Invito alla «lectio divina»: il profeta Osea. La sintesi dell’incontro del 13 febbraio 2020 guidato da padre Stefano
Lectio divinaSan Miniato al Monte
Lectio Divina
Il profeta Osea – (Os 1,1-2a)
13 febbraio 2020
Lectio
Nell’ultima lectio vi ho presentato i primi, fondamentali, strumenti per poter affrontare la lettura del profeta Osea, analizzando, in primo luogo, la collocazione del libro all’interno della Bibbia ebraica, di quella greca e di quella cristiana; in particolare, leggendo e commentando il primo versetto del primo capitolo, ho volutamente trascurato la prima indicazione che il versetto ci offre e mi sono soffermato sui nomi dei re presenti nel testo, che ci permettono di delineare il contesto geopolitico in cui il profeta Osea opera.
Nella lectio di oggi, dunque, ancora (ma per l’ultima volta) non mi addentrerò nel testo di Osea, (presentandovi la prima sezione, costituita da tre capitoli, molto importanti e impegnativi, ma anche molto ricchi), ma mi soffermerò sull’inizio del primo versetto (analizzando quella prima indicazione sulla quale ho volutamente sorvolato la volta scorsa) e sulle prime due parole del secondo versetto; vi accorgerete che la nostra riflessione, oggi, ci porterà a “lavorare” non sugli strumenti, cioè sull’oggetto che andremo ad analizzare, ma sullo “strumento conoscitivo” dell’oggetto, cioè su noi stessi: questo sarà possibile perché cercheremo di andare un po’ più a fondo nella lettura del testo, analizzando ciò che si nasconde “sotto” le parole della Scrittura.
Nello schema a p. 1 ho riportato il primo versetto del libro del profeta Osea nelle tre versioni della Bibbia cui ho fatto riferimento anche nello scorso incontro: sulla sinistra abbiamo il testo della Bibbia nella traduzione italiana della CEI del 2008, al centro la traduzione greca nella versione dei Settanta e a destra il testo nella Vulgata latina di San Girolamo (ovviamente l’originale è in ebraico).
Leggiamo il primo versetto:
1Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele.
Il significato del nome ebraico “Osea” è: “il Signore salva” o “il Signore ha soccorso”; anche Yeshu’a, da cui il nome “Gesù”, contiene questa stessa radice, infatti “Gesù” vuol dire: “il salvatore”, “Dio salva”: siamo, dunque, in un contesto di “salvezza”.1
È molto interessante osservare, anche, che Osea è definito: “figlio di Beerì”; Beerì deriva dalla radice be’er che, in ebraico, letteralmente significa “pozzo”, ma si può tradurre anche “sorgente”, anzi, più precisamente beerì = “mio pozzo” o “mia sorgente”.
Nel secondo versetto leggiamo:
2 Inizio di quanto il Signore disse per mezzo di Osea2
Anche il termine “inizio” ha una pregnanza di significati, in base al vocabolo originario che viene tradotto, in italiano, con “inizio”.
Qui, probabilmente, ci saremmo aspettati che il termine corrispondente alla traduzione italiana “inizio” fosse il vocabolo ebraico bereshit (ossia quella parola che costituisce l’incipit, in ebraico, della Bibbia: “In principio [bereshit] Dio creò il cielo e la terra”), invece non è così: troviamo, in ebraico, un altro vocabolo che significa, anch’esso, “inizio”.
Nel testo greco dei Settanta leggiamo: ἀρχὴ, sostantivo molto importante nella lingua greca, che significa “inizio”, ma anche “principio”, “fondamento”.
Il libro del profeta Osea ci porterà a scrutare il fondamento di quello che noi siamo, ci farà tornare alla sorgente del nostro essere, ci inviterà, per coì dire, a “riscrivere la nostra storia”.
