Invito alla «lectio divina»: il profeta Osea. La sintesi dell’incontro del 30 gennaio 2020 guidato da padre Stefano

Invito alla «lectio divina»: il profeta Osea. La sintesi dell’incontro del 30 gennaio 2020 guidato da padre Stefano

Lectio divina

San Miniato al Monte
Lectio Divina
Il profeta Osea – Introduzione (Os 1,1)
30 gennaio 2020

Struttura del libro del profeta Osea:
Introduzione (1,1)
I parte (Os 1-3)
II parte (Os 4-14,9)
Conclusione (14,10)
Introduzione (Os 1,1)
Os 1 1Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di
Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di
Ioas, re d’Israele.
Preghiera iniziale
Vogliamo chiederti, Signore, il dono dello Spirito Santo, quel dono che non solo penetrò nella storia, raggiungendo il cuore dei profeti, ma continuò anche a presiedere il lungo processo di elaborazione e di codificazione dei testi, fino a farli giungere a noi. Fa’ che questa esperienza di fuoco dei profeti scrittori che ha incendiato Israele per un numero importante, seppure circoscritto, di secoli, possa continuamente divampare come fuoco dello Spirito che ci raccoglie, ci riorienta, fa luce, purifica, rinnova e ci porta alla luce di Cristo, ci conduce alla comunione con Lui, ad essere veramente quel corpo di cui Lui è capo.
Diciamo insieme: Padre nostro… Amen
Lectio
Oggi dovete avere un po’ di pazienza, perché devo dare un’impostazione didattica alla lectio, anche se è opportuno tenere presente che tutto quello che vi dirò non ha un grado di certezza assoluta, dato che, quando si fa riferimento a notizie storiche (specialmente risalenti ad epoche piuttosto lontane), queste necessariamente hanno una certezza relativa, dal momento che, se vengono alla luce nuovi reperti o documenti, alcuni dati devono obbligatoriamente essere messi in discussione.
Nel foglio che ho distribuito (si veda pagina iniziale) c’è un’immagina presa da Wikipedia: è una cartina che mostra la situazione politica della Palestina nel IX sec. a. C., una situazione, dunque, non molto diversa da quella dell’VIII sec., quando il nostro profeta svolge la sua attività. Poiché nel testo si parlerà spesso di popoli e nazioni (anche se non all’inizio, ma da un certo punto in poi), avere davanti un quadro geopolitico del territorio di cui si parla, è necessario.
Se leggiamo lo schema presente nel foglio che vi ho distribuito (si veda seconda pagina), ci accorgiamo di un dato che dobbiamo tenere presente, dovendoci avvicinare ad un testo biblico: la Bibbia non è una sola, non soltanto perché esistono più versioni, ma perché ci sono fondamentalmente due Bibbie, due testi diversi che si chiamano Bibbia: una è la Bibbia ebraica e l’altra è la Bibbia cristiana; in mezzo a queste due Bibbie, c’è una versione della Bibbia che la comunità di Alessandria d’Egitto tradusse dall’ebraico in greco. Non si tratta, però, di una pura e semplice traduzione da una lingua ad un’altra, ma di una operazione più complessa, come si comprende dallo schema che leggete. Dobbiamo sapere tutto ciò, perché, solo per fare un cenno generico, noi cristiani leggiamo il nostro Antico Testamento con alcune mediazioni che traiamo dalla Bibbia ebraica, ma quest’ultima non è esattamente uguale al nostro Antico Testamento.
Guardiamo, allora, lo schema che ho redatto io, consultando il testo, citato in nota, di Piero Stefani, noto esperto di ebraismo e della Bibbia.
● La Bibbia ebraica (chiamata, nel suo insieme, TaNaK), è composta da tre parti: Torah (Legge): Ta; Nevihim (Profeti): Na; Ketuvim (Scritti): K: da qui il nome TaNaK.
Nella colonna di sinistra sono indicati i testi di cui si compone ciascuna di queste tre parti.
Nella Bibbia ebraica laTorah ha un posto fondamentale, confrontabile con il ruolo che per noi cristiani rivestono i Vangeli.
