Lectio divina sulla Lettera ai Colossesi: trascrizione del quinto incontro animato il 27 febbraio 2025 da padre Stefano
Lectio divinaSan Miniato al Monte, giovedì 27 febbraio 2025
Lectio Divina sulla Lettera ai Colossesi
V incontro con
Padre Stefano Brina
Preghiera iniziale
Padre Santo che ci hai dato il tuo Figlio amato, in cui hai posto il tuo compiacimento, come luce del mondo che ci libera dal potere delle tenebre e ci accoglie nel regno del suo amore, a te presentiamo il nostro desiderio di guardare a Lui e di contemplarlo attraverso l’ascolto della Scrittura. Effondi il tuo Santo Spirito perché possiamo riconoscere in Lui la nostra origine e il nostro capo e ricevere la sua pace.
Ti ringraziamo o Padre per il dono totale che il tuo Figlio ha fatto di sé offrendo il suo sangue sulla croce per rappacificare tutte le cose sulla terra e nei cieli. A te Signore Gesù vogliamo consegnare la nostra fatica e lo smarrimento nel constatare quanto le tenebre sono ancora fitte, il mondo è lontano dalla pace e gli uomini dalla riconciliazione col creato, con sé stessi, tra di loro e con te.
Rinnova o Padre l’effusione del tuo Spirito perché possiamo credere più fermamente alla buona notizia della Risurrezione del tuo Figlio e al trionfo del tuo amore che vince il male e la morte per noi.
Questo amore indefettibile fonda la nostra speranza, possa rinnovare il nostro zelo e l’impegno per vivere fin da ora da risorti con Cristo, da figli e fratelli, artigiani di pace. Amen
Chiediamo anche la preziosa intercessione della Beata Vergine Maria, per essere anche noi capaci di un ascolto che possa essere fecondo, per generare frutti nella vita, non solo per noi, ma anche per tutti i nostri fratelli.
Ave o Maria.
Col 1,15-20
15Egli è immagine (eiì”òçà°èé`kw.n) del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16perché in lui (en autw/|) furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui (di’’ì’auàòèéç°”£`tou/) e in vista di lui (ei`j au`to.n).
17Egli è prima (pro.) di tutte le cose
e tutte in lui (en autw/|) sussistono.
18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio (a“rch/),
primogenito [di quelli che risorgono] dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
19Perché in lui (en autw/|) è piaciuto [a Dio]
che abiti tutta la pienezza (plh,rwma)
20e per mezzo di lui (di’’ì’auàòèéç°”£`tou/) e in vista di lui (ei`j au`to.n)
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Nell’ultimo incontro avevamo messo in evidenza il primato che il Signore Gesù, il Figlio, ha su tutto l’ordine della creazione. Abbiamo fatto anche delle digressioni significative che ci hanno consentito di mettere in evidenza il valore antropologico di questa rivelazione del Figlio, come ben evidenziato dalla lettura di Gaudium et Spes 22, dove si afferma che è solo in Gesù Cristo che l’uomo viene rivelato pienamente a se stesso nella sua dignità di Figlio di Dio, quindi nel valore anche della sua persona, e come tale da questo discendono tutta una serie di portati, di significati e di prospettive che la tradizione cristiana ha messo bene in evidenza, e che costituiscono la base di tutti quelli che sono considerati i diritti umani della persona. L’altra volta abbiamo riconosciuta poi la matrice sapienziale di questa prima parte del testo (Col 1,15-17), cioè il fatto che c’erano dei testi nell’Antico Testamento, particolarmente nei libri sapienziali dei Proverbi e della Sapienza, che avevano elaborato il lessico che poi ritroviamo nel testo innico di Colossesi, per esprimere questo sviluppo di comprensione del valore del ruolo di Cristo, non solo come Salvatore dell’umanità, ma addirittura come Signore del cosmo.