1 Osserviamo che Osea è il primo dei dodici profeti minori, il suo nome contiene la stessa radice del nome Giosuè (che è il primo libro dei profeti anteriori nella bibbia ebraica, o storici nella bibbia cristiana) e del nome Isaia, primo libro dei profeti maggiori: la salvezza di Dio è capitale nella rivelazione profetica.
2 Si osserva che nel testo ebraico dopo questa frase c’è la lettera “F” (pasuq) che spesso compare nei salmi dove nelle versioni moderne viene tradotta con ‘pausa’, anche se il significato preciso è sconosciuto. Ad ogni modo tale lettera separa questa frase dal testo seguente. Le versioni sia antiche che moderne normalmente trascurano questo elemento e scrivono di seguito tutto il versetto 2 del primo capitolo di Osea. 2
Beerì era il padre di Osea, e sappiamo quanto sia importante, per noi, a volte, “riscrivere la storia”, quella storia sulla quale i nostri genitori, nel bene o nel male, hanno influito tanto.
Allora, l’invito che ci viene rivolto, esaminando un po’ più in profondità le prime parole del testo oggetto della nostra lectio, è:
leggendo il profeta Osea diamo spazio alla Parola del Signore, partendo dalle nostre radici, dalle nostre profondità, dal nostro “pozzo”, dalla nostra “sorgente”.
Così facendo non cadremo nella “tentazione” di avvicinarci al profeta Osea come ad un testo estrinseco, ossia come ad un’opera che non ci tocca in profondità, a causa del carattere indubbiamente particolare del libro stesso, che presenta sovente immagini molto forti e il cui linguaggio, ricchissimo di metafore, è spesso complesso.
A questo proposito, ricordiamo che noi qui facciamo un “Invito alla Lectio divina”, più che una “Lectio divina” vera e propria, perché l’analisi e il commento che qui vengono svolti della Scrittura, per cercare di comprenderne il senso profondo, costituiscono il primo passo della lectio e vorremmo che fossero per voi uno stimolo a proseguire la meditazione personalmente, riprendendo nelle vostre case i testi che qui abbiamo letto perché possiate meditarli alla luce della grazia del Signore e confrontarli con la vostra esperienza di vita; tutto ciò potrà suscitare in voi una preghiera che poi vi aprirà ad una ulteriore comprensione della Parola: questo è, in sintesi, il processo della Lectio divina, sul quale ci siamo soffermati altre volte, per esempio nella prima lectio sulla Lettera agli Ebrei.3
Proprio per rispondere all’esigenza di dare spazio al Signore, a partire dalle nostre radici, affrontando il nostro “pozzo”, osserviamo quanto sia evocativa l’immagine stessa del “pozzo”, del “mio pozzo”, della “mia sorgente”.
Ovviamente non è questo né il tempo, né il luogo per fare uno studio approfondito sul significato simbolico che molto spesso il “pozzo” assume nelle Scritture: vi offro dei flash, degli spunti che possano essere per voi motivo di approfondimento.
Il pozzo ci rimanda allo Spirito, alla “discesa nel pozzo”, alla fonte originale.
Il pozzo, poi, è il luogo dell’incontro con la donna, un luogo, dunque, strettamente legato al tema della sponsalità. Nelle storie dei patriarchi lo schema per trovare la sposa è fisso: il padre invia al pozzo il servo, che lì incontra la fanciulla che il figlio sposerà: così succede con Abramo per Isacco e con Isacco per Giacobbe; Mosè trova la sua futura sposa presso un pozzo, ma senza nessun intermediario. Tutti noi, poi, ricordiamo l’incontro, al pozzo di Giacobbe, a Sicar, di Gesù con la samaritana: Gesù la provoca, chiedendole da bere, ma poi vuole stimolare la sua sete per darle l’acqua viva, e così lei lo riconosce come un profeta … quel Gesù che fa di lei – donna, samaritana, ovvero eretica (secondo la considerazione che i giudei avevano dei samaritani), in situazione moralmente irregolare (ha avuto 5 mariti e ora convive) – una testimone; lei, a sua volta, trova finalmente in Gesù lo Sposo vero, il settimo uomo, non a caso, e conduce i suoi concittadini ad incontrarlo (cfr Gv 4) e da questo incontro loro andranno oltre il riconoscimento di un profeta, fino a riconoscere Gesù come salvatore del mondo.