I primi cinque libri della Bibbia ebraica (la Torah) sono fondamentali perché lì sono condensati i caposaldi dell’alleanza stretta sul Sinai, il decalogo e i famosi 613 precetti (presi dalla tradizione orale ebraica) che costituiscono la sintesi di tutto ciò che si deve osservare per essere fedeli a Dio. Gli altri libri della Bibbia ebraica, che seguono la Torah, sono importanti, sono ritenuti sacri, sono stati riconosciuti come libri “canonici”, ossia frutto della rivelazione di Dio, ma non hanno la medesima importanza della Torah, anzi la loro importanza decresce man mano che ci si allontana dalla Torah stessa.
Da questo punto di vista, in generale, il ruolo dei profeti è meno fondamentale nell’ambito della religione ebraica, rispetto a quanto non lo sia nella religione cristiana (anche se questa affermazione andrebbe precisata e circostanziata, perché l’ebraismo non è monolitico).
Gli ebrei di Alessandria d’Egitto (III sec. a.C.), grandissima metropoli dell’antichità, città ellenizzata, dove predominava la cultura greca, sentono la necessità di tradurre la Bibbia in greco.
Esiste una bellissima leggenda contenuta nella Lettera di Aristea, secondo la quale il re Tolomeo II Filadelfo, chiamati settantadue scribi, fa tradurre a ciascuno di loro, indipendentemente, la Bibbia ebraica, e i settantadue eseguono tutti la medesima versione, tutto questo per indicare che anche la Bibbia greca detta dei settanta (Septuaginta) era opera ispirata da Dio ed aveva una grande autorevolezza (in realtà questa Bibbia non sarà mai riconosciuta come testo normativo dagli ebrei, a differenza del TaNaK, la bibbia ebraica).
Nella Bibbia greca, rispetto a quella ebraica, sono aggiunti alcuni libri e viene cambiato l’ordine di quelli esistenti, quindi, in qualche modo, non solo una versione in lingua greca della bibbia ebraica ma anche una nuova redazione.
Di questa Bibbia, che è sostanzialmente del III sec. a.C., abbiamo dei manoscritti antichi, mentre del TaNaK – la Bibbia ebraica – possediamo un unico manoscritto (il Codice di Leningrado), che risale al IX-X sec. d.C., quando i cosiddetti “masoreti” (puntatores) inserirono le vocali nel testo ebraico (che come tutti i testi scritti in quella lingua sono abitualmente solo consonantici): questo è l’unico manoscritto che possediamo, perché tutti gli altri furono eliminati. Il dubbio, quindi, che può nascere è che questo testo non abbia alcuna originalità rispetto a testi molto più antichi; grazie a Dio, con i ritrovamenti effettuati nel XX sec. nelle grotte di Qumran, sono stati rinvenuti dei rotoli di papiro che risalgono ad un periodo compreso tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.: confrontando i testi trascritti in questi rotoli (che ci tramandano, ad esempio, l’intero rotolo di Isaia) con quelli del Codice di Leningrado si è notato che le variazioni sono pochissime e alcune anche spiegabili.
Il fatto che la Scrittura fosse considerata qualcosa di sacro in Israele ha garantito una grande fedeltà, ma, nonostante ciò, è probabile che la Bibbia dei Settanta in certi casi abbia avuto come fonte dei testi non completamente uguali a quello “masoretico”, perché alcune divergenze sono presenti.
Allora i cristiani a quale Bibbia facevano riferimento?
I discepoli di Gesù leggevano ed ascoltavano sicuramente la Bibbia ebraica, ma quando il cristianesimo comincia a diffondersi e gli apostoli si allontanano dalla Palestina, cominciano ad usare la Bibbia diffusa presso i popoli dove vengono a trovarsi, ovvero la Bibbia greca. Leggendola, essi si accorgono questa Bibbia era molto più orientata verso Cristo, perché presentava una lettura degli eventi in una chiave messianica molto forte, che talora non compare nella Bibbia ebraica.
● La Bibbia greca è composta da quattro parti (guardiamo lo schema) e, come abbiamo detto, sono stati aggiunti dei testi.
