Omelie

«La Tigre Assenza». Omelia del padre abate Bernardo per la XII Domenica del Tempo Ordinario

Domenica 25 giugno 2023 – XII Domenica del tempo ordinario

 

Dal libro del profeta Geremìa
Sentivo la calunnia di molti:
«Terrore all’intorno!
Denunciatelo! Sì, lo denunceremo».
Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta:
«Forse si lascerà trarre in inganno,
così noi prevarremo su di lui,
ci prenderemo la nostra vendetta».
Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso,
per questo i miei persecutori vacilleranno
e non potranno prevalere;
arrossiranno perché non avranno successo,
sarà una vergogna eterna e incancellabile.
Signore degli eserciti, che provi il giusto,
che vedi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro,
poiché a te ho affidato la mia causa!
Cantate inni al Signore,
lodate il Signore,
perché ha liberato la vita del povero
dalle mani dei malfattori.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.

 

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

 

Omelia Messa Vespertina

 

Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…

 

Cari fratelli e sorelle, desidero che continuino a risuonare questi mirabili versi di Cristina Campo in questo luogo geometrico, perché la loro forza ispiri questa nostra resistenza, al fine di rendere la nostra bocca porta del cuore e la porta del cuore, abitata, attraversata, dal vento invisibile ma reale dello Spirito perché continui a proferire preghiera con la quale avvicinare la terra al cielo, il cielo alla terra.

La preghiera, da precarius, la nostra fragilità, la nostra vulnerabilità, la nostra debolezza, stasera ascoltando il Vangelo la nostra paura, le nostre angosce, il nostro timore, tutto è attraversato, trasfigurato, mosso, dal vento dello Spirito perché uscendo dalla bocca del cuore non sia vano (….), ma sia come preghiera, epifania, manifestazione, consapevolezza di una sapienza che ci sta cercando, fratelli e sorelle, che bussa all’intelligenza del nostro ascolto, del nostro cuore, perché dimori nel profondo della nostra coscienza e ci risvegli, ci risvegli fratelli e sorelle, ci risvegli, non ci sono bastati i crepitanti fuochi della scorsa notte di San Giovanni, certo la loro fiamma colorata, ma pur sempre effimera, ha liberato la nostra fantasia con la quale continuare a colorare di luce le tenebre,  ma non  può bastare questo rito felicemente collettivo e per tanti versi catartico e apotropaico di liberazione dall’angoscia con la quale ben sappiamo che dal solstizio di estate, dal Natale di San Giovanni, le tenebre della notte iniziano a gonfiarsi, a dilatarsi, a divorare lentamente ma tenacemente le ore diurne di luce.

Una paura ancestrale, antica, che noi presuntuosi moderni abbiamo dimenticato, paghi come siamo delle nostre certezze e delle nostre tecnologie in forza delle quali basta un interruttore ad eclissare le tenebre, ma in realtà ieri sera con gli sguardi raminghi verso il cielo,  oltre ad attendere i fuochi di San Giovanni sembrava di  intonare il  versetto del salmo: “Nella tua grande bontà rispondici o Dio”. Un’esperienza collettiva, se non di fede, quanto meno di fedeltà al tempo, alle stagioni, al grande ritrovarsi civile, cittadino, collettivo, patronale, per condividere una paura ed una possibile risposta che, se pur lanciata da terra scendesse una volta tanto dal cielo, visibile, oggettiva, crepitante, effimera certo, ma capace di catalizzare per un attimo le aspettative di quel domani a cui nessuno ormai più crede.

Ma a noi questa luce fratelli e sorelle non è bastata, abbiamo deciso di tornare in questo luogo di geometria, in questa penombra romanica millenaria per essere educati da ben altra  traccia di luce, solitaria, raminga anch’essa a prima vista, quella di una cometa la cui scia persistente, però effimera ci racconta di un amore, di una fedeltà e soprattutto di una alleanza rinnovata  nel tempo e soprattutto dell’umiltà e della gloria del nostro essere come lui e con lui, carne, fratelli e sorelle, carne e storia, carne e storia, capace di rendere dunque il nostro tempo pur così contraddittorio in tempo dell’incontro, in un’alleanza tesa, presagita, urlata, gridata, scavata, pagata dal Battista e adempiuta da colui che Paolo, restituito alla nostra consapevolezza credente nel suo radicalismo antropologico: l’Adamo nuovo, colui che doveva venire, il Signore Gesù, il nuovo Adamo.

