Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del sesto incontro animato il 27 marzo 2025 da padre Stefano

Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del sesto incontro animato il 27 marzo 2025 da padre Stefano

Lectio divina


San Miniato al Monte, giovedì 27 marzo 2025

Lectio Divina sulla Lettera ai Colossesi
VI incontro con
Padre Stefano Brina

Preghiera iniziale
Signore ti ringraziamo del dono che ci offri di porci in ascolto della tua Parola.
Accogli la nostra disponibilità ad assumere la fatica di scrutare le Scritture per dimostrarti la volontà di lasciarci attirare da te, per essere tuoi discepoli e portare frutto nella vita secondo la volontà del Padre in cui tu ci conduci. Il tuo Santo Spirito illumini il nostro ascolto cordiale e accresca la nostra comunione rafforzando in noi la fede, innalzando la speranza e dilatando la carità.
Ti offriamo le nostre fatiche e prove e chiediamo l’intercessione dell’Apostolo Paolo e dei suoi discepoli santi per essere anche noi uomini e donne riconciliati, profumo di Vangelo e capaci di riconoscere e testimoniare la tua signoria su tutta la creazione e l’umanità intera. Amen

Signore, dopo aver espresso i nostri sentimenti, la nostra disponibilità, vogliamo riconoscerci figli e sempre orientati dalla grande immagine del Cristo Pantocrator del mosaico absidale nella basilica che l’Inno ai Colossesi, meditato e contemplato negli ultimi due incontri, ci ha illustrato. Insieme a Lui diciamo: Padre Nostro.

Oggi sarà un incontro un po’ anomalo, nel senso che mi sono trovato preso tra varie opzioni e alla fine ho fatto una scelta minimalista, come potete vedere dall’unico foglio che vi ho consegnato. In effetti se le cose fossero andate come io avevo pensato, oggi sarebbe stato un incontro di Collatio, cioè di condivisione di quanto appunto tutto l’Exordium della lettera ai Colossesi ci ha presentato, Poi però mi hanno impedito di prepararla bene alcuni bellissimi eventi che abbiamo avuto in comunità: prima l’ordinazione sacerdotale di Don Placido e la sua prima messa, poi la vestizione di Alexander (con la quale per inciso ha assunto il nuovo nome di Dom Gabriele).
So bene che soprattutto la prima collatio costituisce un momento un po’ delicato; ricordo che quando si fece la lectio della lettera agli Ebrei, la prima collatio fu bellissima, ma era stata molto ben preparata. Se questo incontro di condivisione non viene un po’ preparato prima, si corre il rischio che qualcuno proprio non venga perché ha paura di mettersi in gioco o ha qualche difficoltà nel dover ascoltare gli altri oppure può accadere che chi interviene possa parlare sull’onda del proprio sentimento non restando però attinente al tema. Invece nella prima collatio della Lettera agli Ebrei successe proprio il contrario, ognuno dette un contributo a partire dalla propria esperienza. Se la Scrittura parla alla nostra esperienza siamo sicuri di dire qualcosa di originale e di vero che arriva anche agli altri, e questo è molto edificante. Vediamo un pochino se nel nostro prossimo incontro ciò si realizzerà, grazie a voi e al Signore.
Anche coloro che non potessero essere presenti per la distanza o per impossibilità varie, potranno inviare un testo, una preghiera, un’immagine secondo cosa riterranno opportuno, per dare il loro contributo.

Venendo al presente incontro, leggiamo la conclusione del testo dell’Exordium di Colossesi, si tratta di pochi versetti che però hanno un significato di cerniera; infatti, il brano viene chiamato da un punto di vista retorico Partitio, si tratta di Col 1,21- 23.
Questi versetti, da una parte riprendono tutti i temi che abbiamo trattato sino qui, e in questo senso potranno essere anche utili in ordine alla Collatio, e dall’altra anticipano già quello che invece verrà sviluppato abbondantemente nel corpo della lettera.
Leggiamo il testo breve della Partitio.

Col 1 21Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle
opere cattive; 22ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la
morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui;
23purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo,
e del quale io, Paolo, sono diventato ministro.

Come vedete qui abbiamo un primo gruppo di due versetti, 21 e 22, che si riferiscono alla vita dei credenti: “21Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle
opere cattive; 22ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui.”

