Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del decimo incontro animato il 29 maggio 2025 da padre Stefano
Lectio divina
San Miniato al Monte
Giovedì 29 Maggio 2025
X Incontro della Lectio Divina sulla Lettera ai Colossesi
Padre Stefano Brina
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.
Siamo grati di essere di nuovo convocati dal Signore per l’ascolto della sua parola proprio nel quarantesimo giorno dopo la Pasqua, il giorno dell’Ascensione, che solo per ragioni pastorali in alcune nazioni compresa l’Italia, verrà celebrata domenica prossima. Noi terremo conto di questo contesto che risulta in consonanza col testo che andremo a scrutare oggi e che aiuterà ad immergerci nel mistero di Cristo, in particolare nel ministero di Cristo per noi.
Per questo ti chiediamo, o Signore, di donarci la grazia della comunione come l’hai donata ai discepoli riuniti insieme con Maria proprio nel giorno dell’Ascensione e di renderci docili alla tua parola per crescere nell’intelligenza del dono che sei per noi e aderire alla tua persona come nostro Salvatore, Salvatore di tutta l’umanità e di tutta la creazione, quindi anche fonte della nostra libertà da ogni paura, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen,
Proclamiamo nuovamente insieme l’inno della lettera ai Colossesi perché il testo del corpo della lettera che oggi considereremo affronterà le difficoltà che minacciano la comunità di Colosse e per farlo si riallaccerà alla contemplazione del Cristo Signore del Cosmo e del Cristo Salvatore.
Inno (Col 1,15-20)
“1 15Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio, primogenito [di quelli che risorgono] dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
19Perché in lui è piaciuto [a Dio] che abiti tutta la pienezza
20e per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.”
Se il frutto di tutto questo lungo cammino di Lectio Divina, dovesse essere anche solo che voi interiorizzate l’inno della lettera, sarebbe già un frutto non da poco; perché questo sarebbe un ottimo strumento per tutte le volte che qualche cosa ci mette in difficoltà, qualche cosa contraddice, sminuisce, ostacola la primazia del Signore Gesù nella nostra vita e nella vita di tutta la creazione, così che appoggiandoci sulla parola della Scrittura professiamo la nostra fede, riconoscendo, contemplando ed alzando lo sguardo, immergendoci in questo testo che ci permette in qualche modo di confessare, nonostante tutte le smentite momentanee che possiamo subire o vedere o dover affrontare, confessare la centralità, l’orientamento, il senso della nostra vita. Questo riconoscimento è un’azione che afferma anche che tutta l’umanità e insieme a tutta la creazione hanno un valore specifico e speciale, che proprio lo sguardo sul Signore Gesù, in tutta la sua portata, manifestata al massimo nella lettera ai Colossesi, ci permette in qualche modo di cogliere.
Insisto su questa dimensione confessante della fede. Insieme leggeremo un testo che Papa Benedetto XVI aveva scritto in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, e in cui rivolgendosi ai giovani diceva cose che possono essere importanti anche per noi oggi. Occorre una fede che si arricchisca nella conoscenza, cresca nell’adesione. Anticipo fin da ora, prima ancora di leggere il testo biblico, un brano di Sant’Agostino per stimolarci nel giusto atteggiamento da assumere come uditori della parola.
“C’è qui un grande mistero sul quale occorre riflettere, fratelli. Il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vero maestro sta dentro. Non crediate di poter apprendere qualcosa da un uomo. Noi possiamo esortare con lo strepito della voce, ma se dentro non v’è chi insegna, inutile diviene il nostro rumore. Ne volete una prova, fratelli miei? Ebbene, non è forse vero che tutti avete udito questa mia predica? Quanti saranno quelli che usciranno di qui senza aver nulla appreso? Per quel che mi riguarda, ho parlato a tutti; ma coloro dentro i quali non parla quell’unzione, quelli che lo Spirito non istruisce internamente, se ne vanno via senza aver nulla appreso. L’ammaestramento esterno è soltanto un ammonimento, un aiuto. Colui che ammaestra i cuori ha la sua cattedra in cielo. Egli perciò dice nel Vangelo: “Non vogliate farvi chiamare maestri sulla terra: uno solo è il vostro maestro: Cristo” (Mt. 23, 8-9). Sia lui dunque a parlare dentro di voi, perché lì nessun uomo può penetrare. Se qualcuno può mettersi al tuo fianco nessuno può stare nel tuo cuore. Nessuno dunque vi stia nel tuo cuore, solo Cristo. Vi resti la sua unzione, perché il tuo cuore assetato non rimanga solo e manchi delle acque necessarie ad irrigarlo. È dunque il maestro interiore colui che veramente istruisce, è Cristo e la sua ispirazione ad istruire. Quando manca la sua ispirazione e la sua unzione, le parole esterne fanno soltanto un inutile strepito.”
