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«La delizia del fuori tempo». Una riflessione estiva di padre Bernardo per il Festival Biblico

Meditazioni

Tempo di vacanze, tempo per avere tempo, tempo per tornare al cuore del nostro cuore. E, ancora, spazio di vacanze, spazio per avere spazio, spazio per tornare al cuore del nostro cuore. Stilizzate e ormai sterili simmetrie? Forse sì, tuttavia resta avvincente la forza interrogante di quel bivio esigente da affrontare cui gli ultimi chilometri autostradali della laboriosa e disciplinata quotidianità ci conducono nell’imminenza dei mesi estivi: direzione caos, distrazione, evasione, dissipazione oppure direzione vuoto, silenzio, raccoglimento, sobrietà? Alla monotonia degli spazi/tempi segnati dagli incalzanti meccanismi della obbligatorietà performante, la prima, istintiva reazione, forse raccomandabile, sicuramente la più accattivante, parrebbe essere quella di una totale immissione dei nostri corpi e di quanto essi provano a contenere in una biosfera percepita come propizia per scatenare ogni singola e concitata aspirazione di libertà sovrana, di leggerezza spensierata e di cangiante varietà. Sottotraccia emerge tuttavia una paradossale, ma in definitiva rassicurante consanguineità fra le mortificanti dinamiche di saturazione peculiari dei mesi di lavoro e i dispositivi compensatori tipici di giorni consacrati all’ossessionante esposizione di tutto di noi ad un repertorio pressoché inesauribile di epidermiche e variopinte stimolazioni che, impedendoci di sprofondare nel cavo e oscuro abisso che genera la domanda delle domande, ci confermino circa la sostanziale e indiscussa bontà di un approccio sistemico nel quale gli estremi si toccano: tanta fatica per lavorare, tanta fatica per riposare, nessun tempo per tacere, ascoltare e pensare, solo spendere e consumare.

Alle amiche e agli amici del Festival Biblico, che sappiamo per certo essere cuori assetati di e da un’attenzione maturata nel silenzio del silenzio, proponiamo senza riserve la rara e rarefatta atmosfera strettamente imparentata con quel vuoto evocato dai mirabili versi, quasi oracolari, di Emily Dickinson:

Per richiudere un vuoto

mettici la cosa che lo ha aperto-

A otturarlo

con altro -si spalanca-

Non puoi saldare un abisso

con l’aria

Nessun stucco, nessuna inconsistenza, nessun riempitivo è vivificante, lo è semmai l’insonne propensione alla conoscenza di noi stessi, una verità nuda e scabra, scoperta e, nello stesso tempo, accolta nel grembo del proprio cuore da cui decidere di rinascere come frutti di una gestazione paziente, lenta, obbediente al monito della vita resa finalmente in grado, all’ombra salmastra di melodiose cicale o sotto il sole fra sassi aguzzi di altissimi crinali, di avvertirci, con sapiente naturalezza, di tutto quello che vorrebbe soffocarne la gratuità, il canto, il respiro, il travaglio e, ancora, la feconda disponibilità a ripudiare ogni illusoria aspettativa per arrendersi invece al mistero di una promessa che sa sbocciare soltanto nella profumata corolla dell’utile inutilità di ogni vera vacanza. Lo sa dire, al solito con insuperabile cesello sillabico, Mariangela Gualtieri:

Il mio cuore schiacciava le sue rondini

nel non avere tempo. Non avendo tempo

con quel mucchio modesto di cose da fare

non avendo davanti il largo tempo

il respiro si consumava e cadevano molti capelli

 

poiché non c’era tempo c’era la morte

poiché non c’era mai tempo è allora

che andando non si andava

da nessuna parte e facendo

non si faceva mai capolavoro. Poiché

in quel correre non si gustava

la delizia del fuori tempo

di animali e di fiori fuori del tempo

quando lentamente si apre il petto contenitore

e l’oro vero del mondo

con battito d’ala entra fino in fondo

fino al miracolo di un presente

appuntito. Lo so – è questa

 

la grave malattia del mondo. Semplice

alquanto da comprendere. Semplice da

curare -perché basta fermare- non essere

non fare non contare niente.

Padre Bernardo

Firenze, 15 agosto 2024

Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

La fotografia è di Ansel Adams

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