Salta immediatamente agli occhi la differenza rispetto al testo precedente dell’inno (Col 1,15-20), perché l’oggetto del discorso è passato dalla cristologia: Cristo Signore della creazione e Signore della nuova creazione ovvero della Redenzione, alla soteriologia ossia alla salvezza entrata nella vita di coloro che hanno risposto all’annuncio del Vangelo, in questo caso con una forte sottolineatura tipicamente paolina della contrapposizione tra un prima e un dopo.
L’incontro con Cristo si esplicita, nella vita del credente con il battesimo; quindi, con la configurazione sacramentale a Cristo nell’appartenenza al corpo della Chiesa e sancisce l’ingresso in una vita nuova, partecipe della nuova alleanza in Cristo.
Questa possibilità veniva offerta a tutti, anche ai pagani, ovvero a coloro che a quel tempo erano ritenuti estranei a Dio e all’alleanza di Dio col suo popolo eletto. Questo ci dice anche che, come avevamo anticipato nell’introduzione, la maggioranza dei Colossesi erano provenienti dal paganesimo e non da matrice ebraica.
La sottolineatura della svolta tra un prima e un dopo trova una netta corrispondenza nell’esperienza personale di Paolo, ovvero nella sua conversione avvenuta sulla via di Damasco (cfr At 9, 1-19; 22,5-16; 26,9-18; Gal 1,12-17).
La stessa esperienza accomuna tutti coloro che incontrano il Signore, perché questo incontro determina in loro una conversione, un cambiamento di rotta, una trasformazione profonda della loro visione del mondo e della realtà, e questo può esprimersi in una gamma molto ampia di situazioni esistenziali che suscitano la conversione dall’essere non credenti a diventare credenti, oppure dal passare da un’altra religione al cristianesimo, ma anche ad un ritorno alla fede e alla sequela di Cristo o a un nuovo impegno e missione al servizio esplicito del suo regno.

Tornando al testo, l’autore della lettera non solo sottolinea la condizione di “stranieri” e “nemici” che contraddistingue i pagani, ma anche le conseguenze pratiche nel loro comportamento: le “opere cattive”, che per Paolo comprendono tutto ciò che manifesta una visione mondana, che lui ha stigmatizzato molto bene nella Lettera ai Romani (cfr Rom1, 18-31) e che qui sono menzionate e sottolineate come esempio di superamento positivo da parte dei Colossesi, dopo che hanno accolto il vangelo di Paolo predicato da Epafra. Il loro è un salto di qualità ottenuto per grazia, per l’entrata di Cristo nella loro vita, per la loro partecipazione all’esperienza pasquale di riconciliazione che sposta anche le coordinate delle priorità della vita e come tale non è frutto del solo sforzo umano.
Anche questo primato della grazia, il Paolo della Lettera ai Romani lo mette in evidenza e ne esplicita tutta la portata analizzando il comportamento sia dei pagani che degli Ebrei: questi ultimi, che hanno la legge ma non sono in grado di osservarla, o perlomeno non l’osservano come dovrebbero, incorrono nella condanna della legge, mentre i pagani che, pur avendo la possibilità di arrivare a Dio in realtà non ci sono arrivati scambiando la gloria di Dio con quella delle creature con le conseguenze che abbiamo già visto. Allora Paolo si chiede: “ma perché Dio ha permesso questo?” e risponde: perché nessuno potesse accampare dei diritti davanti a Dio, perché il dono della giustificazione avvenisse grazie alla fede in Cristo, perché tutti fossero salvati per Grazia e non per merito proprio (cfr Rom 1-3).
D’altra parte, la nostra esperienza ci dice che la stessa nostra vita non è una ricerca di auto perfezionamento, ma una sequela di Cristo, un’adesione a Lui, un lasciarci condurre e trasformare dall’azione dello Spirito che crea l’uomo nuovo e conduce produce un perfezionamento nel donarci gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, come dice S. Paolo ai Filippesi (Fil 2,5ss). Ebbene Paolo richiama tutto questo e mostra anche che il centro di ciò che rende tutto possibile è l’opera di riconciliazione, e in questo si reinnesta con quanto aveva scritto nell’ultima parte dell’Inno Cristologico:
Col 1 18Egli è anche il Capo del Corpo della Chiesa, il principio il primogenito di quelli che risorgono dai morti perché sia Lui ad avere il primato su tutte le cose. 19E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza e che per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose”.
L’Inno da una parte sviluppava la portata della mediazione di Cristo addirittura a tutto il cosmo, d’altra parte l’autore si premura di arrivare al concreto della vita dei Colossesi.
L’obiettivo non è una vaga gnosi, non è creare una élite di iniziati, ma favorire l’apertura a un dono che, nel riconoscere la signoria di Cristo, ci abilita a ricevere la riconciliazione, ed è un’opera, quella della riconciliazione, di cui come ben sapete abbiamo continuamente bisogno, a livello personale come a livello comunitario e sociale.
Pensate al senso della Quaresima come tempo di ricentratura in Cristo, di conversione, di rimessa in discussione delle nostre priorità; dare più spazio all’ascolto della parola del Signore, alla preghiera, ricavare tempo attraverso tutta una serie di moderazioni in vari ambiti. Il fine di tutto questo, l’obiettivo, è espresso chiaramente dalla lettera: “presentarvi Santi immacolati e irreprensibili da davanti a Lui”. Gli esegeti discutono se “davanti a lui” si riferisca al Padre o a Cristo; cambia abbastanza poco perché abbiamo visto come spesso nella Lettera ai Colossesi c’è un rafforzamento molto forte del ruolo di Cristo: tutto è riferito a Lui, ma è Dio che fa questo, è il Padre che ci dà il Cristo, e quindi non c’è un antagonismo. L’abbiamo visto quando, proprio all’inizio, prima dell’inno, leggiamo: “E’ lui, Dio, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio e del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati” e a questo punto parte tutta l’espansione cristologica dell’Inno “Egli è l’immagine del Dio invisibile…”.
Come vedete l’iniziativa è un’iniziativa del Padre, in cui il Figlio, è mezzo, strumento, ma anche fine della nostra salvezza e di tutta la creazione, di tutta la realtà che si ricapitola in Lui. Lo dice molto bene in questo la Lettera agli Efesini, dove dice che il fine del Padre, il grande progetto, è ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra (Ef 2,10).
Il fine è di “presentarvi santi immacolati e irreprensibili davanti a Lui” (Col1,22) ed è certamente possibile solo grazie alla redenzione operata da Gesù Cristo. ma questo dono di Cristo, a chi lo accoglie nella fede, produce degli effetti nelle varie relazioni della vita, lo vedremo in dettaglio quando affronteremo il capitolo terzo della lettera.