(S. Agostino, Commento alla Prima lettera di S. Giovanni apostolo, Omelia 3,13)
Dobbiamo uscire da questo cammino insieme confermati nella fede, nutriti e, se Dio vuole, anche con un’apertura più grande al mistero di amore del Signore Gesù. Tutto questo permette e permetterà ovviamente un nostro modo di porci nella vita diverso, affrontando le sfide, le difficoltà, le problematiche che la vita ci porta personalmente nelle situazioni più disparate e ovviamente anche a livello di tutta l’umanità, o anche di tutta la creazione, visto che anche questa soffre.
Il brano della Lettera ai Colossesi che oggi andiamo a leggere è quello del capitolo 2, vv. 6-23:
“2 6Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, 7radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie.
8Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità,
10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza.
11In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo:
12con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e 14annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
15Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.
16Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati: 17queste cose sono ombra di quelle future, ma la realtà è di Cristo.
18Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio: 19costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio.
20Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: 21«Non prendere, non gustare, non toccare»? 22Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, 23che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne.”
Avevamo lasciato Paolo con le sue sofferenze per la Chiesa, perché fosse corroborata e per i fedeli che lui non conosceva, perché fossero consolati e fossero in grado di aprirsi al dono di Cristo e progredire in esso.
Ora invece entriamo in quella che nel corpo della lettera è un po’ l’argomentazione con cui si affronta la problematica detta da alcuni esegeti ‘l’eresia di Colosse’ e da altri ‘l’eresia dei dottori di Colosse’, che Paolo affronta come parte centrale ma che aveva anticipato in quella che avevamo chiamato con J.N. Aletti, la partitio, ovvero i versetti 21- 23 al termine dell’excursus del capitolo primo che annunziano i temi trattati nel corpo della lettera:
“1 21Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; 22ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui;
23purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato ministro.”
Se leggete la Lettera agli Efesini, – che insieme alla lettera ai Colossesi, come vi ho sempre detto, sono due lettere sorelle – non vi trovate però un’argomentazione in ordine alle cose che non funzionano.
E’ come un grande manifesto, tutto piano, in cui viene espressa e sviluppata molto di più la parte ecclesiologica di tutto il testo; mentre in Colossesi si sviluppa in modo fortissimo la parte cristologica, perché serve per poter rispondere ad un problema concreto anche se espresso in maniera abbastanza generale. Paolo e tutta la tradizione che si rifà a lui, rispondono a situazioni concrete, però stilizzando al massimo le problematiche, in modo tale da affrontarle in una dimensione più ampia a partire dal dato interno della fede, ossia da ciò che è il Mistero, la Rivelazione. Paolo non si concentra su un problema dandovi delle soluzioni, ma approfitta di quello per dare un approfondimento maggiore del suo vangelo, in modo tale che in qualche modo ci sia un’indicazione di metodo per affrontare analoghe difficoltà che si presentano in modo alla Chiesa.
Quando abbiamo una difficoltà che ci pone dei dubbi sul senso della nostra vita, sul modo di affrontarla sulla direzione da prendere e ci vengono poste alternative possiamo stare ad argomentare su quei livelli o sulla logica e il merito delle obiezioni, ma Paolo ci suggerisce piuttosto di concentrarci, di approfondire il cuore della Rivelazione, perché attraverso quello riusciamo a fare anche un discernimento fra possibili inganni. Invece di stare su argomentazioni – a volte possono esserci anche argomentazioni sottili e lecite – che ci mandano in confusione, Paolo in qualche modo ci presenta il Mistero e in grazia di questa presentazione, cioè del valore di Cristo e del nostro rapporto con Lui come corpo di Cristo, cioè nella Chiesa. Grazie a questo noi vediamo se l’argomentazione o il dubbio va in realtà a scardinare, o a mettere in difficoltà, o a porre danno proprio a ciò che costituisce la struttura essenziale, l’elemento fondamentale e se facciamo questo, prima di perderci nelle argomentazioni o di cadere nelle illusioni, possiamo anche riconoscere che non è la strada giusta.
Io ora ve lo dico in generale, poi però vedremo come Paolo lo fa in particolare.
