Invito alla «lectio divina»: il profeta Osea. La sintesi dell’incontro del 16 gennaio 2020 guidato da padre Stefano

Invito alla «lectio divina»: il profeta Osea. La sintesi dell’incontro del 16 gennaio 2020 guidato da padre Stefano

Lectio divina

San Miniato al Monte
Lectio Divina
Il profeta Osea – Premessa
16 gennaio 2020

Preghiera iniziale di padre Stefano:
Manda, Signore, lo Spirito Santo, infondilo nell’intimo dei tuoi figli e vieni a illuminare le nostre tenebre, a parlare al nostro cuore, vieni a condurci nel deserto, per rinnovarci nella tua alleanza. Amen
Preghiera iniziale dell’abate Bernardo come saluto e augurio all’inizio di questo cammino:
Ti chiediamo, Signore, di benedire questa comunità che si raduna, su ispirazione del tuo Santo Spirito, per ascoltare la tua parola, in questi mesi che verranno, la parola del profeta Osea. Donaci la grazia di far tesoro di quello che, attraverso di essa, vuoi suggerire ai nostri cuori, per spronarli, consolarli, dilatarli nell’esperienza del tuo amore, nell’esperienza delle tua giustizia, nell’esperienza di quella sponsalità con la quale intendi legarti alla vita di ciascuno di noi; in questo ti chiediamo di benedire in modo del tutto speciale l’impegno, la fatica, la dedizione, la cura di padre Stefano, perché sia tuo tramite nel quale risuoni il tuo timbro, la tua voce, la tua grazia, e così sia di aiuto a tutti coloro che troveranno qui un’esperienza di Te. Amen 1
Lectio
Non vi nascondo la mia ritrosia a ripartire dopo due anni di lectio sulla Lettera agli Ebrei, con la lettura di un profeta. Dovete pensare che in ventun anni di cammino di lectio divina abbiamo letto solo un profeta, il profeta Giona, il cui testo, in realtà, non è come quello degli altri profeti, perché si tratta di un racconto didattico, quindi, in realtà non abbiamo mai affrontato la letteratura profetica; ecco perché con dom Bernardo abbiamo deciso di affrontare questa sfida e, appunto, l’abate mi ha proposto Osea.
Se, quando iniziammo La lettera agli Ebrei, vi misi in guardia che dovevate armarvi di santissima pazienza, ora, con Osea, siete ancora in tempo a non cominciare neanche! Dunque questo incontro non lo faccio introducendovi al profeta Osea, perché mi sembra che un’introduzione meriti uno stampo abbastanza didattico che, però, “cozza a sangue” con l’esperienza profetica. Se c’è qualcuno, nel panorama biblico, che non è didattico, sono i Profeti.
Un quadro di un’autrice contemporanea, di origine olandese, vivente a Trieste, mi ha parlato molto: s’intitola Fuoco nell’acqua e corrisponde esattamente a un’esperienza che ho fatto a Betlemme, nella grotta della Natività, in cui l’elemento più simbolico, più topico, era proprio la mescolanza di due grandi flussi, uno blu, uno rosso, e nell’intersezione di questi esplodeva l’oro: in quest’immagine, se guardate, c’è il fuoco, rosso, nell’acqua blu, e ogni tanto ci sono delle tracce di oro (si veda l’immagine iniziale).
Questa è l’immagine che cercavo, perché ci offre uno squarcio sull’intensità dei testi che ci attendono.
Chi è stato alla lectio sulla Lettera agli Ebrei, nei due scorsi anni, ha sofferto, almeno nella parte centrale, la fine e complessa argomentazione teologica su una prospettiva che rilegge la realtà e l’esperienza di Gesù Cristo in chiave cultuale, in cui si mescolavano temi ardui come sacrificio, alleanza, sacerdozio, ma addentrandoci nella spiegazione del testo, ci siamo accorti che esso ci offriva un “cibo solido” che ancora oggi ci nutre e ci fa crescere nell’esperienza della dimensione sacerdotale di Cristo, di cui siamo resi partecipi già dal battesimo.
Grazie a Dio, nella Lettera agli Ebrei c’erano due immagini potenti: la spada a due tagli e l’àncora:
la Parola che è “più tagliente di ogni spada a due tagli” (Eb 4,12) e
“[Nella speranza] infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario [celeste], dove Gesù è entrato come precursore per noi” (Eb 6,19-20).
Queste due immagini molto evocative ci sono state consegnate e penso che siano molto vive in parecchi di noi e che abbiano continuato a parlarci dentro la nostra esperienza.
Perché vi dico che dovete abituarvi a soffrire affrontando il profeta Osea? Voi dite: perché la vita ci abitua a soffrire, sennò non procediamo, e perché tutti soffriamo, chi moltissimo, chi molto, chi in certi momenti molto, chi per lunghi tempi molto.
