«Dalla carta alla vita e dall’inchiostro al respiro». Omelia del padre abate Bernardo per la III Domenica del Tempo Ordinario
27 gennaio 2019 – III Domenica del Tempo Ordinario
27 gennaio 2019
Dal libro di Neemìa
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.
Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.
I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.
Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.
Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?
Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?
Dal Vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Omelia:
Fratelli e sorelle, credo che ci si possa rendere conto di un itinerario di qualificazione dell’esperienza di rivelazione dell’amore di Dio, che si è inaugurata nella notte santa di Natale quando, come scheggia di luce dinamica, il Signore ha iniziato a squarciare le tenebre della nostra disillusione, della nostra percezione di un abbandono radicale della nostra condizione umana, da parte di un amore che si è percepito come entità sempre più indifferente e distante alle istanze del nostro cuore.
E allora il percorso natalizio ha inaugurato come un tracciato che la Chiesa ci fa rivivere, anno dopo anno, per tornare a riconoscerci visitati e visitabili, amati e amabili, riconosciuti e riconoscibili dalla presenza del Signore, un itinerario che ha i suoi punti fondamentali nella esperienza, appunto rivelativa, della nascita di Dio, che si fa carne della nostra carne per ricondurre ad una dinamica sponsale quello che sentivamo ormai ferito da un divorzio inguaribile fra terra e cielo, una dimensione nuziale che abbiamo festeggiato domenica scorsa, profittando di una legge incolore e insapore che misteriosamente si è trasformata in vino, manifestando così ancora una volta le proprietà dell’amore: dare sapore, dare gioia, dare brio, dare aroma, dare profumo, dare fragranza, dare gusto alla nostra esistenza perché essa non è per la solitudine, non è per la scissione, non è per divorzio, ma è per l’amore sponsale, la comunione del sentirci amati e desiderati da un Dio che si fa presenza sponsale presso ogni particella del nostro essere.
E ancora, fratelli e sorelle, questa esperienza rivelativa dell’amore di Dio che il Natale ci ha fatto e ci fa attraversare, ha avuto il sapore di una universalità quanto mai necessaria in tempi come questi che si segnalano per una grande paura, comprensibile da un punto di vista umano, visto le grandi sfide che inquietano le nostre presunte certezze, ricchezze, i nostri apparentemente calcolabili scenari socio politici; grande tentazione è quella di rinchiudersi nel nostro particulare, avrebbero detto i grandi maestri della riflessione filosofica del nostro cinquecento, e invece il Signore Gesù col suo Vangelo ci ricorda che l’orizzonte della condizione umana non può che essere alla luce di questa sponsalità, un orizzonte universale, fratelli e sorelle, universale.
Ed ecco allora che oggi questo cammino autorivelativo del mistero di Dio si compie davvero in modo tutto speciale con l’ interlocuzione privilegiata di una parte importante della nostra condizione umana, è interessante dire con chiarezza che il Signore ha anteposto la gioia dell’ebbrezza dello spirito sponsale, ma subito dopo il Signore interpella, dopo il cuore, la nostra intelligenza e lo fa oggi chiedendoci di prestare attenzione alla sua parola, ai contenuti si direbbe del suo messaggio, a quello che lui ci vuole dire, e la liturgia oggi ci fa respirare questa istanza attraverso il bellissimo prologo lucano, dove la parola forte è l’accuratezza delle sue ricerche, perché Teofilo scopra come l’insegnamento che ha ricevuto non è una elaborazione ideologica, esclusivamente dottrinale, ma un patrimonio desunto da un evento che si fa narrazione evangelica nelle sante parole che Luca ha cura di trasmettere, come esperienza di salvezza, a Teofilo e a tutti noi.