Già nel ringraziamento all’inizio dell’exordium Paolo aveva menzionato la testimonianza di Epafra evangelizzatore dei Colossesi, in ordine alla loro accoglienza del Vangelo e dell’esercizio di fede, speranza e carità:
Col 1 3Noi rendiamo grazie a Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo continuamente pregando per voi avendo avuto notizia della vostra fede in Cristo e della carità che avete verso tutti i santi4 a causa della speranza che vi attende nei cieli.

Al versetto 23 Paolo esplicita ancora meglio che la condizione necessaria per permanere nel cammino e per raggiungere il fine di essere poi presentati a Dio come immacolati e irreprensibili, è quella di perseverare con fermezza in questa inamovibilità nella fede e nella speranza.
Ma cosa vuol dire essere fermi nella fede?
Può voler dire almeno due cose: da una parte se per fede intendiamo l’atteggiamento di affidamento a Cristo, come prevalentemente troviamo nelle lettere protopaoline, ecco che in qualche modo ci è chiesto di fronte alle difficoltà, alle situazioni o anche alle varie tentazioni della vita, di continuare a fidarci di Gesù e della sua parola, anche quando ci percepiamo nel buio.
Uno dei motivi per cui scelsi la lettera ai Colossesi era proprio perché avevano questo stimolo forte in ordine ad una perseveranza in tempi esigenti e talora scoraggianti.
Per fede possiamo intendere anche il contenuto di verità rivelate che costituiscono il fondamento della visione del mondo e della realtà, è questa l’accezione prevalente proprio nelle lettere deuteropaoline (Colossesi ed Efesini in primis).
In questo secondo significato l’esortazione di Paolo vuole sottolineare la necessità di mantenere viva e salda l’adesione ai contenuti della rivelazione, che ha il suo culmine nell’evento del mistero pasquale di Cristo, e che permettono di avere un senso di orientamento e una centratura nella vita e nella storia oltre quanto l’esperienza empirica ci offre.
Paolo dice nella seconda lettera ai Corinzi che noi siamo fragili come un vaso di coccio ma abbiamo un grande tesoro. Ecco la percezione della ricchezza del dono, della qualità che ci è offerta attraverso questo cibo solido della Scrittura.
Uno degli aspetti più belli della vita monastica benedettina, a mio parere, è l’architettura del tempo ritmata dalla preghiera liturgica e alternata con il lavoro, lo studio, tra parola e silenzio, solitudine relazionata e fraternità discreta. Architettura anche degli spazi che struttura anche il nostro modo di porci nella realtà, quindi fa sì che, e lo vedete anche da come sono fatti i monasteri, dalla ricerca di una espressione che manifesta armonia e bellezza e al contempo è porta del cielo e cantiere di qualificazione dell’umano. Non è solo un cammino interiorizzante, svuotante, per fare spazio ad un Divino che è in noi, ma è qualche cosa che coinvolge, che abita lo spazio e rende anche la nostra stessa realtà sempre richiamo simbolico a qualcosa che c’è già ma che è anche oltre.
Per noi è molto importante questa dimensione del “già”, e la lettera ai Colossesi insieme alla lettera agli Efesini sono molto concentrate sul valore che la vittoria pasquale di Cristo riveste ‘già’ sulla capacità di trasformare e abitare il reale da parte di quanti accolgono e riconoscono il Vangelo.
Tra l’altro questa è l’ultima volta che sentiremo la parola Vangelo in questa lettera perché poi la parola che risuonerà sarà mysterium, il mistero è Cristo offerto a tutti, Cristo che apre la realtà della salvezza in forma universale e la rende possibile a tutti, e Paolo dirà: “il mistero è Cristo in voi speranza della gloria” (Col 1,27).
Per noi penso che sia significativa questa prospettiva perché ci confrontiamo tutti i giorni con situazioni che tendono a corrodere, a destabilizzarci, con esperienze di fragilità e di peccato anche dentro la Chiesa. Proprio oggi leggevo in un articolo l’ennesima situazione grave di un presbitero impegnato con i giovani, non vado oltre, ma sono tutte dimensioni estremamente concrete e capaci di smentire, di pervertire ciò che è fatto per servire il bene in strumento di manipolazione e abuso, con l’effetto devastante verso persone innocenti e di disgregare la nostra fiducia e mettono anche a prova la nostra capacità di investire su ciò in cui crediamo.
D’altra parte, lo stesso Signore ha voluto una chiesa dove ci si aiuta reciprocamente quindi è chiaro che gli scandali fanno male. Il Signore ha parole durissime sugli scandali, su chi scandalizza i piccoli, proprio perché sa benissimo il portato che il male accolto, lì dove invece si deve trasmettere, pur con tutte le proprie fragilità, il bene, diventa particolarmente perverso e distruttivo. Scusate questo riferimento attualizzante ma penso che sia indispensabile.
Non pensiate che all’epoca di Paolo le cose andassero tutte in modo idilliaco: ricordate che Paolo aveva dei grossi problemi con i Corinzi che si dividevano in partiti “Io sono di Paolo, io sono di Apollo, io sono di Cefa, io sono di Cristo”, e lui diceva “ma chi è morto per voi, io, Pietro, Apollo o Cristo?” Ecco perché la sua testimonianza e la sua parola ci aiutano da questo punto di vista, e richiedono un investimento da parte nostra, una pratica, un aumento di risolutezza in ordine sia alla fede che alla Speranza. Siamo chiamati non solo ad avere questa dimensione di Fede, quindi di convinzione dell’amore del Signore, del suo dono totale per noi, ma anche alla comprensione che per noi non è importante solo il cammino, ma importante è anche il traguardo, e un traguardo che supera questa dimensione temporale. D’altra parte, il confronto con la morte è costantemente presente nella nostra esperienza personale e comunitaria, e come tale ci interroga e mette anche in discussione prospettive che non sono in grado di corrispondere alla profondità del desiderio e dell’esigenza dell’animo umano. In questo la confessione della Fede è molto esplicita e molto netta, vincolante in positivo.
La chiesa ce la presenta costantemente e ce la rappresenta nei suoi edifici di culto.
Pensiamo al caso della nostra basilica dove entrando il nostro sguardo trova all’orizzonte la visione del mosaico absidale raffigurante il Cristo Pantocrator, cioè noi siamo orientati verso una speranza teologale, speranza grande, che è la nostra riserva e risorsa per sostenere la fatica anche in tutto quell’impegno che ci coinvolge nelle speranze terrene, che sono sacrosante anch’esse, ma che spesso sono smentite da tutte le situazioni contraddittorie con cui ci dobbiamo confrontarci. A volte sentiamo venir meno le speranze terrene: “noi speravamo”, dicono i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,21); invece, la grande Speranza teologale è quella attraverso la quale troviamo la sorgente e il fine verso cui siamo orientati, lì sì possiamo essere fermi e inamovibili.