Oggi che ci troviamo in un tempo estremamente carico di tensioni e di gravi sfide, con manipolazioni che spesso ci gettano nella confusione, l’avere degli strumenti che ci permettano di non rendere nulla o inefficace la nostra fede e non svuotarne l’efficacia è molto importante.
Il testo del brano di Colossesi 2, 6-23 si può dividere in tre o in cinque parti.
I (vv. 6-8) Esortazione
A) Esortazione positiva (vv. 6-7)
B) Esortazione che mette in guardia dai pericoli (v. 8)
II (vv. 9-15) Approfondimento cristologico che permette di evidenziare anche i criteri di discernimento.
III (vv. 16-23) Esortazione
a) Esortazione negativa (vv. 16-19) che riprende quanto accennato in I A)
b) Esortazione con domanda retorica che permette di riaffermare la libertà dei cristiani dalle minacce sopra presentate.
In I A) Paolo in qualche modo tiene presente la situazione di Colosse, ma ovviamente l’esortazione vale anche per noi e ci dice come dobbiamo muoverci radicandoci in Cristo e usa delle belle metafore per commentare le quali ci sembra utile il testo annunciato di Papa Benedetto XVI.
In I B) introduce col termine filosofia (è l’unica volta che questo termine è usato nel Nuovo Testamento), le dottrine che possono essere problematiche, che possono fare deviare, che possono portare via il tesoro che l’adesione a Cristo invece comporta per i fedeli.
Prima di andare ad affrontarle (lo farà dopo) approfitta subito per concentrarsi di nuovo sul Mistero di Cristo (II parte); lo aveva fatto nell’Exordium con il grande inno cristologico e lo riprende qua, dove però usa una preposizione che non viene usata in quell’inno, è la preposizione ‘con’.
Nell’Inno infatti Paolo dice che tutto è stato fatto in Lui, per mezzo di Lui, attraverso di Lui e in vista di Lui, ma non c’è nulla ‘con Lui’ perché nulla può condividere il primato con Cristo, anzi tutte le varie autorità angeliche o i vari potentati sono sotto di lui.
Qui invece si sta parlando dei fedeli, i quali attraverso il battesimo, cioè attraverso l’adesione formale, sostanziale, piena, alla fede in Cristo, vengono incorporati in Lui mediante la Chiesa, ma questo li rende partecipi della realtà di Cristo ed ecco che appare nel testo la preposizione ‘con’.
Paolo, dopo aver illuminato tutta la bellezza del Mistero di Cristo per noi che aderiamo a Lui, in modo tale che possiamo crescere non solo nel gustarlo, ma anche nel renderci conto della portata e del valore che ha per noi, può volgere lo sguardo alle difficoltà che minacciano i suoi interlocutori (III parte).
Nel v. 8 aveva detto: “Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana”, ora al v.16 afferma “Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati”.
Gli esegeti continuano a dibattere su quale fosse la matrice di ciò che minacciava l’integrità della fede dei Colossesi, se dottrine giudaiche o i culti dei misteri pagani o dottrine protognostiche, o un sincretismo che mescola tutte queste componenti, di fatto dal testo si evidenzia una suggestione che Paolo qualifica come filosofia e tradizioni semplicemente umane che propugnano il ricorso a strumenti e pratiche di tipo ascetico, sia nell’ambito alimentare, sia nell’ambito rituale, per poter accedere ad una dimensione di visione, di cui vedremo poi le potestates, ossia potenze spirituali angeliche che devono in qualche modo permettere di accedere alla conoscenza e la tentazione è quella che se non si osserva un certo tipo di codice, di pratiche, non si potrà avere la salvezza.
Questa tentazione è sempre presente. Pensate a quante volte presunti spirituali fanno affermazioni del tipo ‘Non pregano abbastanza’, ‘Non sono abbastanza osservanti’, ‘Non hanno una conoscenza superiore’, ‘Non hanno esperienze di visioni e particolari rivelazioni’, quindi in realtà non hanno un’esperienza spirituale, s’illudono e vivono come tutti gli altri.
Paolo invece obbietta su questo e controbatte fortemente dicendo che questo è un grande rischio.
“20Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: 21«Non prendere, non gustare, non toccare»? 22Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, 23che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne.”