Il Pentateuco (= “cinque libri”, in greco) è la traduzione della Torah: qui la corrispondenza rispetto alla Bibbia ebraica è perfetta.
Per quanto riguarda i Profeti, gli ebrei avevano già diviso i Nevihim (= Profeti) in “Profeti anteriori” – ossia anteriori all’VIII sec. a.C. – (Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re) e “Profeti posteriori” -ossia posteriori all’VIII sec. d.C. – (Isaia, Geremia, Ezechiele, e i 12 profeti minori computati come un solo libro [Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia]): quest’ultimi sono i profeti scrittori, quelli di cui ci occuperemo noi.
I libri dei “Profeti anteriori” narrano delle vicende di alcuni profeti, mentre i “Profeti posteriori” danno il loro nome al libro.
La Bibbia greca ha chiamato Profeti solo i “Profeti scrittori” mentre ha definito i “Profeti anteriori” come Libri Storici, perché narrano le vicende seguendo un ordine cronologico.
Nella Bibbia greca vengono modificati alcuni nomi (ad esempio Paralipomeni = Cronache) ed in più vengono aggiunti alcuni testi che sono un po’ più tardi della tradizione ebraica e che, quindi, quando fu fissato il canone del TaNaK, non furono accettati: questi libri sono, invece, presenti nella Bibbia cristiana: ad esempio Giuditta e Tobia. Vi sono altri libri che, invece, non compaiono nella “nostra” Bibbia come, ad esempio, La preghiera di Manasse. Vi sono, inoltre, quattro libri di Maccabei, laddove la Bibbia cristiana ne terrà solo due, mentre gli Ebrei del I sec. d.C. non li riconosceranno sacri.
Anche nei libri poetici si rilevano delle aggiunte, che potete osservare voi stessi.
Venendo ai Profeti, il loro ordine viene mutato rispetto a quello della Bibbia ebraica: prima vengono inseriti i dodici profeti detti “minori” (solo perché i loro testi sono più brevi rispetto ai “maggiori”), che si trovavano in un unico rotolo nella sinagoga, e poi i “profeti maggiori”: Isaia, Geremia ed Ezechiele e poi dei libri aggiunti collocati tra Geremia ed Ezechiele, che troviamo anche nella Bibbia cristiana: Baruc, Le lamentazioni, La lettera di Geremia. Infine il profeta Daniele (quest’ultimo, nella Bibbia ebraica non è nei Profeti, ma negli Scritti, perché è più tardo, anche se, apparentemente, sembra riferirsi all’epoca dell’esilio babilonese). Questi libri profetici li troviamo anche nella Bibbia cristiana, sebbene non nello stesso ordine.
Se consideriamo la Bibbia nel suo complesso, non è irrilevante che essa finisca con i Profeti invece che con il libro delle Cronache, con il quale, appunto, finisce la Bibbia ebraica: quest’ultima è tutta centrata sull’origine e poi resta come aperta.
La Bibbia greca riporta in fondo i Profeti che, come appare anche dai Vangeli, sono coloro che annunciano il Messia o, per lo meno, offrono testi messianici molto chiari, molto importanti, anche se pochi: ebbene, questi testi, messi in fondo, orientano tutta l’attesa verso un Messia e, di conseguenza, rendono un servizio ai primi cristiani che li vanno a rileggere.
Tutto questo è molto importante anche per noi che, affrontando i Profeti, ci mettiamo all’ascolto di coloro attraverso i quali Dio ci parla (ricordiamo l’inizio della Lettera agli Ebrei) e che ci orientano verso Cristo, poiché noi, anche attraverso la lectio, cerchiamo una crescita nella nostra vita in Cristo. Rileggendo i Profeti noi, in quanto cristiani, troviamo la loro pienezza di significato in Cristo, anche se cercheremo di cogliere il senso trasmesso dall’autore umano e gli apporti della tradizione ebraica.