Perché in effetti non c’è solo dottrina, così come non c’è solo narrazione, la parola veicola entrambe e le veicola come esperienza di luce, fratelli e sorelle, avete ascoltato questo bellissimo inimmaginabile scenario che era la prima lettura, questo popolo che dopo l’esilio ritorna e ha bisogno non solo di una patria geografica, ma anche di una patria esistenziale, cordiale e intellettuale, questa patria è la parola di Dio, la legge del Signore e questa parola va, fratelli e sorelle, ascoltata con molta attenzione in un orario in cui siamo, si direbbe, freschi, non è attenzione, la gravidanza notturna della parola, quella che voi sapete e condividete con noi essere frutto dei miei mille sbadigli, delle veglie di Natale e di Pasqua, quella è la parola che germoglia dalla nostra stanchezza, dal nostro essere sfibrati, è la parola in cui, prima ancora del contenuto vale lo scoprirci terreno in cui il Signore ha deposto un seme, nell’oscurità, perché germogli come luce, la veglia notturna. Qui no! Qui c’è da capire, qui c’è da risvegliare ogni frammento di intelligenza per intuire una storia, qui e ora, che è salvezza, che è appello, che è liberazione, che è intelligenza, che è dignità, che è prospettiva, che è futuro, che è speranza, dobbiamo essere attenti e voi ascoltate che tutto questo viene proclamato la mattina, da quando c’è la luce fino a mezzogiorno, che è la stessa identica ragione per cui il nostro ambone, ogni ambone romanico ha come direzione il nord, l’oscurità, le tenebre, perché esse si fanno vincere solo e soltanto dalla forza, dall’oggettività della parola, che risveglia la consapevolezza che esiste una misura fra me e Dio di cui è campione proprio la parola che Dio centellina, per risvegliare nella nostra interiorità, la consapevolezza forte che è il cuore del Natale dell’essere cercati, desiderati, visitati da un Dio che si fa strada verso di noi.
Questa è una prospettiva fondamentale fratelli e sorelle, da condividere fra di noi e possibilmente da testimoniare a questo nostro mondo che si sente oggettivamente così abbandonato a sé stesso, è facile che questo accada, talvolta succede, anzi meno di talvolta, abbastanza spesso, anche a ciascuno di noi, perché negarlo? E allora voi vedete l’importanza di questa esperienza, ed è l’altro passaggio fondamentale, che è un tutt’uno con l’unità fra dottrina insegnamento e narrazione, per cui queste cose non ce le diciamo in una situazione, come dire, di conferenza, ma ce le diciamo in una esperienza in cui noi viviamo una presenza più grande, ed è proprio l’esperienza liturgica, come liturgia era quel momento in cui il popolo davanti al sacerdote incontra nella luce la parola e liturgia è quello che fa Gesù nella sinagoga, con questo supplemento di qualità fondamentale: si riavvolge il rotolo, si mette via il rotolo, si dimentica il rotolo perché Lui è la parola.
E in questa straordinaria sostituzione noi giungiamo all’estremo dell’autorivelazione di Dio nei nostri riguardi, non è carta seppur venerabile, non è inchiostro seppur trascrivibile, non è intelligenza seppur registrabile, è evento, fratelli e sorelle, è evento, è presenza, per questo abbiamo bisogno della liturgia perché noi dobbiamo sentire, possiamo sentire la sua presenza che sostituisce il povero padre Bernardo, che sostituisce il pur venerato lezionario che sostituisce, rifletteteci! il pane e il vino, che trasfigura, non sostituisce, quello che noi qui siamo, in una trasfigurazione fondamentale dalla tentazione di sentirci atomi, individui, all’esperienza nuova e pasquale del sentirci corpo, di diverse membra, ma unico corpo. E arriviamo all’ultimo passaggio, Paolo, questa esperienza di Chiesa bellissima, così concreta, così umana e nello stesso tempo così misticamente inafferrabile, tutti noi membra dell’unico corpo che ha Cristo per capo! Dov’è che si riconosce questa dimensione trascendente e nello stesso tempo autentica, reale, fragile e fortissima allo stesso tempo? Proprio qui, nella distrazione con cui inevitabilmente, e forse giustamente, vi distanziate dalle mie troppe parole, ma anche dalla bellezza del nostro esser qui nonostante il freddo e la distanza dalle nostre case. Per chi? Per che cosa? Spinti da quale opzione?
Il di più di Dio che si fa presenza nel nostro raccoglierci segnato qualche volta da sbadigli, stanchezza, dubbi, limato da consuetudine che talvolta attenua la novità pasquale di ogni celebrazione, ma nonostante tutto questo noi ci siamo, semplicemente e misteriosamente perché Lui, il Signore, c’è, sostituendo con sé stesso il vecchio rotolo logoro di secoli. Amen!
Trascrizione a cura di Grazia Collini