Un utile e significativo excursus sull’argomento cui stiamo accennando è stato svolto da suor Laura Grigis, suora domenicana, che ha tenuto una Lectio divina dedicata proprio al tema Il pozzo nella Bibbia, reperibile on-line.4 Vi presento lo schema iniziale del suo lavoro, che costituisce una chiara sintesi che ben evidenzia i vari luoghi delle Scritture in cui il pozzo compare e i significati simbolici che esso può assumere.
Mi preme, in particolare, sottolineare il punto 1 del seguente schema, in cui si afferma che
il pozzo è: “Luogo in cui una persona rientra in se stessa, entra in contatto con il sé più profondo e con l’acqua viva della Parola. Qui compie un discernimento della sua situazione e giunge a delle decisioni”.
3 La sintesi dell’incontro del 30-11-2017 introduzione alla lettera agli Ebrei dove si sono illustrati i principi e il metodo della Lectio divina è disponibile a richiesta. Era stata inviata ai partecipanti e agli interessati via mail.
4 Sr. Laura Grigis, Il pozzo nella Bibbia, www.scbpontedellapriula.it/2011/progetto-pastorale/
3
Questo riferimento all’esperienza della profondità della persona è particolarmente importante: anche commentando la Lettera agli Ebrei abbiamo varie volte riflettuto sull’azione del Signore Gesù vista, per così dire, come “ponte”, come “àncora” che congiunge il Cielo al cuore dell’uomo, tanto che il Signore stesso cerca spazio nel cuore dell’uomo per portarlo sulla sua stessa strada di offerta, di dono, di mediazione, di cammino verso il Cielo.
Al pozzo delle Scritture, presenza sacramentale di Dio, segno vivo ed efficace, si viene per attingere acqua viva e lasciare che la Parola in esse contenuta ci trasformi per una rinascita personale e per una rinascita comunitaria. E si va, e si ritorna, in obbediente ascolto, pronti ad accogliere l’imprevedibilità di Dio che ci coinvolge nel condurre la storia perché sia per noi e per tutti storia di salvezza.
Il pozzo
1. Luogo in cui una persona rientra in se stessa, entra in contatto con il sé più profondo e con l’acqua viva della Parola. Qui compie un discernimento della sua situazione e giunge a delle decisioni.
2. Luogo della presenza di Dio e della profezia: l’acqua è il simbolo della Torà, il dono fondamentale per la vita spirituale e politica del popolo di Israele, ma anche la saggezza dei sapienti alla quale attingere per sopravvivere in quanto ebrei finché si resta in esilio.
3. Luogo dell’incontro sponsale:
a) Uomo-donna: Isacco-Rebecca (Gn 24), Giacobbe-Rachele (Gn 29), Mosè-Zippora (Es 2,15-21)
b) Pozzo dell’esilio: il pozzo di Miriam5, luogo della presenza di Dio e della profezia
c) Dio-popolo di Israele: Assemblea di Sichem (cfr Gs24)
d) Gesù-Samaritana: Dio corteggia la sposa infedele e la prepara a una nuova Alleanza
e) Gesù-Chiesa: dal cuore trafitto esce sangue e acqua.
Come ulteriore stimolo di approfondimento possono essere utili alcuni passi del Diario ed una Lettera di Etty Hillesum, una ragazza ebrea, olandese, che fa un grande cammino di crescita personale e spirituale; quando i tedeschi invasero l’Olanda fu deportata nel campo di raccolta olandese di Weserbork e, successivamente, da lì fu trasportata ad Auschwitz, insieme a tutti gli altri ebrei del campo. Mentre si trovava nel campo di raccolta, scrisse il suo Diario, che poi gettò dal treno-merci in cui era rinchiusa, durante il trasferimento dall’Olanda al campo di sterminio in Polonia; il Diario, in seguito, fu fortunosamente ritrovato, così come alcune sue lettere, recuperate successivamente e pubblicate separatamente negli anni Ottanta.