Questa nostra volontà fratelli e sorelle è capace con Cristina, di mettere a fuoco in questo luogo geometrico il futuro, di farlo confidando nell’uomo che verrà, perché è già venuto e dunque tornerà,   l’escaton, in una prospettiva di presenza che ci sembra, pur nella penombra intima di una parola consegnata  all’orecchio di quegli Apostoli, la buona notizia che non possiamo non gridare sulle terrazze della nostra città, fratelli e sorelle, la venuta del Signore Gesù, del nuovo Adamo, il suo farsi presenza nella storia contro ogni tigre assenza nella misura in cui ancora la bocca del nostro cuore crede in questo amore che si fa carne della nostra carne, trasfigurando la nostra precarietà in preghiera, così come il Profeta Geremia dove in questo suo consegnarsi di attesa, di speranza, alla rivendicazione di solo il suo Dio e nostro Dio, potrà fare di quanti lo assalgono per ingannarlo, per prevalere su di lui. Tutto si chiude, lo avete ascoltato in questa intonazione dossologica che riassume l’estetica liturgica della nostra Cristina, cantate inni al Signore, lodate il Signore perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori, come Maria nel Magnificat, cantare già accaduto quello che deve accadere, questo prodigio accade in questo mirabile (…)  del tempo che è la liturgia il cui periscopio è lo sguardo dorato  e infuocato del Pantocratore  ammirato da Cristina che avrà saputo cogliere nella gravidanza di questa rarissima iconografia, questa attesa di futuro, questo travaglio, questa gestazione, in forza  della quale, anche se non appare e non si vede, la presenza è ancora più reale della tigre assenza che ci divora  con i suoi morsi di violenza, di disperazione, di disimpegno, di indifferenza, di menzogna fratelli e sorelle, di menzogna, perché ci vogliono far credere ciò che vero non è, e questo limite fortissimo storico che stiamo vivendo ci obbliga all’ autenticità, il sacerdozio dell’autenticità, d’altro canto non abbiamo giustificazioni o scuse: “non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato né alcunchè di segreto che non sarà riconosciuto”. Noi che domenica dopo domenica insistentemente ci sottoponiamo con umiltà al laboratorio liturgico, ben sappiamo che in effetti tutto ciò che il Padre ha udito, il Figlio lo comunica alla porta del nostro cuore, a un orecchio finalmente sensibile perché noi siamo amici di Dio, non siamo servi, non siamo schiavi, siamo ammessi a quella contemplazione che farà dire a San     Simeone il nuovo teologo, che il contemplativo è l’unico che ha avuto il permesso di dare del tu all’imperatore Pantocratore, importantissimo questo fratelli e sorelle, liberante ma anche obbligante allo stesso tempo, in una prospettiva, Paolo, torno a dirlo, in questa radicalità antropologica manifesta in tutta la sua urgenza, noi abbiamo sotto gli occhi l’immagine del vecchio Adamo, questa fresca fecondità di peccato in forza della quale tutti, prima e dopo la legge, sono rinchiusi in quella economia stritolante ancor che apparentemente liberante, in cui si afferma il titanismo del nostro io, non importa se a spese di Dio o degli altri, e spesso a spese di noi stessi,  quello che conta è sopravvivere, costi quello che costi, istintività su istintività, questa è la cattiva somiglianza di questo cattivo Adamo che pure abita in noi e che non abbiamo mai il coraggio di riconoscere, di spogliare, di mettere a fuoco, illudendoci in quella menzogna che oggi sembra il grande codice comunicativo e affermativo per galleggiare in questa melma.

E allora è fortissima fratelli e sorelle invece la modalità affidata alla tenerezza della misericordia del Padre che si fa strada nella nostra storia non con i lampeggianti fuochi d’artificio che urlano sulla città distratta e catturano, attenzione, non potrebbe essere diversamente e sia chiaro è bene che sia così, benedetta ogni collettività che    finalmente insieme, laicamente, guarda finalmente al cielo, ma non puo’ bastarci, abbiamo bisogno invece di mettere a fuoco, sei mesi prima, al solstizio d’estate quanto accadrà nel solstizio di inverno, una cometa, una silenziosissima, muta, dalla scia flebile ma perseverante, autentica e tenace per portarci là dove sulla tigre assenza finalmente umile sovrasta la presenza, la presenza delle presenze, l’amore fatto carne, colui che assume tutto della nostra umanità per svelarci tutto di sé , con sé i segreti del Padre.

Ecco questa trasfigurazione fratelli e sorelle ci disarma, chi altri può perimetrare, custodire il ventre del nostro cuore dalla paura della tigre assenza se non Lui stesso, questo Dio che nel suo mistero tante volte, tante volte fratelli e sorelle, pare tacere, invitarci così ancora una volta a far nostro questo versetto “nella tua grande bontà rispondimi o Dio, rispondimi o Dio” e tuttavia in questa sua umiltà, in questo suo silenzio, noi davvero contempliamo, ed è bello iniziare a farlo sei mesi prima, con questo fuoco estivo, quello specchio di carne che è il volto dell’infante Gesù che propaga la vera immagine, la vera somiglianza, la grazia dell’Adamo che verrà, colui che restaura tutto di noi perché raggiunti dal vento dello Spirito  anche il nostro cuore, così impaurito, così frazionato, così diviso, così tentato di pensarsi lui stesso assenza, in un incontenibile nichilismo dell’amore e del significato, diventa invece presenza, presenza maestosa come un leone la cui signoria restituisce (……) e nello stesso tempo  e soprattutto, la tenerezza dell’infante che piange, geme, a ricordarci che la credibilità di questo amore è la sua infanzia, la sua debolezza, la sua fragilità ove si nasconde la potenza inaudita che trasfigura la storia e rende presente il futuro a noi che accogliendolo e ascoltandolo, ne diventiamo testimoni e profeti dalle terrazze della nostra città, dai crocicchi delle nostre strade, da quella geometria dei nostri abbracci che nella loro bellezza restituisce a questa nostra altrimenti informe realtà tutta l’armonia  dei cieli e della sapienza divina.

 

Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…

 

Amen.

 

La trascrizione è a cura di Grazia Collini

La fotografia ritrae Cristina Campo

 

 

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