Avevamo visto anche la particolare tonalità che viene data dall’autore di Colossesi per posizionare in modo specifico Gesù Cristo sopra tutte quelle potenze anche spirituali che costituiscono in qualche modo la grande tentazione dei destinatari della lettera, e qualche volta anche la nostra, cioè forze che in qualche modo bisogna ingraziarsi. In modo particolare però il guadagno di questo testo è nello sguardo sul valore, sulla grandezza del mistero di Gesù Cristo, e sul suo ruolo, non solo di immagine di Dio, ma anche di primogenito della creazione; abbiamo precisato che primogenito della creazione non significa che è il numero uno di tutti gli enti creati, ma che è un primogenito anche di qualità, quindi sta fuori della creazione. D’altra parte questa cosa viene esplicitata dal testo stesso, affermando che egli è anche la causa strumentale della creazione stessa, in Lui e per mezzo di Lui sono create tutte le cose, e questo abbiamo detto che lo trovavamo già nei testi sapienziali in cui veniva in qualche modo personificata la Sapienza, e venivano attribuiti a lei questi titoli, di colei che stava davanti a Dio mentre Egli creava tutto, colei che è l’architetto attraverso il quale Lui tutto creava, però mai viene dato un valore di causa finale alla Sapienza che ovviamente è una personificazione dell’azione di Dio, visto che siamo in un contesto ebraico. Di Gesù Cristo invece si afferma che in vista di lui tutto è stato creato, Gesù Cristo è il compimento di tutte le cose, Egli è prima di tutte le cose e in Lui tutte sussistono; la bellezza di questo sta nel fatto che non solo in qualche modo il Verbo, che poi è anche il Cristo, il Verbo incarnato che è anche il risorto, sta all’origine di tutta la creazione nell’atto creativo, ma è anche colui che permette alla creazione di sussistere, di continuare ad esistere, la famosa “creatio continuata” di cui parlano anche i Padri. Ebbene qui eravamo arrivati.
Abbiamo un testo del teologo Bernard Rey che in qualche modo ci ribalta la prospettiva, in effetti è dall’esperienza pasquale che si sviluppò la comprensione della realtà di Gesù Cristo fino a coglierne la sua portata di Signore del cosmo, non è da un mito fondatore che si fa derivare la vicenda storica della Chiesa, ma è dalla storia e dai testimoni di questa storia concreta della vicenda di Gesù di Nazareth, che a seguito dell’esperienza drammatica della sua morte in croce e dell’eccedenza di vedere successivamente Cristo Risorto e vivente, che fa sì che gli apostoli si interroghino sulla realtà di Cristo e mano a mano si sviluppi sempre di più la comprensione. Molto sinteticamente il nostro Bernard Rey dice:
“È stata la fede nella redenzione che ha fatto apparire Cristo come detentore di un diritto sul mondo, ed ha condotto a pensare che questo diritto egli lo esercitasse da tutta l’eternità. Sul suo volto umano glorificato gli apostoli hanno contemplato la gloria del Dio invisibile; e così hanno compreso che questo Figlio, in cui essi avevano “la remissione dei peccati” non era soltanto il primogenito di tra i morti, ma anche il primogenito di ogni creatura, il Figlio del Padre, lo specchio della sua eccellenza; colui nel quale essi avevano incontrato il Dio invisibile, ha potuto donare loro questo Dio, proprio perché era suo Figlio, la sua immagine, il suo dono.”
Ovviamente questi testi ci sono dati, da una parte per avere un’intelligenza della rivelazione, dall’altra per gustare, mediante la fede, il rapporto vivo con il signore Gesù che è risorto, che è il primogenito, ed è anche il compimento di tutta la creazione.
Questo ha una conseguenza sul nostro modo di rapportarci alla storia; vorrei dire in qualche modo, come credenti e come credenti in Cristo in particolare, noi siamo nella condizione di tenere insieme e di leggere insieme la realtà storica con la dimensione escatologica, cioè la dimensione del suo compimento, ma attenzione, il portato e il valore di un testo come quello della lettera ai Colossesi è di esaltare l’effetto che l’escatologia già realizzata nel Signore Gesù (Lui è già l’uomo compiuto, già l’umanità portata a sedere alla destra di Dio unita e divinizzata) ha su tutto il percorso della storia.