Proseguendo nel testo proposto oggi, leggiamo nell’ultimo stico del versetto 23:
“e del quale io Paolo sono diventato ministro”.

Paolo aveva già usato questa parola “ministro” all’inizio nel ringraziamento, per questo vi ho detto che anche questo testo della Partitio fa un po’ una sintesi, ha ripreso l’inno, ha ripreso l’intercessione, ha ripreso anche il ringraziamento, cioè i versetti 3-8, dove fa riferimento sia a Epafra del quale Paolo afferma: “egli è presso di voi un fedele ministro di Cristo”, e Paolo stesso si presenta come ministro, come servo per i fratelli, servo di Cristo.

Questa conclusione del versetto 23, d’altra parte, serve per agganciare la sezione che subito seguirà, perché come vi ho detto questo brano dal punto di vista retorico è denominato Partitio, ovvero un breve testo che elenca già le parti che costituiranno l’argomentazione del discorso, in questo caso il corpo della lettera. E come avevamo visto nella Lettera agli Ebrei, anche qui gli argomenti sono prima annuciati e poi verranno trattati in ordine inverso. Normalmente nella retorica latina succede il contrario, vengono date le indicazioni di cosa si parlerà e poi vengono trattate nello stesso ordine nel corpo dei testi, invece in quella ebraica spesso avviene che i temi vengono presentati e poi vengono svolti a partire dall’ultimo fino al primo.
Nel nostro caso, perciò, abbiamo il seguente schema:

c) vv. 21-22
b) v.23a
a) v. 23b
A) vv. 1,24-2,5 La lotta di Paolo per l’annuncio del mystèrion
B) vv. 2,6-23 La fedeltà al vangelo ricevuto
C) vv. 3,1-4,1 La santità dei credenti

Nel corpo della lettera verrà prima di tutto approfondito il ministero di Paolo che è l’ultimo argomento annunciato, poi si entrerà a vedere perché Paolo dice che bisogna “essere fondati e fermi nella fede e irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato”, quando il testo presenterà quella che spesso viene chiamata “l’eresia di Colosse”, ovvero le varie tentazioni che si presentavano come credenze o prassi che venivano a svuotare il primato di Cristo, propugnando varie forme di osservanze o di ascesi il cui valore verrà confutato da Paolo. Lo vedremo nella seconda parte del corpo della lettera, ma già nel testo esaminato oggi ci viene detto quali sono le condizioni per non essere sviati.
L’ultima parte che sarà trattata corrisponde al primo argomento presentato dai versetti 21 e 22, ovvero le conseguenze per il vissuto dei credenti e le loro relazioni che verranno poi svolte in tutto il capitolo terzo fino al primo versetto del capitolo quarto che conclude il corpo della lettera.