Ovviamente si tratta di pratiche ascetiche, di filosofie che richiedono una certa prassi alimentare altrimenti si è “troppo carnali”. Sono cose ben presenti e striscianti ovunque anche oggi, sono tecniche che hanno la parvenza di sapienza. Tutta la dimensione spirituale oggi è affidata a tecniche, in occidente quando si parla di esperienza spirituale cominciano subito a parlarvi di tecniche: tecniche per il silenzio, tecniche fisiche, tecniche alimentari ecc… ecc…
Non che l’ascesi non abbia il suo valore, ma per Paolo non è quanta esperienza tu hai che dice quanto tu sei in Cristo e sei salvato. Attenzione però che questa è una tentazione che ci tocca tutti! Il rischio è quello di pensare di fare tanta strada e invece perdersi, si arriva a giudicare gli altri creandosi una falsa umiltà che in realtà diventa un indurimento.
Ecco questo è il quadro sintetico attraverso il quale noi ci dobbiamo muovere.
Leggiamo ora questo testo di Benedetto XVI che, essendo stato pensato per i giovani, ci dà una serie di connotati importanti che ci spiegano molto bene la prima parte dell’Esortazione, e ci introducono anche, con un’attualizzazione, ai pericoli che anche oggi noi viviamo.
“Per mettere in luce l’importanza della fede nella vita dei credenti, vorrei soffermarmi su ciascuno dei tre termini che san Paolo utilizza in questa sua espressione: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: radicato evoca l’albero e le radici che lo alimentano; fondato si riferisce alla costruzione di una casa; saldo rimanda alla crescita della forza fisica o morale. Si tratta di immagini molto eloquenti. Prima di commentarle, va notato semplicemente che nel testo originale i tre termini, dal punto di vista grammaticale, sono dei passivi: ciò significa che è Cristo stesso che prende l’iniziativa di radicare, fondare e rendere saldi i credenti. “
Questo è il chiaro assunto paolino: noi siamo salvati, possiamo collaborare proprio perché ci è dato.
“La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono le nostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del nostro Paese, che sono una componente molto importante della nostra identità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8).
Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente. “Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio” (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza.
(…) Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. (…) Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola.
(…) La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colosse. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo. Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale. Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ricorda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fondamento della nostra vita, il centro della fede cristiana.
Tutte le filosofie che lo ignorano, considerandolo “stoltezza” (1 Cor 1,23), mostrano i loro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo.”
(Dal Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù 2011)
Con la precisione e la lucidità che lo contraddistinguono, in sintesi Papa Benedetto ci dà delle suggestioni importanti. Tornando al nostro brano, approfondiamone il nucleo centrale.
Col2 “6csovrabbondando nel rendimento di grazie”
Per cinque volte si parla di Eucarestia, di rendimento di grazie nella Lettera ai Colossesi, due nel primo capitolo e questa è la terza volta: prima era Paolo che rendeva grazie per i Colossesi, poi li esortava a rendere grazie e qui di nuovo li esorta a rendere grazie, a sovrabbondare, ad esagerare nell’esercizio della gratitudine.
Se voi fate caso, in questo tempo Pasquale, la Liturgia ci dice continuamente: “gioite, esultate”, ma guardando il telegiornale tutto c’è tranne che da gioire, per cui ci chiediamo cosa significhi avere questa lente. Dio ci dà delle motivazioni specifiche che possono sostenere, ma permette a noi di andare alla linfa, perché se noi stiamo sempre a guardare a tutto ciò di cui c’è tutt’altro che da gioire ed esultare, ovviamente rischiamo di implodere nel nostro senso di impotenza, di perdere fede, allora siamo tentati di cercare tecniche migliori, o di affidarsi a qualcuno che capisca in maniera eccelsa. Tutto questo paralizza l’azione dello Spirito, azione che viene dentro le contraddizioni della storia. Guardando all’esempio di Paolo e dei suoi discepoli vediamo che non hanno avuto vita facile, però non hanno paura della storia proprio perché sono sempre più immersi, centrati e focalizzati, e guardano tutto alla luce di Cristo, il quale in qualche modo presenta la portata tutta intera della vita umana, la dignità tutta intera della vita umana, per cui vale la pena lottare. Le potenze che dominano, sia sul piano mondano, sia su piani superiori, sono in realtà hanno un’azione limitata e transitoria. Quindi noi stiamo dentro, radicati, fondati, e possiamo resistere anche quando camminiamo controcorrente.
Entriamo dentro al testo che ci viene offerto.