Concentrandoci, adesso, su libro di Osea, vediamo che nella Bibbia greca esso è il primo dei libri profetici, nella Bibbia ebraica è il primo dei “profeti minori”, così come nelle Bibbia cristiana: dunque, nel contesto dei “profeti minori” Osea spicca, come ci dimostra la redazione della Bibbia, in cui appare sempre come primo. Questo accade senz’altro per un motivo cronologico: Osea, ribadisco, risale all’VIII sec. a.C., ed è sostanzialmente contemporaneo di Amos – (i profeti scrittori si collocano tra l’VIII e il V sec. a.C.). Leggiamo il primo versetto del libro di Osea:
Os 1 1Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di
Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele.
All’inizio abbiamo un elemento teologico (Parola del Signore) e una contestualizzazione storica (al tempo di…), per questa volta essendo in un ambito un po’ introduttivo occupiamoci di quest’ultimo aspetto.
Osservando la cartina, vediamo al nord il Regno d’Israele (“Kingdom of Israel”), a sud il Regno di Giuda, con capitale Gerusalemme (“Kingdom of Judah”), intorno vari regni pagani.
Le coordinate geopolitiche del nostro testo ci indicano una serie di re del Regno di Giuda, con delle scansioni temporali ben conosciute, e, invece, un solo re del Regno d’Israele: osserviamo le date: Ozia regna dal 767 al 739 e Ezechia dal 728 al 699, entrambi sono re del Regno di Giuda, mentre Geroboamo II, uno dei migliori re che Israele abbia mai conosciuto, regna circa trent’anni, dal 782 al 747: notiamo che non vengono citati i re che hanno regnato dal 747 al 699: perché?
Geroboamo II, morto nel 747, aveva condotto una politica di alto profilo beneficiando di un periodo in cui le superpotenze dell’epoca, in particolare l’Assiria, erano in una fase di stasi ed era riuscito a rimanere in pace anche con il regno di Giuda. Dopo la sua morte, si apre un periodo di forte crisi: prendono il potere sei re, che vengono presto uccisi, uno dopo l’altro: è una fase drammatica, di grande violenza, che qui Osea decide di ignorare completamente, ma vedremo in seguito che non saranno risparmiati dalla sua predicazione.
Ancora dobbiamo osservare che, anche se Ezechia muore nel 699, il Regno di Israele è già finito nel 722, perché gli Assiri lo conquistano, deportandone i notabili e le classi sociali più elevate: da questo momento si apre la catastrofe per il Paese, ma noi sappiamo che Osea non profetizza a catastrofe avvenuta, la annuncia, senza averla ancora conosciuta.
Possiamo concludere che un possibile periodo entro il quale collocare l’azione profetica di Osea è tra il 750 e il 722.
Tale azione profetica avviene in un contesto di trasformazione negativa, mentre i trent’anni precedenti, pur essendo stati floridi e pacifici, avevano causato, come vedremo, una forte sperequazione sociale.
Quando nel 722 il Regno d’Israele cade, i discepoli di Osea si rifugiano nel Regno di Giuda che, essendo rimasto fedele vassallo, non è stato invaso dagli Assiri; questi testi cominciano a diffondersi, appunto, nel Regno di Giuda, ed è anche per questo che il libro si apre elencando i vari re di questo regno, anche se il profeta vive nel Regno d’Israele.
Poiché più tardi, nel VI sec., pure nel Regno di Giuda ci si troverà ad affrontare una situazione di gravissima crisi, questo testo profetico potrà parlare anche agli uomini di quell’epoca, in quel Regno.
Questi testi sono carichi di futuro, hanno in sé qualcosa che va in cerca del suo compimento: essi sono fondamentali anche per noi oggi, perché anche noi dobbiamo leggerli nel nostro contesto e cercare di cogliere ciò che dicono, oggi, verso quali obiettivi ci spronano, a cosa indirizzano la nostra speranza.
Conclusione della lectio
L’anno scorso e due anni fa, durante la lectio su La lettera agli Ebrei, riuscimmo ad ottenere che, quando, alla fine della lettura di ogni sezione del testo, facevamo la cosiddetta collatio (ossia l’incontro in cui, tradizionalmente, parlate voi che partecipate alla lectio, mentre io ascolto e coordino), voi faceste degli interventi, esprimeste delle intuizioni o delle sollecitazioni che testimoniassero come il testo avesse avuto un impatto sulla vostra vita reale, sulle vostre esperienze concrete.