Il papa Benedetto la indica come modello di conversione nella Udienza generale del mercoledì del 13 Febbraio 2013, all’indomani dell’annuncio della sua rinuncia al ministero petrino, tratteggiandola così:
Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97). Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”.
5 Questo riferimento al pozzo di Miriam è ripreso da sr. Laura Grigis dalla tradizione ebraica orale confluita nel Talmud ed è particolarmente interessante in ordine al suggestivo approfondimento in chiave simbolica della relazione profetica tra Mosè, Aronne e la loro sorella Miriam a cui è affidato un ruolo tutt’altro che subalterno. 4
Dal Diario di Etty Hillesum
17 settembre, giovedì mattina, le otto.
In fondo la mia vita è un ininterrotto “ascoltare dentro” me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio.
28 settembre 1942.
Mi aveva fatto proprio impressione sentirmi dire da quell’internista galante dagli occhi malinconici: lei ha una vita spirituale troppo intensa, le fa male alla salute, è troppo per la sua costituzione. Jopie aveva assentito pensieroso quando gliel’avevo raccontato.
Ho ruminato a lungo su queste parole e sono sempre più convinta del contrario. E’ vero che vivo intensamente, ma ogni giorno mi rinnovo alla sorgente originaria, alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che vivo troppo intensamente, non sa che ci si può ritirare in una preghiera come nella cella di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia.
Se dopo un laborioso processo che è andato avanti giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in continuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze.
Come si può osservare leggendo questi testi, Etty affronta, in qualche modo, il tema del “pozzo” e della “sorgente”; ella ci dà gli “ingredienti” che dovremmo coltivare in noi per rendere “parlante” la Scrittura nella nostra vita e, addirittura, per renderci capaci di compiere quel processo a cui si fa riferimento nel secondo dei brani proposti sopra.
Per rendere più agevole la lettura, ho sottolineato le parole-chiave presenti in questi brani: tra queste vorrei soffermarmi sul verbo “ruminare”, (verbo classico nella tradizione della Lectio divina) che indica uno dei passaggi fondamentale della lectio: dopo la lettura delle Scritture e gli approfondimenti, c’è il momento della ruminatio, cioè del “portarsi dentro” la Scrittura, del “masticarla” e digerirla, appunto “ruminarla”. Etty osserva, inoltre, che si “riposa nella preghiera” come nella cella di un convento: certo, la cella di un convento può favorire la contemplazione, ma lei, ovviamente, sta parlando della cella del suo cuore, perché è appunto l’interiorità che va coltivata.
Sono questi, appunto, gli strumenti per fare bene la Lectio divina.