Nel prossimo incontro sarete chiamati voi, se ve la sentite, a riprendere queste grandi tematiche che abbiamo svolto: tutta la dimensione eucaristica, con cui si apriva la lettera, il ringraziamento di Paolo, lui che già addirittura nel saluto augura grazia e pace, l’intercessione di Paolo che seguiva il ringraziamento e nella quale si introduceva il tema della conoscenza, che sarà importante soprattutto nella seconda parte del corpo della lettera, tema che in qualche modo corrisponde alla prerogativa tipica dei Greci affamati di conoscenza, e poi verrà precisato molto bene che la conoscenza in questo caso ha per contenuto il mistero di Cristo e la sua portata su tutta la realtà. Poi avevamo visto anche la sottolineatura forte del disegno di Dio, che è un disegno di redenzione, di riconciliazione, lo abbiamo ritrovato anche oggi nella partitio, e che si esprimeva poi nella grande apertura contemplativa sulla dimensione addirittura cosmica del mistero di Cristo e sulla dimensione universale della Chiesa.
Tutte queste tematiche, le abbiamo trattate e le lascio un po’ a voi in modo tale che su questi temi, nella misura in cui vi hanno toccati o stimolati, o anche messo in discussione, potrete darci un vostro spunto, una vostra domanda o una vostra testimonianza con libertà.

È normale che ognuno di noi quando deve presentare qualcosa agli altri, cerchi di fare una buona figura, ma al di là del nostro desiderio personale di non sfigurare e di essere possibilmente d’aiuto e di stimolo agli altri, in effetti questo nostro ciclo d’incontri vuol essere un laboratorio non una semplice sala di degustazione. Un laboratorio in cui si cerca di vedere se e come lo Spirito Santo agisce oggi facendoci cogliere la Parola di Dio contenuta nella Scrittura.
Vogliamo vedere se effettivamente passa Lui. Se passa Lui e illumina, va a toccare gli aspetti della vita, cioè quelle cose che effettivamente richiedono una parola di Dio. Noi possiamo anche fare un’accademia, oppure chiamare dei grandi teologi ed esegeti a spiegarci e illustrarci i testi, e avremo una crescita di comprensione, di erudizione ma resta scrittura, ci sono teologi atei eppure conoscono e citano la Bibbia benissimo, tanto più che la Bibbia anche per alcuni filosofi non dichiaratamente credenti è ritenuta comunque imprescindibile se si vuol capire la cultura occidentale, però a noi non è questo che interessa principalmente, la nostra è una lettura nella fede.
Questo significa cercare di renderci disponibili, perché nella nostra debolezza, come dice San Paolo, si manifesti la potenza di Dio. Noi siamo a cercare questo e per fare questo l’unico modo è mettersi in gioco, perché al Signore non interessa delle nostre belle o cattive figure, ma piuttosto che ci rendiamo disponibili e concordi, che chiudiamo gli interruttori in modo che la corrente dello Spirito passi e scaldi e illumini. E quando questo accade si vede la differenza.