Lo dice molto bene al riguardo Papa Francesco nella sua lettera Laudato sì (il primo testo magisteriale sull’ecologia): “99. Secondo la comprensione cristiana della re¬altà, il destino dell’intera creazione passa attraver¬so il mistero di Cristo, che è presente fin dall’ori¬gine: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Parola divina (Logos). Ma questo prologo sorprende per la sua affermazio¬ne che questa Parola «si fece carne» (Gv 1,14). Una Persona della Trinità si è inserita nel cosmo creato, condividendone il destino fino alla croce. Dall’inizio del mondo, ma in modo particolare a partire dall’incarnazione, il mistero di Cristo ope¬ra in modo nascosto nell’insieme della realtà na¬turale, senza per questo ledere la sua autonomia. 100. Il Nuovo Testamento non solo ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo. Lo mostra anche ri¬sorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale: «È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20). Questo ci pro¬ietta alla fine dei tempi, quando il Figlio conse-gnerà al Padre tutte le cose, così che «Dio sia tut¬to in tutti» (1 Cor 15,28). In tal modo, le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un de¬stino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa.”
Certamente questi numeri hanno una funzione sintetica e contemplativa, e sono preceduti da analisi dettagliate su tutte le problematiche ambientali e Papa Francesco non manca di calare nel concreto della realtà il portato della visione cristiana, se siete interessati potete leggere l’enciclica e ricavarne indicazioni importanti sulle sfide e le responsabilità dell’uomo verso la creazione. Vorrei anche sottolineare questa giusta considerazione del Papa, che tutto quanto riguarda l’azione del mistero del Cristo risorto, nella realtà di tutta la creazione, non inficia l’autonomia della realtà naturale.
Torniamo al testo di Colossesi.
1 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio (a“rch/), primogenito [di quelli che risorgono] dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
Facciamo innanzitutto un’osservazione sull’affermazione “capo del corpo”: qui c’è un’evoluzione importante. Che la Chiesa sia assimilata a un corpo non è una novità, Paolo aveva già utilizzato questa metafora nella lettera ai Romani e nella prima lettera ai Corinzi.
Fra l’altro c’è anche un antecedente romano nell’apologo di Menenio Agrippa che usa la metafora del corpo, addirittura per risolvere una contesa fra patrizi e plebei, quando paragona lo stato al corpo, e dice che lo stomaco non lavora solo per sé stesso, ma se le altre membra non gli forniscono il nutrimento egli non riesce a dare energia a tutto il corpo. L’effetto di questa bella metafora, utilizzata per sottolineare la rilevanza di tutti gli elementi che compongono lo stato e quindi anche dei plebei che si erano rivoltati e accampando pur giusti diritti si erano ritirati sul Monte Santo, avrebbe avuto ripercussioni anche su di loro. Lui riesce a ricomporre la contesa e fra l’altro alla fine i plebei otterranno il riconoscimento del diritto ad avere i tribuni della plebe. Siamo attorno alla metà del V sec. a.C.
Paolo riprende la metafora in particolare scrivendo ai Corinzi nella prima lettera, dove ha dovuto affrontare alcuni problemi concreti: da una parte divisioni e fazioni dovute alla tendenza a schierarsi col tale o talaltro apostolo, poi problemi nelle adunanze dove i ricchi arrivavano prima e cominciavano a mangiare senza aspettare i poveri che tendevano a tardare a causa degli impegni di lavoro.
Paolo perciò afferma:
1Cor 12 12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. (…) 27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra.
È un’esortazione a rispettarsi, pur nelle diversità.
Leggiamo in Rom 12: 4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri.
Vedete affermato il principio di solidarietà nella Chiesa, questo è molto bello.
Il nostro testo nell’inno ai Colossesi, e ancora più successivamente nel corpo della Lettera, sposta l’attenzione dalla Chiesa a Cristo, leggiamo in Col 2: 9È in lui (Cristo) che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza.
Al cap. 1 della lettera agli Efesini, che è in sintonia con quella ai Colossesi, leggiamo:
22Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: 23essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Colossesi ed Efesini concentrano l’attenzione su Cristo come capo, non tanto nel senso di ‘testa’, ovvero membro del corpo, ma nel senso di colui che ha l’autorità; è Lui che dà alla Chiesa tutte le energie, quindi a tutte le membra della Chiesa, a ciascun fedele. Ognuno riceve da Lui la partecipazione alla sua figliolanza divina e quindi diviene fratello di tutti gli altri membri.
