«Il silenzio non esiste». Due omelie del padre abate Bernardo nel tempo di Avvento
8 Dicembre 2019 – Immacolata Concezione della Beata Vergine
Dal libro della Gènesi
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Omelia:
Fratelli e sorelle, la solennità dell’Immacolata Concezione ci impone una riflessione sulla potenza del Signore, una onnipotenza, come si qualifica nella professione di fede, la forza del nostro Dio, una espressione, quella dell’onnipotenza, che forse oggi potrebbe diventare più familiare, se non più comprensibile ai vostri cuori, da una prospettiva che salda l’energia divina che si dispiega quale potenza inarrestabile e incontenibile nel farsi della creazione, nel farsi di quelle energie spirituali, temporali, materiali che di fatto governano e portano avanti questa nostra creazione.
Ma l’angolatura privilegiata con la quale oggi meditare su questa onnipotenza è davvero lo sguardo, soprattutto umano, che è in qualche misura ricostruibile da questa scena di intimità che ci offre l’Evangelista Luca in cui la nostra stessa umanità è stata resa degna di farsi, nello stesso tempo contenitore della grazia, di una grazia che si fa contenuto nel corpo, nel cuore, nella volontà di una donna che si qualifica soprattutto nella sua e per la sua umiltà.
Quindi questa onnipotenza di Dio, fratelli e sorelle, la dobbiamo anche contemplare nel suo sapersi ritrarre, nel suo generare l’uomo, come diceva Holderlin, alla stessa maniera con cui il mare fa spazio alla terra ritirandosi, e questo è molto bello, fratelli e sorelle, molto importante per noi che soffriamo in fondo di una sorta di eterogeneità rispetto a questa idea possente di Dio. Noi qui siamo sbatacchiati dagli eventi che il più delle volte stroncano le nostre speranze, mortificano la nostra già tenue fede, ci fanno sentire sballottati da onde incontenibili e allora forse questa onnipotenza di Dio che sa farsi strada, si direbbe intimamente, in modo tenero, in punta di piedi, nel grembo di una donna, è già un grandissimo guadagno cui l’Immacolata Concezione ci invita davvero a riflettere.
E ancora, questa onnipotenza di Dio si qualifica nell’espressione di S.Agostino nella sua capacità di essere onnitenenza, cioè questa sua capacità di tenere insieme tutto. Come potrebbe essere diversamente se l’avversario è il diavolo, che è la parola greca diaballein che significa dividere, separare, scompigliare, è evidente che Dio è il simbolico per eccellenza, cioè colui che tiene insieme, che raccorda, e questa sua capacità di raccordo, fratelli e sorelle, include anche l’esperienza che per noi è la diabolica per eccellenza: il tempo e lo spazio.
Perché dico questo? Perché senza fede, senza speranza e senza amore, noi subiamo il devastante e diabolico effetto del tempo e dello spazio, che ci dividono, ci separano, ci allontanano, oltre ad invecchiarci e ad affaticarci. E’ vero, noi adesso con la tecnologia di cui disponiamo abbiamo la possibilità certamente di contenere in una qualche misura l’effetto del tempo e dello spazio, facciamo le videochiamate, montiamo su un Freccia Rossa, però in realtà questa tecnologia non può e non deve illuderci circa la forza disgregante del tempo e dello spazio ed è per questo che, fin dall’inizio di questa celebrazione, fratelli e sorelle, mi piace aver evocato il Dio di Gesù Cristo, cioè il Dio che ricapitola, riavvolge tempo e spazio in un luogo, in una persona, in una esperienza che contiene tutto, onnitenenza di amore, appunto, la persona del Signore Gesù, cioè l’esperienza in cui il divino, sempre per quella stessa logica di discrezione, di tenerezza, di intimità, si manifesta nell’umano del Signore Gesù.
Allora tutto questo, fratelli e sorelle, lo dico perché ripeto, possiamo dire di voler credere in Dio, ma se non ritroviamo una alleanza forte, direi quasi divina, con la nostra stessa condizione umana, e questa alleanza è resa possibile proprio dall’efficacia dell’ amore umano e divino del Signore Gesù, come investire in questo nostro futuro, come generare nuove vite, come riscoprire la dignità del nostro esserci, come investire nella nostra storia? E dico questo con enfasi non perché appunto voglio agitarvi, le luci sostanzialmente illusorie dei grandi progressismi generalmente ideologici con cui la nostra umanità, facendo ricorso esclusivamente alle sue forze ha tentato di attutire l’effetto diabolico del tempo e dello spazio, che possa essere stato un certo umanesimo come un certo illuminismo, alla fine quelle magnifiche sorti e progressive con le quali ci si è illusi di porre al centro di tutto l’uomo, da solo, nella sua autoreferenzialità, hanno mostrato definitivamente la loro portata seducente ma illusoria.