Ebbene, anche i profeti sono persone che soffrono molto, ma non tutti i profeti.
Per iniziare a capire chi è il profeta che incontreremo, vi dico subito quello che è, piuttosto che quello che non è: sapete già che il profeta biblico non è un indovino, uno che semplicemente predice il futuro.
Ci sono un certo numero di profeti di Israele, ma quelli che ci riguardano sono profeti detti scrittori (ci sono anche profeti non scrittori: un esempio che sicuramente conoscete, il principe dei profeti, Elia, non è scrittore, Samuele è profeta ma non è scrittore: costoro non ci hanno lasciato scritti, anche se ci sono scritti che parlano di loro e delle loro esperienze). Nella tradizione profetica che dà il nome alla seconda parte della Bibbia ebraica, i “Nevi’im”, e nella quarta parte della Bibbia greca, quindi quella cristiana, troviamo i profeti scrittori.
I profeti scrittori sono una categoria tutta speciale, le cui profezie si distinguono anche dalle profezie delle altre culture e religioni: essi sono profeti di sventura.
I profeti di sventura presentano una differenza rispetto a tutti gli altri profeti. Nelle civiltà vicine e contemporanee ai profeti d’Israele – pensiamo alla grande Assiria, alla grande Babilonia, all’Egitto – ci sono esperienze profetiche, ma il profeta aveva la funzione di stabilizzare la società, quindi erano profeti di speranza, o meglio, di salvezza, che davano oracoli, facevano narrazioni, diffondevano scritti, tutti atti a motivare; questi profeti sarebbero molto ascoltati, oggi, dai leaders, dai manager, dai politici, dagli imprenditori, ma anche dagli insegnanti, solo per fare alcuni riferimenti, perché tutti questi devono
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essere dei grandi motivatori; chi invece vorrebbe ascoltare un profeta di sventura?
Ma dobbiamo osservare che il profeta biblico è un profeta di sventura suo malgrado, egli generalmente non aspira a fare il profeta! Un esempio: Amos, il primo profeta scrittore dal punto di vista cronologico (VIII sec. a.C.). Amos è molto vicino temporalmente ad Osea: egli è spesso sinteticamente appellato come “il profeta della giustizia di Dio”, mentre Osea è detto “il profeta dell’amore di Dio”.
Amos dice che il regno dove lui abita crollerà e che tutta la nazione verrà invasa dagli Assiri, che deporteranno la popolazione, perché essa è stata infedele a Dio. I profeti del tempio principale d’Israele rimproverano Amos e lo esortano a non parlare, perché egli getta tutti nella disperazione, ma Amos risponde: “Io non sono né profeta, né figlio di profeti”, cioè “non sono profeta di professione”. Egli, poi, afferma (ovviamente non cito alla lettera, ma vi riassumo il senso delle parole di Amos): “Io ero un coltivatore di sicomori e un pastore…Dio mi ha chiamato, mi ha dato una parola da dire e adesso non mi ferma più nessuno! E, rivolto ad Amasìa, il profeta del tempio che gli aveva intimato di tacere e smettere di profetare, lo apostrofa: “Tu sei un profeta falso, te lo dico in faccia, e vedrai poi cosa ti capiterà!”.
La caratteristica dei profeti di sventura è che quello che affermano poi accade ed è questo il punto!
Un altro esempio: Geremia, un profeta più tardo, siamo due secoli dopo. Geremia si trova in una situazione analoga a quella di Amos, anzi, addirittura, lo arrestano, lo mettono in una cisterna, lo vogliono uccidere…insomma, gliene fanno di tutti i colori!!! E nonostante tutto, lui continua ad avvisare il re che sta facendo un errore dopo l’altro e che, di lì a poco, crollerà anche il regno di Giuda e la città di Gerusalemme. Anche Geremia si scaglia contro i profeti di corte, accusandoli di dire alle persone quello che esse vogliono sentirsi dire, ma facendo così non fanno il loro bene, ma il loro male; “Io vorrei in tutti i modi – dice, in sostanza, Geremia – poter dire cose belle, annunciare prosperità, ma Dio mi ha dato questo messaggio, e devo dirlo, perché mi brucia dentro e non posso stare zitto”. E Geremia, che tra l’altro, come si desume dal testo, ha un temperamento particolarmente mite e sensibile, sta molto male e si lamenta con Dio: “Tu mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre, … una volta che tu mi hai fatto bruciare io non posso tornare più indietro, perché la vita non è più vita dopo che ti ho incontrato, per cui andrò fino alle estreme conseguenze”. Questi sono i profeti d’Israele, così almeno ci appaiono dai testi. Ovviamente, di nessun profeta abbiamo biografie specifiche, ma la loro caratteristica essenziale è questa: il profeta è un portatore della parola di Dio, è una persona che ha ricevuto un messaggio da Dio e deve trasmetterlo: questo è il suo compito. Prevale sulla sua stessa vita il messaggio e il parlare davanti a Dio e davanti al popolo con le parole di Dio.