Una seconda osservazione riguarda il concetto di Chiesa, qui non si fa riferimento semplicemente alla chiesa che è in Colossi, come nelle protopaoline si faceva riferimento alla chiesa che è in Corinto, o alla chiesa che è in Tessalonica, cioè le chiese locali che erano realtà abbastanza piccole, ma ora si parla della Chiesa tutta, cioè della Chiesa universale. Questo sguardo complessivo, che le lettere ai Colossesi e agli Efesini rivelano, manifesta la dimensione universalistica della Chiesa stessa e l’autocoscienza di una Chiesa universale in Paolo e nei suoi discepoli.
Dopo l’espressione “capo della Chiesa” troviamo: “egli è principio”. Il termine “principio” in assenza dell’articolo ‘il’ non è da intendere come ‘il principio assoluto’ che è il Padre, ma come fondamento.
Nel verso successivo ritroviamo la parola “primogenito”, ma mentre al v. 15 era scritto “primogenito di tutta la creazione”, qui la traduzione letterale è: “primogenito dai morti” (le parole tra parentesi quadrate indicano che nella maggior parte dei manoscritti non sono presenti).
Perciò in questo caso primogenito vuol dire che è il primo, è l’inizio della nuova creazione, è proprio il primo cronologicamente; possiamo metterlo in consonanza con il testo paolino di 1 Corinzi 15, dove si dice che Cristo risorto è la “primizia, lui è il primo, la primizia, dopo di lui, verremo tutti quanti”, cioè il destino di tutti i fedeli è di partecipare della risurrezione di Cristo, della sua vittoria sulla morte.
Questo dato della fede, stando a San Paolo è un punto capitale, imprescindibile, e nonostante tutto troverete fior fiore di teologi, o presunti tali, che mettono in discussione addirittura la Risurrezione.
Noi presentiamo i testi che fondano e normano la nostra fede, ma non ce li siamo inventati noi. Paolo dice che se non crediamo alla Resurrezione siamo più disgraziati di tutti e allora “mangiamo e beviamo che domani moriremo”, come dice il carpe diem di romana memoria. Ma noi invece crediamo alla fede apostolica centrata sul mistero pasquale.
Ecco perché parliamo di una escatologia che in qualche modo ha un riverbero sulla visione della realtà. Se togli la destinazione ultima, che non è il nulla ma è la partecipazione alla pienezza della figliolanza divina e anche il compimento della giustizia, se togli questa prospettiva, cosa resta? Un prometeico approccio alla realtà? O quello di un Sisifo che persevera nonostante tutto vada sempre a rotoli e mai niente si risolva? Da uno sguardo solo orizzontale può venire anche questo genere di approcci, o al peggio prevale “la legge del più forte” e un approccio nichilista e disilluso: “sarebbe bello che le cose avessero un fine bello e buono ma non è così, non è vero, per cui cerchiamo di sopravvivere e conquistarci un posto al sole senza pretese ulteriori e proteggendoci dagli altri.”
Ma attenzione, noi non possiamo accontentarci di una spiritualità evanescente, che si riduce a pratiche e tecniche che servono a dare un po’ di benessere psicofisico individuale, che promettono una vaga contemplazione, una capacità di maggiore attenzione, di consapevolezza rispettosa e via dicendo, quando poi tutto l’imperativo etico, spesso e volentieri, va a farsi benedire. E’ vero che anche noi cristiani siamo sempre a rischio, in questo sono d’accordo, però diciamo che un’impostazione biblica ben fondata, che offre una connessione strettissima fra antropologia, visione dell’uomo, escatologia, destinazione dell’uomo, fine dell’uomo, quindi incarnazione e impegno etico, (e tutto questo ovviamente nel nostro caso si connette proprio a Cristo in un rapporto vivo e vivificante col Cristo vivente), ha una qualità e una consistenza per cui vale la pena vivere e donare la vita.
Spesso riscontriamo una grossa difficoltà in ordine alla mediazione: quando si sente dire, anche da intellettuali, “Cristo sì, la Chiesa no”, certe volte se ne comprende la ragione, perché la mediazione è talmente asfittica o povera e deturpata dal peccato personale dei testimoni, che in qualche modo viene spontaneo il dubbio che forse è meglio fare da soli. Si possono capire i casi singoli, le situazioni singole, ma un conto è il rispetto per la storia e la coscienza individuale e un conto è l’impostazione di fondo. Potete capire Paolo senza la Chiesa, dal momento che la Chiesa è il corpo di Cristo?