Non ci basta quel progresso per poterci dire efficacemente signori del tempo e dello spazio.
Tanto meno ci basta la tecnica, fratelli e sorelle, anche se dovremmo interrogarci quanto questa tecnologizzazione dei nostri pensieri, delle nostre relazioni influisca surrettiziamente su questa illusione, la persuasione cioè di controllare, dominare tutto.
E invece noi oggi contempliamo l’umiltà di una donna che si arrende di fronte al mistero, si mostra in un certo senso, diversamente da Adamo che si nasconde per la sua nudità, lei non teme a mostrarsi nuda, e lo dico non per scandalizzarvi, ma perché cogliate che la veste di cui in effetti questa donna è ricoperta, lo splendido vestito di luce, come ci insegna a cantare l’Apocalisse, a prevedere Isaia, è davvero la luce dello Spirito Santo che riveste questa donna, ma possiamo pensare e dobbiamo pensare che sia un rivestimento esteriore da parte del Signore del tempo e dello spazio che in Cristo vuole rigenerare la nostra umanità dal di dentro?
Certo che no, non è una veste esteriore, è un accadimento dell’interiorità di Maria, di tutta la sua dimensione umana, perché noi crediamo in un Dio che ha scelto l’umano come spazio della sua esperienza, della sua riconoscibilità, rischiando quello che sta subendo adesso: nessuno ci pensa più al Dio di Gesù Cristo, e il più delle volte quando ci pensiamo, di nuovo lo carichiamo di simboliche, di modalità, di attuazioni, che poco hanno a che fare con questo Dio che parla, come già ci insegna l’Antico Testamento, nel sibilo del silenzio.
E noi invece siamo nostalgici di quelle sacralità che ci turbano, ma nello stesso tempo ci rassicurano se le propiziamo secondo la nostra volontà, sacrificando e placando quel tipo di forza indomita e divina.
Invece no, Dio si fa strada nella nostra intimità, fratelli e sorelle, nell’asse del tempo e nell’asse dello spazio e questo epicentro di novità raggiunto dall’umiltà di Dio è proprio il concepimento della Beata Vergine Maria, che noi, attraverso la liturgia quindi in quella legna profumata che è l’incenso che svela e non svela per fortuna, noi mettiamo a fuoco questa forza umile ma rigenerante della libertà amorosa di Dio, questo suo insediarsi con forza per un nuovo inizio della nostra storia umana, per usare un linguaggio scientifico, della specie umana.
E questa è un’esigenza non intuibile semplicemente, come in parte ci porta a fare la grande tradizione, dico grande perché tale veramente è, dei privilegi mariologici, ma il nostro è uno sguardo che non può fermarsi a Maria, deve necessariamente risalire al cuore del suo essere, inabitato dalla forza dello Spirito Santo come frutto di una grazia che attraverso la sua umiltà intende fare della nostra vicenda l’esperienza di una alleanza inedita, rivoluzionaria, che era apparsa come desiderio di Dio all’inizio della creazione, ma per l’appunto subito mortificata dal disegno diabolico di chi ha messo inimicizia tra l’umano e il divino, fra l’umano e il divino.
E noi invece abbiamo iniziato questa meditazione riconoscendo nel nostro Dio il simbolo per eccellenza, colui che symballein, tiene insieme, mette insieme e questo per noi è fondamentale, fratelli e sorelle, è bellissimo credere in questo Dio qui, anche se è molto difficile perché alla fine il dubbio potrebbe restare.
Ma davvero Gesù Cristo è anche divino? Lui così umano, così tangibile, concreto, lui che si è degnato di nascere dal grembo di una donna, certo, proprio questo ce lo conferma e proprio questo pone in essere l’intuizione meravigliosa che San Giovanni farà dire al suo Gesù: prima che le cose fossero esisteva soltanto una cosa, l’amore che il Padre ha per me.
Pensatelo questo fratelli e sorelle, Paolo ci parla di predestinazione con il suo linguaggio vertiginoso, ci chiede di prendere un altro punto di vista più difficile, più esigente di quello in qualche modo familiare dell’orto dentro il quale l’angelo arriva incontrando l’umile donna che sfoglia la parola di Dio per cercare, anche lei, simbolicamente, di rimettere insieme i vari pezzi disgregati della sua e della storia del suo popolo.