Paolo ha fatto l’esperienza ad Atene, nel discorso all’Areopago descritto da Luca nel libro degli Atti degli Apostoli, che il suo sforzo di presentarsi con un discorso elaborato, oggi diremmo anche inculturato, citando anche un poeta pagano, interessa gli interlocutori incuriositi ma poi una volta arrivato al contenuto centrale del vangelo, ovvero alla presentazione di Gesù risorto, si è sentito dire dagli intellettuali ateniesi: “Di questo ci parlerai un’altra volta” e per la stragrande maggioranza dei presenti tutto è restato a livello di un confronto di opinioni.
Paolo fa tesoro di questa esperienza e lo esprime molto bene nella prima lettera ai Corinzi, dove afferma di aver patito molta trepidazione quando dopo Atene è andato per la prima volta ad annunciare il Vangelo a Corinto, non basandosi su un discorso di sapienza ma presentando loro: “Cristo e Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede potenza di Dio e Sapienza di Dio”.
Perché io insisto e vi invito con calore al prossimo incontro dove faremo la Collatio? Perché Paolo ci testimonia che dobbiamo metterci in gioco per vedere l’azione dello Spirito.
In realtà quando siamo riuniti nel nome del Signore egli è in mezzo a noi per parlare e agire e noi dobbiamo favorire questo perché, quando passa, da una parte si ha l’esperienza dello stupore, dall’altra parte si verifica che di solito passa attraverso gli altri.
Nella nostra civiltà contemporanea vorremmo la spiritualità senza mediazioni, il contatto diretto con l’Assoluto, ma non funziona quasi mai così, funziona invece spesso attraverso le mediazioni, perché, come ci dice Agostino, così cresce la Carità, perché se uno è raggiunto dal Signore attraverso un altro non solo ama il Signore ma ama anche chi glielo ha mediato e così l’amore si dilata nelle due dimensioni verticale e orizzontale, e ciò fa diminuire anche il rischio di presunzione, perché si capisce che spesso abbiamo delle chiavi che servono agli altri e proprio aprendoci nella condivisione l’altro le riceve e solo lui potrà manifestarmi cosa si è aperto in lui con quelle chiavi. Io aprendomi e condividendo ciò che della Scrittura mi ha toccato, o aiutato o messo in difficoltà in relazione alla mia vita e al mio vissuto, rendo disponibili queste chiavi ai fratelli e il nostro tentativo è di fare un esperimento concreto, ponendoci nelle condizioni che la tradizione della Chiesa ci tramanda e ci raccomanda, per vedere cosa funziona e cosa produce.

Vi consegno un’immagine: oggi pensavo a questo incontro e mi è successa una cosa un po’ strana, che mi ha subito richiamato alla mente l’incontro sul profeta Osea del 2020. Eravamo allora proprio all’inizio del libro, e a partire dalla presentazione di Osea quale figlio di Beerì , trovai che il significato del nome ebraico Beerì è ‘pozzo’, e l’immagine del pozzo fu centrale e il suo richiamo al compito di andare in profondità di ritrovare la sorgente, occupo tutta la riflessione di quella lectio. Tempo un mese ci ritrovammo nel lockdown, tutti chiusi, altro che profondità!
Questa volta invece ho avuto continuamente in mente quest’altra immagine: come se dal terreno venissero fuori 7 getti d’acqua bellissimi, non come il geyser, perché io ho pensato subito a quelli razionalizzando, ma in questo caso non è vapore, è proprio acqua, acqua che esce con una certa pressione e rifrange la luce. Sette getti d’acqua, che mi hanno accompagnato mentre io cercavo di mettere a fuoco il testo da presentarvi, di trovare delle citazioni per voi, mi continuava a venire questa immagine e non riuscivo a spostare l’attenzione, perciò ve la consegno così. Personalmente mi attirava molto questa idea così propulsiva, così verso l’esterno, vitale, luminosa, fresca, scintillante come l’effetto del sole sulle gocce dell’acqua. Oggi mi ha perseguitato bonariamente tutta la giornata quindi ho deciso di giocare stasera anche la carta dell’immagine, non so cosa voglia dire però bella è e quindi penso che possa essere anche per noi qualcosa di stimolante.