In anni recenti abbiamo fatto la Lectio Divina di tutta la Lettera agli ebrei, dove il Vangelo è riletto mettendo in evidenza la mediazione sacerdotale di Cristo, che è il vero ponte, avendo assunto tutta la realtà, perfino la sofferenza dell’uomo fino in fondo, e che nello stesso tempo è arrivato fino al cielo, cioè a connettere tutto alla sua destinazione ultima, e quindi come tale è l’ancora della nostra speranza, che ci permette di avere una traiettoria sicura.
Si comprendono perciò le difficoltà, tutti le abbiamo in vari momenti della nostra esperienza, ma quanto tutto acquista senso quando si comincia ad entrare in una dimensione di spiritualità che si nutre della Scrittura, che vive l’esperienza della liturgia, con tutta la sua bellezza, non come ‘teatrino’ ma come una grande architettura capace di collocare la realtà esaltandone tutto il suo valore, quando si entra in una esperienza della vita che nelle sue dimensioni di gioia e di sofferenza, è sempre comunque connessione al mistero da una parte della redenzione, e dall’altra parte c’è un anticipo sempre nella nostra esperienza concreta o di fraternità, o personale, alla gloria, un anticipo che è sempre parziale, ma che rimanda ad un compimento definitivo.
1 18bprimogenito [di quelli che risorgono] dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose
Perché è stato dato a lui il primato di tutte le cose? Perché a Dio è piaciuto così. È così bello poter contemplare tutte le volte che si può che Dio Padre è libero! A volte di fronte alle cose che vanno male ci viene da pensare: “Signore perché tardi? Perché non intervieni? … A fronte di quanto è costata a te la Redenzione non potremmo avere degli effetti concreti più visibili?”
Non so se voi talora nella vostra preghiera personale vi esprimiate così, a me capita di farlo e i Salmi educano ad esprimere tali sentimenti nella preghiera.
Quando ero in Terra Santa mi sono trovato dopo 5 giorni a vivere le conseguenze del terribile e infame massacro del 7 ottobre, con le sirene di allarme e i razzi che arrivavano e poi la terrificante risposta israeliana con il costante rombo dei bombardieri che sorvolavano il monastero per andare a scaricare il loro contenuto di morte e distruzione sulla Striscia di Gaza. Avevo la percezione che tutto era terribilmente iniquo e che l’umanità non poteva che uscirne sconfitta, potete dunque immaginare il grido silenzioso e le lacrime consegnate al Signore.
Come dicevo, i Salmi ci insegnano a lamentarci, a supplicare e anche ad arrabbiarci davanti a Dio, ma poi l’importante è lasciare fare a Lui che è il primo ad essere libero; anche Cristo disceso agli inferi e Risorto è detto “libero fra i morti”. La presenza orante in quel contesto così chiuso mi ha fatto cogliere anche quanto il Signore ci doni di essere profezia di speranza per tutti.
1 19Perché in lui (en autw/|) è piaciuto [a Dio] che abiti tutta la pienezza (plh,rwma)
Viene alla mente la scena del battesimo di Gesù in cui si squarciano i cieli, appare lo Spirito Santo in forma di colomba e la voce del Padre dice: “Questo è il Figlio mio, colui nel quale mi sono compiaciuto”, in cui ho posto il mio compiacimento, la mia eudochìa.
Ecco, il Padre ha fatto questo. Per noi, semplici e limitate creature quali siamo, è bello essere chiamati dentro a questa dimensione amorosa, che forse la poesia riesce a raggiungere e intercettare e che il meglio dell’uomo riesce a cogliere.
1 20e per mezzo di lui (di’’ì’auàòèéç°”£`tou/) e in vista di lui (ei`j au`to.n)
Queste espressioni sottolineate si trovano sia nell’ordine della creazione (v.16), sia nell’ordine della nuova creazione, della redenzione, ma non è che tutte le cose sono riconciliate così a prescindere.
Qual è l’aggancio reale forte? Il sangue di Gesù versato sulla croce.