Paolo appunto ci chiede questo sguardo da lontano, una predestinazione, e un destino meraviglioso essere, noi lo saremo fratelli e sorelle, lode della sua gloria, ma lo immaginate cosa significhi essere lode della sua gloria, quello che dirà Agostino, canto perenne. Ma questa prospettiva da lontano che Paolo ci offre in effetti si radica in questa consapevolezza che mi permetto di ricordare ai vostri cuori, cosa esisteva prima che le cose fossero? L’amore che il Padre aveva e avrà sempre per il suo figlio unigenito.
E allora voi capite che questo amore prima del tempo, non ha difficoltà alcuna a riversarsi nella nostra storia come e quando vuole.
Per questo l’Immacolata Concezione è la grande festa della libertà di Dio, della sua volontà, di questo kairos che, svincolandosi dal tempo e dallo spazio, fa di ogni istante un potenziale nuovo inizio ed è chiaro che una teologia come quella domenicana più razionale, intellettiva, fatica ad entrare in questo mistero che invece la grande mistica francescana, ancorata e liberata nell’idea della volontà di Dio, ha potuto agevolare questo mirabile riconoscimento che ci fa oggi contemplare nella concezione di Maria un nuovo inizio, immacolato appunto, protetto, assolutamente estraneo a quella antica diabolica vicenda fallimentare che abbiamo ascoltato stamani nella Genesi e che si riverbera quando il nostro egoismo e la nostra presunzione, ci farebbe credere di essere anche noi, come Adamo ed Eva, capaci di gestire tempo e spazio come possiamo, come piace a noi.
Niente di tutto questo, fratelli e sorelle, arrendiamoci con umiltà alla libertà di Dio e sentiremo il gusto illuminante di essere partecipi di una predestinazione che arriva da lontano, non importa anche se sono passati secoli e secoli e secoli, è fresca, disponibile per noi e l’effetto è smisurato, essere davvero partecipi di una energia nuova con la quale porre in essere in obbedienza a Dio, quel futuro che Dio consegna alla nostra responsabilità e alla nostra creatività, perché le cose vadano finalmente in modo diverso da come andavano in quell’inizio fosco che Genesi ci racconta. Amen!
15 Dicembre 2019 – III Domenica di Avvento – Gaudete
Dal libro del profeta Isaìa
Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Omelia:
Come sembra che la ragione di questa gioia e in fondo il Vangelo stesso della gioia, cioè la buona notizia per questa domenica, fratelli e sorelle, si concentra sull’immagine che offro alla vostra meditazione, ma soprattutto direi alla vostra fantasia, alla vostra creatività, invitandovi a fare dell’ascolto del Vangelo e più in generale della vostra vita liturgica e spirituale, un potenziale caleidoscopio di fantasia, facendo in modo che tutto quello che voi recepite, vivete, ascoltate, contemplate in questa ora di comunione col Signore sia sorgente di una feconda ispirazione di grazia che si prolunghi nella vostra settimana, prima ancora che nel segno della doverosità, del precetto, dell’obbligo con il quale troppe volte trasformiamo questo evento di grazia e di liberazione che è l’Eucaristia del Signore, sia piuttosto una festa che, come fiume di luce carsica, raggiunge l’intimità dei nostri cuori per liberarci da ogni costrizione, da ogni precettistica, da ogni senso del dovere, e sentirci invece raggiunti da quella gioia che restituisce alla nostra piccolezza la grande e straordinaria consapevolezza che addirittura siamo più grandi di Giovanni il Battista.
Non so se ci rendiamo conto di cosa significhi dire questo e prenderlo profondamente sul serio, da un lato abbiamo Giacomo, che certamente continua, e giustamente, a dirci che il modello deve essere quella tensione di attesa del Profeta, la sua perseveranza, la sua pazienza, il suo disporsi, direi quasi in forma concava, ad essere cioè recipiente scavato dalla parola, come scava la goccia la pietra pur durissima destinata ad accogliere, quindi una dimensione davvero di disponibilità nel tempo e nello spazio a farci come Profeti, come il Battista, una conchiglia perennemente disponibile al nostro orecchio, accostandosi alla quale effettivamente senti risuonare, per prodigio e per stupore, una eco che ci dice che questa nostra vita, questo nostro mondo, questa nostra storia, questo nostro tempo, non è immerso in un silenzio assoluto che segnala l’assenza di una presenza che cerca il nostro ascolto, desidera il nostro desiderio.
No! Accostando l’orecchio del cuore a questa conchiglia di cui i Profeti anche col loro corpo scavato, come lo è stato nell’austerità della sua vita Giovanni il Battista, avvertono che questo universo, questo cosmo, questa storia ha una voce di sottofondo, importante, cui tornare finalmente a sintonizzarsi.