Vi devo leggere un po’ di testi. Nel primo mi ci sono così ritrovato, l’ho sentito così vicino. Papa Benedetto dice questa cosa molto bella:
“Paolo non ha operato grazie a una brillante retorica e per mezzo di raffinate strategie, ma impegnando sé stesso in prima persona ed esponendosi per l’annuncio che portava. Anche oggi la Chiesa potrà convincere delle persone solo nella misura in cui coloro che annunciano in suo nome son disposti a lasciarsi ferire. Dove manca la disponibilità a soffrire in prima persona, manca l’argomento decisivo della verità da cui la Chiesa stessa dipende. La sua battaglia sarà sempre e solamente la battaglia di coloro che accettano di sacrificare sé stessi: la battaglia dei martiri” (Papa Benedetto XVI).
Penso che il Papa Benedetto sintetizzi molto bene quanto detto finora e lo vedremo esplicitato ancora meglio nel brano successivo.
Ho voluto poi presentarvi un brano con osservazioni intelligenti, ma con un linguaggio sferzante, fatto per ferire, per colpire. Ascoltando questo testo voi sentite quello che viene presentato tante volte dagli intellettuali, cioè la contrapposizione tra Paolo e Cristo: Gesù ha fatto tutto e poverino l’hanno messo a morte, poi invece è arrivato Paolo, che si è inventato il cristianesimo, e lo ha fatto tutto a modo suo. Da quello che abbiamo detto e da quello che impariamo a conoscere di Paolo ci sembra una lettura faziosa però leggiamo la provocazione
“Alla “buona novella” seguì la peggiore di tutte: quella di Paolo. In Paolo s’incarna il tipo opposto al “messaggero della buona novella”, il genio dell’odio, nella visione dell’odio, nell’inesorabile logica dell’odio. Che cosa non sacrificò all’odio questo disangelista?” Cioè per Nietzsche Paolo perverte il Vangelo, “Innanzi tutto, il Redentore: lo inchiodò alla sua croce”. io ve l’ho messo apposta questo testo perché voi avete ben presente l’Inno ai Colossesi, in cui parla della croce: è quella che salva, è l’elemento di salvezza addirittura universale. “La vita, l’esempio, l’insegnamento, la morte il significato e il diritto dell’intero Vangelo: non esisteva altro che ciò che intendeva nel suo odio questo falsario, ciò che poteva servirgli. Non la realtà, non la verità storica! …E ancora una volta l’istinto sacerdotale dell’ebreo perpetrò l’identico grande crimine contro la storia, cancellò semplicemente lo ieri e l’avantieri del cristianesimo, s’inventò una storia del cristianesimo primitivo. Di più: ancora una volta falsificò la storia d’Israele, così che tale storia potesse apparire come la preistoria dei suoi atti: tutti i profeti hanno parlato del suo “Redentore” …La Chiesa successivamente falsificò persino la storia dell’umanità per farne preistoria del cristianesimo….
(…..) Paolo spostò semplicemente il centro di gravità di tutta quell’esistenza dietro di essa, nella menzogna del Gesù “risorto”. Attenzione, voi pensate a tutto quello che vi sto dicendo da settimane, sviluppando il tema paolino della verità della Risurrezione e il dettato paolino secondo cui “togli la Resurrezione e voi siete i più miserabili di tutti gli altri” perché senza la Resurrezione viene meno tutta la Speranza, perché allora Gesù sarebbe solo la vittima e sarebbe un grande inganno, vedete come la gira il nostro Nietzsche.
“In fondo non poteva assolutamente servirsi della vita del Redentore, aveva bisogno della morte sulla croce e di qualcosa di più (…) Ciò che lui stesso non credeva lo credettero gli idioti tra i quali partorì la sua dottrina. Il potere era il suo bisogno; con Paolo, il sacerdote mirò nuovamente al potere, poteva utilizzare soltanto quei concetti, quegli insegnamenti e quei simboli con cui si tiranneggiano le masse e si formano le greggi. Quale fu l’unica cosa che Maometto più tardi prese in prestito dal cristianesimo? L’invenzione di Paolo, il suo mezzo per istituire una tirannia sacerdotale, per formare il gregge: la fede nell’immortalità, ossia la dottrina del “giudizio”” (Friedrich Nietzsche, tratto da L’Anticristo)

Queste parole, anche se molto forti e provocatorie, toccano tematiche di grande importanza. Questo testo lo metto apposta, da una parte perché dobbiamo essere consapevoli, perché ci sono certi ambienti, ne ho avuto una testimonianza la settimana scorsa, di una persona che in campo medico non ha potuto fare strada perché troppo connotata religiosamente, quindi questa dimensione di ostracismo scende molto dalle cattedre varie, e non a caso il nostro amico Nietzsche mette i medici tra coloro che non sono toccati da questi “idioti” che credono nel falsario Paolo. Sicuramente nella debolezza della mia formazione filosofica non sono in grado di mettere a fuoco bene anche i vari portati sottesi alla critica di Nietzsche, ma mi fa venire in mente un teologo e testimone che accoglie alcune provocazioni ma riguardo a Paolo reagisce al contrario del filosofo. Di fatto Nietzsche sta contestando che Paolo sposta fuori dalla vita la ricchezza del messaggio evangelico, perché centrandolo tutto sul mistero pasquale, e dilatando verso la prospettiva della partecipazione alla vita eterna, in qualche modo deresponsabilizza rispetto alla storia, rende anche il bello, il bene della vita quasi da disprezzare relativizzandolo a quella che il filosofo dichiara essere una “illusione”. Ebbene il teologo e pastore Dietrich Bonhoeffer che non so se abbia letto Nietzsche, può anche essere, era tedesco ed era anche molto colto, ha una funzione critica costruttiva, e afferma che non vuole parlare all’estremità della vita, cioè per i bimbi e le persone quando sono “in faccia alla morte”, ma dice “io voglio un cristianesimo che parli al centro della vita”. Questa è una provocazione positiva, e Bonhoeffer ha parole bellissime su Paolo. “bisogna essere imitatori di Cristo come lo fu Paolo”.
Se ho presentato la voce di chi contesta con veemenza l’Apostolo Paolo, l’ho fatto perché possiamo avere uno stimolo ad approfondire e anche perché il testo tocca un nervo scoperto e non a caso noi abbiamo questo impegno, noi adulti, cioè l’impegno di dover far parlare la nostra fede al centro della nostra vita. Tutte le volte che sottolineo, quando troviamo in qualche passo del Vangelo qualcuno che ricevendo l’annuncio del Signore Gesù viene rialzato, o le guarigioni di Gesù che rimettono in piedi l’uomo, questa dimensione dell’uomo eretto (ma non il Superuomo di Nietzsche ovviamente), è un richiamo al dovere di arrivare a parlare al centro della vita, questo è molto importante, per cui lo getto come anche stimolo; tra di voi ci può essere chi è più ferrato nei temi filosofici e può dare anche un contributo.
Spesso l’intelligenza della fede è nata proprio dal confronto con chi la contestava o ne contestava alcuni aspetti, ecco perché è bene confrontarsi con chi ha un atteggiamento critico e talora sferzante e a nostro pare re fazioso; Nietzsche scrive, all’inizio dell’Anticristo, che non tutti ciò che egli vuol dire. Da qui l’importanza di cogliere “Le ragioni di chi non ha ragione” diceva il compianto Don Paolo Giannoni.
Siccome il nostro Nietzsche ne ha dette peste e corna su San Paolo, allora bilanciamo con una citazione di un ebreo del secolo scorso, il quale invece si esprime anche in maniera molto affettiva, molto bella :