Paolo aveva sviluppato il tema della redenzione nella Lettera ai Romani. In Rom 3 leggiamo:
“23Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. 25È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 26mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù.”
Testo complesso, ma in cui Paolo sottolinea: noi siamo salvi per la fede in Gesù, non per l’osservanza delle pratiche della Legge, non perché facciamo cose noi, ma perché Lui ci ha salvato. Attraverso la fede noi aderiamo a Lui e poi, partecipando della grazia, della figliolanza che Lui ci dà, diventiamo nuove creature e siamo implicati in tutto un cammino di rigenerazione che la Lettera ai Romani poi salda ancora una volta con tutta la Creazione quando al cap.8 dice:
“Tutta la Creazione geme e soffre, come nelle doglie del parto, in attesa della piena rivelazione del Figlio di Dio”.
Quindi vedete come, soprattutto nel primo Paolo, è evidenziato il ruolo fondamentale di Gesù. Quando voi leggete o vi interfacciate con il mondo della Riforma, con i Protestanti, vi accorgete subito che fanno della giustificazione per fede il caposaldo della loro confessione e lo mettono in evidenza assoluta. Nell’esperienza cattolica tutto è un pochino più articolato, però il primato di Cristo in ordine alla Salvezza e alla possibilità di realizzazione di tutti gli uomini ha un valore fortissimo.
Nel nostro Inno ai Colossesi voi vedete che un’esperienza singolare, collocata dentro l’esperienza dell’umanità, quindi molto circoscritta, è messa in parallelo con il valore di tutta la Creazione. Cristo presiede a tutta la Creazione, la mantiene in esistenza e nello stesso tempo è Lui che la salva, è Lui che permette la Nuova Creazione, il compimento di tutto quello che l’attuale Creazione, segnata dall’esperienza del male e del peccato, in effetti disdice rispetto alle attese e al progetto di Dio e anche a quel progetto di Dio che è stato inserito come desiderio nel profondo di tutte le creature dotate di intelletto.
A conclusione vorrei offrirvi un esempio di applicazione di questo testo della lettera ai Colossesi presente nella esortazione apostolica di inizio pontificato di Papa Francesco, Evangeli Gaudium, il suo testo programmatico, in relazione al tema della dimensione conflittuale che sta dentro l’esperienza umana.
Mi interessa questo aggancio forte, di come la visione e la fede nella potenza riconciliatrice della Passione del Signore Gesù ha informato poi tutta l’azione dei suoi discepoli e come questa ci dà anche una possibilità di avere dei criteri, dei punti di vista e di azione per orientarci in una storia che continua ad essere funestata da conflitti.
In EG il Papa scrive: “226 Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà. 227 Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9) 228 In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto.
229 Questo criterio evangelico ci ricorda che Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società. Il segno distintivo di questa unità e riconciliazione di tutto in Sé è la pace. Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14). L’annuncio evangelico inizia sempre con il saluto di pace, e la pace corona e cementa in ogni momento le relazioni tra i discepoli. La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo «pacificato con il sangue della sua croce» (Col 1,20). Ma se andiamo a fondo in questi testi biblici, scopriremo che il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacificazione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica. Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale.
230. L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto in una nuova, promettente sintesi. La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”, come ben insegnarono i Vescovi del Congo: «La diversità delle nostre etnie è una ricchezza […] Solo con l’unità, con la conversione dei cuori e con la riconciliazione potremo far avanzare il nostro Paese»”
Prima di vedere l’altro come un nemico, leggere che è un mio simile, Paolo direbbe leggere che è uno per cui Cristo è morto, quindi mio fratello.
“Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia”
Un tale principio oggi è messo in grave difficoltà e credo che soprattutto le generazioni giovani dovranno veramente affrontare il problema dell’individualismo molto forte e quello della difficoltà nelle relazioni che ovviamente hanno un carico importante e rendono spesso impossibile vivere questa dimensione. Altro che amicizia sociale!
Noi dobbiamo di nuovo caricarci del portato della sfida dei tempi, in modo da farlo diventare uno stile di costruzione della storia, “un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo”, ossia cercare una sorta di minimo comune denominatore, farci andar bene tutto, eliminare il crocifisso perché così si sentono tutti a posto, o non parlare del presepio nelle scuole perché le scuole sono laiche.