Ed è bello per questo che un luogo pure deputato al silenzio come lo è la Basilica di un’Abbazia millenaria, oggi torni a dirvi, con la forza persuasiva della contemporaneità, penso al musicista John Cage, che il silenzio non esiste e non deve esistere in realtà, se non altro perché come si accorse con sua grande sorpresa questo straordinario protagonista della musica del ‘900, quand’anche entrassi in un laboratorio, come lui fece, di fisica, protetto da centimetri per non dire metri di insonorizzazione, per sua disdetta, ma alla fine per sua incontenibile gioia, c’era un rumore, c’era un suono, quello del proprio cuore, del proprio respiro, a dire cioè che in effetti la negazione assoluta non esiste e anche quando siamo nella disperazione, nell’oscurità, nello sradicamento più totale, allora entrando in noi stessi ci accorgiamo che seppur impercettibile risuona qualcosa, e questa è veramente una buona notizia, contro coloro che ci dicono che in effetti veniamo dal silenzio e finiamo nel silenzio, il che significa una assenza radicale di comunicazione, una mortificazione del messaggio, l’annullamento di ogni relazione.
No! Non è così.
Anzi, Dio stesso secondo alcune immagini patristiche e anche di tradizioni extra-cristiane questa creazione la pone in essere cantando, fratelli e sorelle, cantando!
Cioè facendo in modo che il suo gesto creativo imprima a ciò che crea un’onda sonora. Bellissimo questo! Significa che noi dobbiamo essere capaci di tornare ad accogliere questo messaggio sottile, quasi impercettibile, inscritto nelle cose che, se esistono, esistono in risposta di questa voce che le ha chiamate ad essere che è anche peraltro la voce che ha chiamato la nostra vita ad essere e ad esserci.
In questa prospettiva certamente rivendichiamo nel tempo di Natale una qualità di silenzio funzionale ad un ascolto che però deve essere foriero davvero di un clamore, di un’esultanza, di un grido.
Non veniamo dal nulla, non veniamo dal silenzio.
Veniamo dalla parola e questa parola è così operosa, attiva nella nostra storia da raggiungerci bruciando le tappe e raggiungendoci, non dal passato, ma come non stanchiamo di dire, domenica dopo domenica, e soprattutto nel tempo di Avvento, ci raggiunge dal futuro, questa è la buona notizia fratelli e sorelle, una strada, un sentiero che si apre, grazie alla forza propulsiva di una parola che, essendo la sinfonia di amore con il quale il Padre ama il Figlio prima della creazione, può benissimo raggiungerci, anzi deve raggiugerci dal futuro, cioè da qualcosa che è oltre i nostri tempi, i nostri minuti, i nostri secondi che ci affliggono, ci limano, ci invecchiano, ci mortificano.
Per questo, come non ci si può e non ci si deve stancare di dire nel tempo di Avvento, questo Signore che viene, quest’attesa, profeticamente incarnata nel cuore concavo del Battista non è del Natale del Signore, non è della sua prima natività di duemila anni fa, ma al contrario del suo ritorno alla fine dei tempi, se abbiamo finalmente l’umiltà e il coraggio di riconoscere un’assenza che relativizza ormai per sempre i nostri orologi e ci fa tornare finalmente ad invocare, consapevoli di questa indigenza strutturale della nostra creazione e del nostro cuore, che senza il ritorno del Signore alla fine dei tempi questa creazione di fatto è ripudiata, è orfana, è mancante, per questo Isaia come avete ascoltato ne canta una reale trasfigurazione, tale per cui il deserto diventa il giardino più bello, la vicenda degli esiliati il ritorno, cogliete, come dire, una intensità sponsale che noi dobbiamo essere capaci finalmente di intercettare e di riconoscere se abbiamo l’umiltà di sentirci, perché negarlo, con le nostre piccole e grandi idolatrie, di persone che vivono in definitiva almeno in parte divorziate dal Signore.
Perché, certo, il Signore esiste, lo sappiamo, alla fine della vita lo vedremo, ci giudicherà, ma insomma nel quotidiano, nella trincea di tutti i giorni, in realtà noi divorziamo dal Signore, fratelli e sorelle, e preferiamo la concretezza dell’idolo, delle sue presunte certezze e certificazioni per andare avanti perché la vita è veramente difficile, non lo neghiamo, la gioia di cui oggi il Vangelo dà questa intonazione forte è una gioia si direbbe a carissimo prezzo, vedete che investimento nel tempo se Giacomo la qualifica come la sapienza del contadino, almeno del contadino di una volta, che senza smartphone, senza meteo, senza previsioni, si affida, lo avete ascoltato, con una intelligenza meravigliosa alla prima e all’ultima pioggia. E chi glielo dice qual è la prima e qual è l’ultima?