“2 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza.“
Qui è molto importante: innanzitutto come avevamo già visto nell’Inno cristologico, al versetto 19 “in lui è piaciuto [a Dio] che abiti tutta la pienezza (il pleroma)” e qui ritorna questo concetto: tutta la pienezza della divinità. Stiamo parlando del Signore incarnato, morto, risorto e asceso al cielo, tutta la pienezza della divinità è in Cristo, non è semplicemente il Gesù storico in cui la forma kenotica, svuotata della sua assunzione dell’umanità, mostrata così plasticamente dai Vangeli (Gesù che dorme sulla barca, Gesù che piange, Gesù che soffre), era prevalente mentre la sua natura divina che si manifestava solo in qualche momento, pensate alla Trasfigurazione.
Cosa significa ‘abita corporalmente’? Qui c’è un ventaglio di interpretazioni perché è un termine importante, delicato: da una parte può voler dire semplicemente realmente, perché non è immaginazione, non un’illusione né una metafora; in Lui abita in toto, pienamente la divinità.
Nello stesso tempo, in riferimento al corpo, essendo Cristo asceso al cielo con il corpo glorioso, il corpo che ha già vinto la morte e che quindi è pienamente Gloria. E noi partecipiamo a tutto questo. Paolo dice che siamo innestati in Lui, andiamo a partecipare di questa pienezza, perciò bisogna riferirsi sempre a Cristo perché è Lui che ci dà la pienezza. Ricordatevi quando abbiamo detto che il Cristo, secondo il testo conciliare di Gaudium et Spes 22, rivela pienamente l’uomo a se stesso, quando parlvamo di Gesù che è icona di Dio e noi siamo icona dell’icona, icona di Cristo e in questa prospettiva cogliamo la nostra dignità.
Noi partecipiamo alla sua pienezza perché Lui è il capo, termine usato solo nella Lettera ai Colossesi, Lui il capo e noi come Chiesa siamo il corpo. Nel testo letto si dice che Cristo non è solo il capo della Chiesa ma anche il capo d’ogni Principato e di ogni Potenza: il significato di questi due termini l’abbiamo già visto nell’Inno dove addirittura ne comparivano quattro (Troni, Dominazioni, Principati e Potenze), pur non essendo completamente precisabile, molto probabilmente si riferisce a esseri spirituali, non Potentati intesi come i grandi dominatori di questo mondo, ma alle Potenze angeliche. Perché usa questi termini? Perché secondo anche la tradizione giudaica, erano già state presentate come aventi il compito di verificare, di controllare se gli uomini seguono i comandamenti di Dio, e di riferire. Ma a Paolo preme dire che non ci sono potenze angeliche, sia buone che cattive, che non siano sottomesse a Cristo.
Paolo centra sull’evento del Battesimo quell’azione, quella realtà, anche rituale, che è l’inizio dell’entrata di ciascuno di noi nell’alleanza con il Signore Gesù, un’entrata viva, ontologica, del nostro essere con l’essere di Cristo, e quindi questa è la vera circoncisione.
Mentre i profeti parlavano della circoncisione del cuore come necessaria perché l’alleanza di Dio con il popolo d’Israele avesse un’efficacia per l’israelita, qui c’è qualcosa di più, non è l’alleanza che la circoncisione mediava, cioè l’entrata nel popolo di Dio tenuto ad osservare la legge di Mosè. In Cristo si inaugura la nuova alleanza aperta anche per i pagani e per tutto il mondo, con la possibilità di accedere alla vera salvezza e alla vera pienezza, il cui segno visibile è proprio il Battesimo. Battesimo che Paolo, in Colossesi, legge in una maniera ancora più ampia rispetto a come aveva già fatto in particolare nella lettera ai Romani (cfr Rom 6), dove presentava il battesimo come partecipazione alla morte di Gesù in vista della possibilità di partecipare alla sua Resurrezione, dove partecipare alla resurrezione, nel primo Paolo, significa partecipare in toto alla gloria, alla realtà di pienezza , oltre la sofferenza, oltre la sfera di tutto ciò che è caduco. Paolo associa Resurrezione, Ascensione e Gloria. Il fedele, nel Battesimo, si unisce a Cristo, che muore per lui, riceve il sangue dell’alleanza, entra nella relazione di alleanza che avrà il suo compimento, partecipa con le sue sofferenze alle sofferenze di Cristo in vista di partecipare alla sua Gloria. Qui invece Paolo sottolinea che il processo è già iniziato, voi siete morti con Cristo e risorti con Lui, voi attraverso la fede in Cristo entrate in una vita nuova. Quella che per Paolo, nella Lettera ai Romani, era l’azione dello Spirito che introduceva nella vita nuova e che si sarebbe compiuta nella vita eterna, in Colossesi viene tutta legata a Cristo come partecipazione alla sua Resurrezione, cioè alla possibilità di essere creature nuove. Ovviamente non dimentica che tutto questo è un processo che troverà la sua conclusione solo nella partecipazione alla gloria eterna.