” Ti amo maledetto dai miei fratelli,
sento battere il tuo grande cuore come il mio.
Nei momenti più difficili sei vicino a me,
le opere della mia vita sono della stessa natura delle tue,
simili ai pensieri del tuo spirito sono quelli della mia anima”

Vedete quando le anime si parlano!

Avendo preso sul serio le parole che ci sono state rivolte da Paolo vogliamo rinnovare la nostra fiducia nel Signore, in ordine alla vita e al mondo, così come lo vediamo. E’ molto importante la professione della fede, è molto importante la preghiera voluta, non sono tanto importanti le modalità, no, è l’intenzione forte che ci sta dentro la preghiera, questo sì! Quando siamo stanchi e deconcentrati, non importa, siamo lì magari con solo “frate asino”, come diceva San Francesco riferendosi al corpo, ma siamo lì per il Signore, a nome anche dei nostri fratelli. Guardate questa azione è molto importante. Leggevo oggi che il medico di Papa Francesco, al Policlinico Gemelli, ha rilasciato un’intervista in cui diceva che almeno in due occasioni il Papa sembrava che non ce la facesse, e poi, confortato anche dall’atteggiamento del Papa che alle prese con la fame d’aria gli diceva come fosse “brutto”, il medico con la sua equipe ha giocato il tutto per tutto… però la cosa interessante è che ad un certo punto l’intervistatore un po’ lo pungola, perché lui dice che in quei momenti è successo qualcosa che egli attribuiva alla preghiera di tutto il mondo per il Papa. E l’intervistatore dice: “ma lei crede nella preghiera?” E il medico risponde che c’è anche uno studio scientifico sul dimostra che quando tutti si concentrano nella preghiera per il bene di una persona effettivamente il destinatario ha un beneficio.
Senza la necessità di mettere la scienza come arbitra dell’efficacia della preghiera, accogliamo anche questa testimonianza per evidenziare l’importanza di essere proprio dei praticanti, dei praticanti, non dei “bacia-pile”, ma dei praticanti. La Fede inamovibile. Tenete conto che, se anche nessuno di noi può presumere di avere una fede inamovibile, però funziona il principio di solidarietà, ci si tiene stretti, ci si aiuta, chi è più su sorregge gli altri, ed è molto importante questa coscienza della comunione ecclesiale. Questa è la Chiesa. Ancora una volta, è qualcosa che funziona, qualcosa che ha un effetto, che è reale, non sono illusioni. Allora occorre gente con una fede viva, la si può esprimere secondo la propria sensibilità, secondo la propria storia, ma questa consapevolezza intensa dell’essere davanti al Signore anche quando non sentiamo niente, e insieme ai fratelli, questo per noi è veramente di grandissima importanza ed è importantissimo per il mondo.
Questi sette getti d’acqua devono uscire: sono cinque anni che tutto scorre sottoterra, tutto lo Spirito sta circolando sotto, non che non ci sia, ma è più faticoso vederlo. Bisogna che arrivi il momento in cui si manifesta; per ora tutto sembra andare al rovescio di ciò che reputiamo essenziale per l’umanità: pace, giustizia, fraternità, libertà, cura. Quando sta tutto sotto, in superficie appaiono desolazione e macerie. Ma noi non possiamo e non dobbiamo essere superficiali, veniamo meno al nostro compito, nel momento in cui ci appiattiamo sul fatto che appaiono solo macerie. No! Sotto scorre. Quindi se nel 2020 bisognava cominciare a lavorare per fare i pozzi, per andare a recuperare l’acqua, ora bisogna riaprirli per farla venir fuori. Il Signore ci conceda questo e lo diciamo con tutta la nostra fiducia e il nostro affidamento, rivolti a Colei che per prima ha ascoltato così bene la parola, e la Parola si è fatta carne in lei, Colei che è stata stimolata, provocata in una sua adesione consapevole, una sua adesione libera, in un suo Sì , senza il quale non sarebbe stata possibile la Salvezza, quindi chiediamo anche noi di essere capaci di ascoltare, di mettere insieme le cose, di tenerci saldi anche sotto la croce, per essere anche noi uomini e donne che favoriscono la comunione e quindi anche l’espansione come dice Paolo “ del Vangelo a tutte le creature”.
Ave Maria

Trascrizione a cura di Cecilia Prandi

Condividi sui social