Se noi per capire che tempo fa subito disponiamo di mille telefonini, di mille segnali, senza però cogliere il famoso segnale dal quale siamo partiti, quello che scava il sentiero, scava la strada, dà senso all’attesa del contadino che diventa la cifra simbolica con la quale noi, attenti alla prima e all’ultima pioggia, seminiamo questa vita qua che abbiamo, con la sua portata di fecondità inevitabilmente parziale, sterilizzata dalle nostre paure, dai nostri risentimenti, dal nostro chiuderci, ma ci sarà la pioggia dello Spirito, la rugiada dell’amore che farà finalmente marcire questa nostra vita, nonostante la sua refrattarietà. E cosa avremo?
Avremo, come ci ha fatto pregare meravigliosamente la colletta, i frutti della Fede.
Per questo vedete, fratelli e sorelle, che tutto si riporta a questa dimensione esistenziale della quale purtroppo anche noi preti mai parliamo abbastanza, dandolo per scontato e scontato non può e non deve essere il mistero della Fede, cioè questa capacità difficile, austera, esigente, di spengere tutto per andare incontro a quel suono sottile dal quale siamo partiti che in realtà è sottile nella sua capacità incisiva di tagliare il tempo, gli spazi e di tornare ad essere tracciato, solco sicuro propizio ad una semina dalla quale germoglia una sovrabbondanza, una eccedenza di senso, di significato, che restituisce a tutta la vita la possibilità di una visione di insieme.
Pure questo ci interessa assai, fratelli e sorelle, una visione di insieme che è il grande interrogativo che smuove certamente Giovanni il Battista, ma che come vedete lo rallenta nella sua intelligenza:-E’ lui il Cristo oppure no?
E la grande risposta del Signore Gesù vedete quale meravigliosa sinfonia dove ogni sfumatura dell’umano è colta nella sua rigenerazione pasquale, appello bellissimo rivolto a ciascuno di noi perché ognuno di noi è zoppo, cieco, povero, inadeguato e tuttavia questo Vangelo ci scuote a cogliere e riscoprire nel tempo e finalmente un alleato, sapendo che dal futuro questo tempo è inondato di un seme, di uno sperma, di una parola che lo feconda, fratelli e sorelle.
E noi siamo qui a dirci che l’Avvento è prepararci al Natale del Signore, evento di duemila anni fa, perdendo così di vista l’essenziale di questa meravigliosa stagione, così tragicamente fraintesa, nell’essere un apprendistato che ormai nessuno più offre a questo mondo.
Chi ci prepara al futuro? Quali maestri i nostri giovani hanno a disposizione come, si direbbe con un linguaggio orrendamente pastorale, operatori di speranza?
Eppure lo siamo noi fratelli e sorelle, perché credetemi, lo dico senza disprezzo per altre culture, altre ideologie, altre riflessioni dalle nostre, però pochissime hanno questa cura radicale nell’accogliere, nel decifrare il futuro come latore di beata speranza come il cristianesimo, perché tutto viene dal futuro di Dio.
Allora riregistriamo un po’ le cose, fratelli e sorelle, questo è veramente essenziale, ci apriamo al futuro perché siamo memori della prima venuta del Signore Gesù a Betlemme e, avendo sperimentato questa irruzione del divino nella nostra umanità, ecco che cambia completamente il nostro modo di interpretare il mistero della realtà. Quindi occhi puntati verso il futuro, orecchie silenziate verso i rumori di sottofondo, ma attentissime a cogliere il riverbero sottile e misterioso che è la grande eco di quel canto con il quale Dio, per amore, per gratuità, per libertà ha posto in essere le cose che sono, riconoscerle ricapitolate e ricapitolabili nella divina umanità del Signore Gesù, a dirci cioè che questo nostro essere zoppi, ciechi e sordi, in Cristo, è esperienza potenziale di infinito, dunque di nuovo, liberazione.
E allora a quel punto questo mistero difficile della vita, perché è duro dissodare la terra e stare attenti alla prima e all’ultima pioggia, però diventa anche beatitudine di attesa, e anche capacità di schiuderci all’imprevedibile, non più angosciati, ma come ci farà dire fra poco, con un linguaggio meravigliosamente poetico, la divina liturgia, essere disponibili, finalmente, all’adempimento della beata speranza. Amen!
Trascrizione a cura di Grazia Collini
La fotografia è di Niccolò Landi