Lettera: Weserbork, 18 agosto
Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sula tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. Anche di sera, quando sono coricata nel mio letto riposo in te, mio Dio, lacrime di riconoscenza scorrono sulla faccia e questa è la mia preghiera. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande colloquio con te. Forse non diventerò mai una grande artista come in fondo vorrei, ma mi sento già fin troppo al sicuro in te, mio Dio. A volte vorrei incidere delle massime e storie appassionate, ma mi ritrovo prontamente con una parola sola: Dio, e questa parola contiene tutto e allora non ho più bisogno di dire quelle altre cose. E la mia forza creativa si traduce in colloqui interiori con te, e le ondate del mio cuore sono diventate qui più lunghe, mosse e insieme tranquille, e mi sembra che la mia ricchezza interiore cresca ancora. 5
Non dimentichiamo che Etty scrive ciò che abbiamo letto, in circostanze drammatiche, mentre si trova in un campo di raccolta e presta ininterrottamente aiuto e soccorso alle altre persone che dimoravano lì; quando afferma: “Io non combatto contro di te, mio Dio”, dobbiamo ricordare che un essere pensante quale lei si ritiene deve confrontarsi, giorno dopo giorno, con l’ingiustizia, la prevaricazione, la sofferenza assurda, le contraddizioni del Comitato ebraico, e in più deve fare i conti con le piccole e grandi necessità quotidiane. Quest’esperienza, per quanto estremizzata, ha un’autorevolezza anche per noi che non viviamo in un campo di concentramento, ma viviamo stress, provocazioni, difficoltà e preoccupazioni di vario genere e sfide in vari ambiti: Etty ci mostra dove possiamo arrivare. Ella parla spesso del “riposare in Dio”; ne La lettera agli Ebrei un tema molto importante è il raggiungere il “riposo di Dio”, quel “riposo” da cui gli Ebrei che non avevano voluto accettare la provocazione del cammino nel deserto, non avevano potuto accedere; anche Etty ci parla del “riposo in Dio”, pur non avendo mai letto La lettera agli Ebrei, perché lo Spirito istruisce chi si pone in una dimensione di ascolto, di confidenza e anche di superamento.
Leggiamo, infine, la seguente intervista di Paolo Rodari al poeta Angelo Casati.
“Chi devasta i cuori è la sfiducia, è la rassegnazione al piccolo cabotaggio depredato da ogni anelito di sconfinamento. Etty ne vedeva il pericolo in coloro che vivevano con lei nelle baracche del campo di concentramento. Diceva: ‘Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento, invece di salvare te, mio Dio’. Vorrei usare un’immagine. ‘Disseppellire Dio’ invitando chiunque a mettersi in ascolto dell’acqua che gorgoglia nel suo pozzo, voce sottile che l’ingombro delle pietre non riusciranno mai del tutto a soffocare. Sta in ascolto del tuo pozzo”.
(Angelo Casati, intervista di Paolo Rodari su Repubblica.it del 21-06-2016)
Angelo Casati, commentando Etty Hillesum, osserva, tra l’altro: “Vorrei usare un’immagine. ‘Disseppellire Dio’ invitando chiunque a mettersi in ascolto dell’acqua che gorgoglia nel suo pozzo”: queste persone siamo noi che ci mettiamo all’ascolto della Parola di Dio per cogliere ciò che essa vuole dire al nostro “pozzo” interiore e alla nostra vita.
Possiamo dire che come madrina di questo incontro abbiamo Etty Hillesum, di cui ho cercato di selezionare testi che siano in consonanza con il nostro obiettivo di entrare in contatto con il nostro “pozzo”, con la nostra profondità (per scoprire che non vi si trova un vuoto, ma altro, “acqua che gorgoglia”, come afferma Angelo Casati), ma qualcuno potrebbe avere il timore che si tratti di qualcosa di molto intimistico, di un “lavoro” tutto centrato su noi stessi, molto autoreferenziale; in realtà la dinamica ce la insegna molto bene Sant’Agostino, e va seguita completamente: in un testo celeberrimo egli afferma:
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (Confessioni 10, 27, 38)
Ma Agostino stesso manifesta come il rientrare in se stessi – condizione indispensabile per trovare Dio -non sia che il primo passo, in quanto poi l’esperienza autentica del Dio che egli trova in sé, lo porta oltre sé: Dio è interior intimo meo, et superior summo meo: Dio, infatti, è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo mistero. E questo “oltrepassamento” dell’io così necessario si manifesta poi come dono.
Come sapete, Agostino ha dato tantissimo alla Chiesa e all’umanità intera, certo non è restato prigioniero di sé; accade proprio così: non possiamo dare quello che non abbiamo, ma se troviamo, allora sì che possiamo dare! È questa l’esperienza di Etty: ha trovato una sorgente alla quale abbeverarsi (che lei chiama Dio) e grazie alla quale l’energia in lei non si consuma mai, perché la sorgente alla quale si abbevera è infinita.
Preghiera finale: Padre nostro….