I profeti, perciò, non considerano come sostanza dell’evento il mistero di Dio che comunica con loro. La sostanza e il valore della loro esperienza sono visti nel significato trasmesso, nel contenuto, nella parola da riferire. Nella stragrande maggioranza dei loro discorsi insistono sul contenuto e parlano poco dell’atto. Lo scopo primario della profezia è di impartire conoscenza piuttosto che di donare esaltazione.1
Un’altra caratteristica importante del profeta biblico è che, a differenza della classe sacerdotale (che con il suo servizio riceveva automaticamente di che vivere), egli non vive della sua profezia e quando può, non profetizza; se non c’è necessità, egli non parla. Dai testi, infatti, emerge che i profeti, di solito, fanno una serie di profezie sotto forma di brevi oracoli, poi scompaiono; quando ricompaiono sono passati anni, durante i quali si sono verificati molti eventi storici, ma loro sono rimasti in silenzio. Normalmente emergono quando la situazione è critica, quando le cose vanno male. Quando le cose vanno male? Spesso le cose vanno male quando vanno bene, agli occhi degli uomini, ma in realtà questi si stanno allontanando da Dio e stanno per cadere nel baratro; ciò accade con Osea, il quale arriva quando le cose stanno per andare male, ma si può ancora tornare indietro, ed ecco che allora il profeta interviene con vigore, Dio lo manda per cercare di far ritornare Israele, per fargli ritrovare il filo dell’alleanza vera con Dio, in modo tale da scongiurare gli effetti drammatici che l’allontanamento da Dio determina nella vita.
È ovvio che il contesto è un contesto di fede, a differenza di oggi, quando la nostra visione della storia
1 Abraham Heschel, Il messaggio dei profeti, Roma 1993, 189-190 3
e degli eventi è prevalentemente secolarizzata. Noi, oggi, abbiamo una concezione completamente diversa del profeta, il quale non è colui che porta un messaggio che afferma di avere ricevuto da Dio: oggi esistono profeti “civili”, che parlano con autorità, s’impegnano con la vita, denunciano le ingiustizie, liberi da interessi di potere o di prestigio, ma la qualifica del mandante non c’è, ordinariamente. Sono manifestazioni simili, ma non sono la stessa cosa degli antichi profeti biblici.
Noi, come credenti, ci muoviamo in una dimensione in cui il nostro punto di riferimento è il rapporto con Dio, con un Dio che sceglie e si compromette con la nostra storia: questa è una visione non laica.
Ancora un’altra caratteristica dei profeti biblici è che quello che annunciano, prima lo patiscono, poi lo annunciano, oppure lo annunciano e lo patiscono contemporaneamente, e poi si avvera.
Vi faccio un esempio: tutta l’attività profetica del profeta Osea nasce da una sua esperienza, dall’esperienza della vita coniugale o meglio di un tradimento continuo nella vita coniugale (come vedremo, Osea ha sposato una donna di prostituzione); dunque il contesto esperienziale è l’esperienza del tradimento attraverso il quale il profeta entra dentro l’esperienza del tradimento che Israele sta compiendo verso Dio; il profeta viene portato da Dio a patire, per analogia, ciò che Dio patisce nel suo amore appassionato per il popolo che ha scelto; il Dio di Israele, il Dio di Gesù Cristo, è un Dio appassionato dell’uomo, che soffre per lui e si arrabbia con lui.
Con la sua esperienza drammatica, Osea entra dentro l’esperienza di Dio, diventa amico di Dio, quindi viene reso portatore di un messaggio per il popolo, perché lui sa bene che cosa vuol dire essere tradito; l’esperienza della sponsalità e l’esperienza, poi, della paternità/figliolanza (dunque le esperienze umane più significative) diventeranno i canali attraverso i quali Osea entrerà nel cuore di Dio. Entrato, così, nel cuore stesso di Dio, Osea diventerà portatore del messaggio di Dio verso coloro che Dio stesso ama.
Si tratta di esperienze radicali e a volte il tono sarà terribile, violentissimo, non politicamente corretto, poiché si parla di un amore ferito; l’oggetto è la prostituzione, il tradimento continuo, da parte d’Israele, del dono più grande che ha, essere stato eletto da Dio, chiamato a vivere un rapporto d’alleanza, di apertura, di amore.