“Col 2 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e 14annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.”
Sempre tornando ad una interpretazione che è propria della tradizione giudaica, si dice che questi angeli, queste potenze che sono atte a governare e a controllare la fedeltà alla legge, scrivono i peccati degli uomini, quindi scrivono il documento che ovviamente ci è sfavorevole, e plasticamente Paolo dice che questo chirografo è stato da Cristo affisso alla Croce, e quindi noi siamo liberati, anche gli Angeli non hanno più la prerogativa di scrivere i nostri peccati in vista di un giudizio sfavorevole perché Cristo salva, guarisce, Cristo annulla il documento sfavorevole. Questa per noi è una provocazione, noi dobbiamo nella preghiera acquisire la coscienza di cosa vuol dire essere con Cristo e dobbiamo chiederlo, come dice sant’Agostino ‘è il Maestro interiore’ che ci deve poi portare a realizzare questo, altrimenti le parole della Scrittura non illuminano la nostra vita.
L’azione di Cristo, la sua passione e morte in Croce, ha privato della loro forza, Principati e Potenze, e con la sua risurrezione e ascensione al Cielo il Signore ne ha fatto addirittura pubblico spettacolo trionfando su di loro. Qui c’è un’altra interpretazione del v.15, complementare a quella che la nostra traduzione dove i Principati e Potenze sono viste come negative e presentate come pubblico spettacolo in corteo come sottomesse a Cristo. L’altra interpretazione possibile nel greco deriva dalla considerazione che i Principati e le Potenze, come abbiamo visto quando abbiamo commentato l’Inno ai Colossesi, non sono solo entità negative, ma anche gli Angeli fedeli, per i quali non avrebbe senso un’esposizione in corteo come dei prigionieri vinti, ma piuttosto ha senso considerare la loro presentazione nel corteo come un omaggio alla loro fedeltà e una esposizione che mostra che non sono più pericolosi per noi ma sono collaboratori della nostra salvezza. Entrambi i due significati sono possibili. Quello che a noi interessa e che Paolo fa emergere è il fatto che grazie alla nostra partecipazione alla vita Cristo non dobbiamo avere paura e lasciarci intimidire da forze spirituali inferiori non più in grado di esercitare il loro potere tirannico conto di noi.
Leggiamo come conclusione finale il testo di San Leone Magno:
“Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su un’arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità. Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde.”
Questo io auspico per voi, forza di cuori veramente grandi, magnanimi, e luci di anime salde, salde in Cristo.
“Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?”
Io non sento perciò….se sentissi di più il Signore potrei credergli meglio…..beati voi che pur non avendo visto crederete …vado a prepararvi un posto…..ma io i miei cari non li sento, se li sentissi sarebbe meglio….Siamo tutti d’accordo ma il Signore in cui noi crediamo ha vinto la morte, si è assiso, ha portato l’umanità già in cielo e ci attira a sé, questa è la nostra fede, noi vorremmo, grazie all’aiuto dello Spirito Santo, diventare persone con cuori grandi e con anime salde.
“Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali.”
I sacramenti hanno una dimensione sensibile perché noi siamo fatti anche di corpo, e il Signore ha usato una dinamica sacramentale per raggiungerci interamente. Per fare comunione con noi non aveva bisogno di farsi nostro cibo, ma in questa maniera noi entriamo nella relazione con lui con tutta la nostra realtà, compresa quella fisica. Ovviamente una cosa è ciò che vediamo, tocchiamo e gustiamo (il pane e il vino) e un’altra ciò che il nostro udito sente (Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue) la parola del Signore ci rivela la vera realtà e la nostra fede che si basa sull’udito e non sugli altri sensi, riconosce quella realtà che i segni sacramentali contengono.
“Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce superna. Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. “
(S. Leone Magno, Disc. 2 sull’Ascensione 1, 4)
Tutti insieme adesso leggiamo la seguente Colletta:
“Esulti di santa gioia la tua Chiesa, Signore, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché in Cristo asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere il nostro capo nella gloria. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen” (Lit.)
Trascrizione a cura di Gaia Francesca Iandelli e Cecilia Prandi