli altri carismi cesseranno.
E’ Paolo che usa l’immagine più forte per descrivere l’imprimersi della conoscenza di Gesù nel cuore del credente, paragonandola alla creazione primordiale della luce dalle tenebre: “Dio che disse: ‘Dalle tenebre brilli la luce!’, è brillato nei nostri cuori, per far risplendere (in noi) la conoscenza della gloria di Dio che brilla sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6) Ma l’irradiarsi della gloria del Padre sul volto di Cristo avviene espressamente per opera dello Spirito Santo: “Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3,18), Lo spirito che procede da Cristo e da Lui viene infuso nei credenti.”

Abbiamo visto l’altra volta nella vecchia traduzione: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1,24), dove ovviamente è nella carne di Paolo che manca qualcosa, nel senso cioè che la mancanza non riguarda Cristo, bensì quanto non si è inverato nella storia di Paolo.

Von Balthasar ora aggiunge che un cristiano non dirà mai che la sua ‘crocifissione’ ha lo stesso senso di quella di Cristo; anche quando sia strettamente e intimamente unito a Lui come suo fratello, nessun cristiano crederà che la sua passione personale possa avere lo stesso valore di quella di Cristo; si può partecipare della passione di Cristo, ma questa è una cosa ben diversa. Io penso che a nessun cristiano sano di mente, a nessuno di voi sia saltato in testa il contrario! Invece pensate che in certi tipi di approcci religiosi il contrario è assolutamente la regola. Balthasar dice che anche la “serva del Signore”, cioè Maria, “ha tuttavia piena consapevolezza della sua ‘umiltà’ di serva.”

E a questo proposito canta nel Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”.

Balthasar continua citando sant’Agostino che dice: “Anche se Tu mi chiami amico, io però mi riconosco servo.” Questo è il genere di relazione che si crea genuinamente in noi.
“Questo sapere per opera dello Spirito, che una distanza da Gesù è insita in ogni nostra intimità con Lui …. costituisce un criterio di discernimento per riconoscere l’uomo veramente spirituale.”

Ebbene, l’umiltà è il tratto caratteristico, la virtù fondamentale, dell’autenticità di un cammino spirituale cristiano.
Questo testo mi sembra molto bello, ma lo scopo per cui ve l’ho consegnato è proprio questa consapevolezza di un cammino che non è solo un apprendimento della Scrittura o delle belle cose che dice, ma un processo in cui lo Spirito del Signore ci fa entrare in intimità personale e al contempo insieme, con Cristo.
La cosa che mi appassiona sempre della rivelazione cristiana è questo rispetto delle differenze, senza che questo sia un problema. Abbiamo visto come anche una creatura così tanto intima del Signore Gesù, tuttavia ne riconosce la distanza. Cosa ci sarà mai di più intimo al Signore della Madonna? Eppure, lei dice “Io sono la serva del Signore”.
Capite come il Signore ti trasforma e ti assimila a sé, ti muove perché tu possa anche arrivare, almeno in certi momenti di grazia, ad avere i suoi stessi sentimenti e a reagire alle situazioni in una maniera che non sarebbe quella che in qualche modo ti verrebbe spontanea o frutto di calcoli o giustificazioni di tipo razionale. Nel partecipare alla vita di Cristo diventi irradiante e non è detto che questo diventare radioso corrisponda al fatto che ti senti bene e al settimo cielo.
San Paolo racconta di quanto lui patisse, eppure vediamo quanto è stato irradiante!
Nella misura in cui scopriamo la ricchezza di questa partecipazione al mistero che è Cristo, crescono in noi anche la conoscenza e la consapevolezza della sua portata, cambia il nostro modo di vivere e ci rendiamo anche conto di quanto sia importante testimoniarlo.
Quando infatti si diviene consapevoli della bellezza di tutte queste cose si deve saperle distinguere e difendere, perché non tutto è uguale, non è che qualsiasi cosa vada bene, non è che le stesse cose messe in un ordine diverso vadano bene ugualmente.
Andando avanti nell’analisi della Lettera ai Colossesi, vedremo che Paolo andrà a toccare proprio questo tema, perché vuole renderci responsabili del dono, capaci di saperlo portare con umiltà, ma nello stesso tempo anche di discernere ciò che è autentica vita spirituale ed evangelica da ciò che non lo è.

Sia lodato Gesù Cristo.

Trascrizione a cura di Gaia Francesca Iandelli e Cecilia Prandi

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