Tutto ciò ci toccherà molto da vicino, perché dovremo fare i conti con i nostri tradimenti, con le nostre personali esperienze, e la Parola scaverà dentro di noi e illuminerà quelle parti oscure del nostro cuore che magari noi non vorremmo che fossero illuminate, e allora starà a noi decidere se continuare ad ascoltare questa Parola oppure no, ma sapremo che da quel momento non saremo più “innocenti”, perché la parola profetica ci mette nella condizione di non poter più far finta di niente.
Concludiamo questo nostro primo incontro facendo riferimento a due testi che vi ho consegnato e che, però, non c’entrano niente con Osea: uno è l’inizio della Lettera agli Ebrei (si veda allegato, p. 5) che cita proprio la rivelazione mediante i profeti e ci porta fino a Cristo, pienezza della rivelazione (lo potete rileggere da soli); l’altro è un testo di Sant’Ireneo (allegato, p. 5) che si trova nella liturgia delle ore, che a noi interessa in riferimento al motivo per cui noi siamo qui oggi, che ha ricordato anche all’inizio Padre Bernardo, nella preghiera introduttiva: “Voi siete qui per approfondire la vostra conoscenza e relazione con Cristo”. Leggiamo gli ultimi versetti del testo di Ireneo:
Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile, quantunque non tutti vi credessero allo stesso modo; ma tutti videro il Padre nel Figlio: infatti il Padre è la realtà invisibile del Figlio, come il Figlio è la realtà visibile del Padre.
Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 27). «Lo voglia rivelare»: infatti non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre.
La nostra fede è questa: in tutto e per tutto non c’è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino. (sant’Ireneo di Lione). 4
A proposito della frase: ma vale in generale per tutti i tempi, notiamo che questa riguarda anche il nostro testo di Osea, che risale all’VIII sec. a.C. (e nella redazione finale fino al V sec. a.C.).
…a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre: a me piace tantissimo questo! Voi direte: ma è arbitrario! Mi piace tantissimo l’arbitrarietà di Dio! Io voglio un Dio arbitrario! Mi fido di più di un Dio arbitrario! Sennò sono io a dettare le regole e, siccome l’esperienza mi dice che io non sono così bravo a dettare le regole, nonostante la mia presunzione, è molto bene che Lui sia arbitrario…certo, arbitrario alla maniera in cui ci rivelerà Osea: amante oltre ogni indegnità dell’amato!
Preghiera finale
Signore, a Te che sei la luce del mondo, a Te che sei l’acqua viva, a Te che sei il vero oro della nostra vita, affidiamo questo nostro cammino, le nostre povertà, il nostro desiderio di una vita vera, piena di significato, di autenticità, di conoscenza dell’amore di Dio, di partecipazione con tutto noi stessi a questo amore. Aiutaci, soccorrici, illuminaci! Amen
Allegati
1) Eb 1 1 Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2 ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
2) Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre. Il Figlio, poi, porta a compimento la benevolenza del Padre; infatti il Padre manda, mentre il Figlio è mandato e viene. Il Verbo conosce il Padre, per quanto invisibile e indefinibile per noi, e anche se è inesprimibile, viene da lui espresso. A sua volta, poi, solo il Padre conosce il suo Verbo. Questa mutua relazione fra le Persone divine ci è stata rivelata dal Signore. Il Figlio con la sua manifestazione ci dà la conoscenza del Padre. Infatti la conoscenza del Padre viene dalla manifestazione del Figlio: tutto viene manifestato per mezzo del Verbo. Ora il Padre ha rivelato il Figlio allo scopo di rendersi manifesto a tutti per mezzo di lui, e di accogliere nella santità, nell’incorruttibilità e nel refrigerio eterno coloro che credono a lui. Credere a lui, poi, è fare la sua volontà. Il Verbo per la sua stessa natura rivela Dio creatore, per mezzo del mondo il Signore creatore del mondo, per mezzo della creatura l’artefice che l’ha plasmata, e per mezzo della sua condizione di Figlio rivela quel Padre che ha generato il Figlio. Certo tutti discutono allo stesso modo queste verità, ma non tutti vi credono allo stesso modo. Così il Verbo predicava se stesso e il Padre, per mezzo della Legge e dei Profeti, e tutto il popolo ha sentito allo stesso modo, ma non tutti hanno creduto allo stesso modo. Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile, quantunque non tutti vi credessero allo stesso modo; ma tutti videro il Padre nel Figlio: infatti il Padre è la realtà invisibile del Figlio, come il Figlio è la realtà visibile del Padre. Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 27). «Lo voglia rivelare»: infatti non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre. La nostra fede è questa: In tutto e per tutto non c’è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino. (sant’Ireneo di Lione) 5

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