I presupposti laicisti possono avere delle ragioni storiche, ma nello specifico sterilizzano la vita e svuotano i simboli della loro realtà, rendendo sempre più difficile avere accesso alla tradizione vivente con la sua capacità di diventare significativa e orientare le scelte nella storia, in cui invece occorre integrare la differenza, senza far finta di non vederla, affrontandone le difficoltà, anche con un certo realismo e impegno, ma fondando e lavorando, lasciandoci convertire, dentro il nostro cuore, per poter essere capaci di accogliere la provocazione evangelica, nel riconoscere l’altro nella sua dignità prima di tutto.
Credere in questo non significa puntare al sincretismo “né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto”.
Il Papa dà degli input e poi ognuno nel proprio contesto provi ad usare questo terzo metodo.
“Questo criterio evangelico ci ricorda che Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società. Il segno distintivo di questa unità e riconciliazione di tutto in Sé è la pace. Cristo “è la nostra pace (Ef 2,14). L’annuncio evangelico inizia sempre con il saluto di pace”. Anche Paolo nella Lettera ai Colossesi diceva “grazia e pace”.
“e la pace corona e cementa in ogni momento le relazioni tra i discepoli. La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo “pacificato con il sangue della sua croce” (Col 1,20). Ma se andiamo a fondo in questi testi biblici, scopriremo che il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacificazione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica. Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale”.
Quindi capite anche il principio costante che la trasformazione parte dalla conversione personale all’Amore di Dio, e che è l’Amore che sana, il sangue del Signore in questo caso, quindi essere amati personalmente, un’esperienza rigenerante, perché il Signore ci comunica la sua vita, e questo significa mettere in luce le varie ombre che ci sono in noi, però dare spazio anche agli elementi che noi non vorremmo, san Paolo ne fa l’esperienza personale: avevo una spina nella carne, tre volte ho chiesto che mi venisse tolta, e il Signore mi ha detto “Paolo ti basta la mia grazia, la mia potenza si manifesta nella tua debolezza.“ La debolezza chiama solidarietà.
“L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto in una nuova, promettente sintesi. La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”, come ben insegnarono i Vescovi del Congo:” La diversità delle nostre etnie è una ricchezza (…) Solo con l’unità, con la conversione dei cuori e con la riconciliazione potremo far avanzare il nostro Paese”.
Vi ho lasciato la citazione dei Vescovi del Congo, perché in Congo c’è la guerra, che si è ulteriormente acutizzata. Un altro nome di quella guerra è la Guerra del Cobalto, se non sono terre rare di qua son terre rare di là, siamo sempre a fare i conti con interessi predatori. I Vescovi del Congo quindi dicono: la diversità delle nostre etnie, è una ricchezza, solo con l’unità, con la conversione dei cuori, con la riconciliazione potremo far avanzare il nostro Paese. Ho cercato di dare anche questo testo un pochino più calato sull’esperienza del reale, anche se è ovviamente sempre un testo di sguardo, di prospettiva, perché mi preme tantissimo questa unione; da una parte noi contempliamo la bellezza ed entriamo nella bellezza del mistero di Cristo, ma poi ci lasciamo informare attraverso lo Spirito di tutte queste potenzialità, di questi orientamenti che un tale dono, una tale fiducia ci permette di avere. Altrimenti se guardiamo sempre solo le situazioni, noi che siamo deboli e piccoli, rischiamo di chiuderci, di sentirci irrilevanti, quindi di non fare in realtà quello che liberati e semplicemente nella sequela di Cristo, possiamo fare.
Ecco allora che vi rinnovo l’augurio contenuto nel brano dell’Abate Isacco della Stella: “In te cresca il Figlio di Dio, già formato in te, finché divenga, per te e in te, senza misura; vi sarà allora riso, esultanza e gioia totale, che nessuno ti potrà togliere”.
Nella nostra preghiera di conclusione, corroborati dal saperci amati e anche custoditi dal Signore Gesù, che è Signore della Creazione ma Signore anche della Nuova Creazione e della Redenzione, che non si risparmia per ciascuno di noi, vogliamo affidargli le nostre intenzioni di preghiera.
Padre nostro
Trascrizione a cura di Cecilia Prandi