Devo dire, almeno dal mio punto di vista, che questo è stato un obiettivo pienamente raggiunto, e ne sono particolarmente felice perché lo Spirito Santo presiede sì, con la sua ispirazione, alla formazione dei testi sacri, ma ci guida anche nell’interpretazione dei testi e li rende vivi; sappiamo anche che il luogo privilegiato dell’ascolto della Parola non è la stanza di casa, dove si possono studiare personalmente e individualmente i testi sacri (anche se questo momento è importantissimo), ma è proprio l’assemblea riunita nel nome del Signore, come, appunto, questa assemblea: questo è il contesto migliore per poter fare quella operazione per cui da un testo, che comunque resta un testo, anche se sacro, possa emergere “qualcosa” che riguarda noi, noi anche come “comunità”.
Ciò è accaduto con la lettura della Lettera agli Ebrei e credo che accadrà anche con Osea, perché già con l’arrivo della prima sintesi, ci sono stati due riscontri positivi: una mail in cui si esprime una grande gioia, e un’altra scritta da una giovane mamma (di nome Sibilla), che non era presente al primo incontro del 15 gennaio, ma che, avendo ricevuto la sintesi, mi ha inviato le sue riflessioni, le quali (nella libertà di alcuni paragoni un po’ ad effetto, privi tuttavia, certamente, dell’intenzione di offendere chicchessia), sono davvero suggestive, perché “attualizzano”, in qualche modo, quanto fu detto la volta scorsa. Con il suo consenso vi condivido tali riflessioni (si veda il testo riportato qui di seguito).
Testo ricevuto da Sibilla
Se penso alla parola profeta mi vengono in mente dapprima vecchi pazzi dalla lunga barba e subito dopo stregoni e fattucchiere con la palla di cristallo o…l’oroscopo di Paolo Fox!
Ma forse il profeta biblico ha poco a che fare con lettura che abbiamo oggi del futuro. A me sembra che il profeta sia un interprete dei tempi.
Considerato “profeta di sventura’’ da chi i segni dei tempi non sa riconoscerli e che ragionando secondo gli uomini si ostina a perseverare in ciò che per lui rappresenta l’equilibrio o il profitto del momento. Diciamo che un profeta è un uccello del malaugurio per quanti sono utilitaristi.
A partire dalla mia esperienza personale, se dovessi andare da tutte le mie amiche quarantenni single a dir loro che uscire ogni sera a ballare e flirtare con uomini diversi, le porterà fra qualche anno a rimpiangere amaramente di non aver rischiato una relazione stabile, certo passerei per una “sfigata”, per una che porta iella e che è meglio tenere alla larga.
Ma dal punto di vista di Dio questi profeti non annunciano sventure oniriche alla stregua di Wanna Marchi, ma sono dei rilevatori di emergenze e di meccanismi negativi che sono già in atto! La sventura predetta non è che l’interpretazione lucida di ciò che già è.
Se non innaffio il mio orto perché l’acqua mi serve per lavarci la mia nuova spider, colui che mi profetizza la carestia nelle mie piantagioni non fa molto altro se non mettermi in guardia dalla cecità delle mie azioni: non profetizza una sventura, ma interpreta il presente e smaschera la mia stoltezza.
Dio solo sa se in questi tempi non abbiamo bisogno di profeti!
Solo che i profeti sono politicamente scorretti e destabilizzanti, decisamente poco attraenti e senz’altro affatto remunerativi, giacché di norma, riportano all’essenziale.
Ma d’altra parte come potrebbero non essere così estremi?
I loro occhi sono quelli di Dio e, come per Osea, sono tenuti a incarnare in anticipo nella loro piccola esperienza umana, ciò che poi profetizzano per l’intera umanità. Se io vivo sulla mia pelle un dolore, ad esempio un fallimento affettivo, con quanto vigore cercherò di non far commettere gli stessi errori a chi mi sta accanto?
È devastante questo Dio che “sfrutta’’ la mia umanità piccola e ferita e le mie sventure, per farne libertà per me e profezia per quanti sapranno accoglierle!
Ecco che capisco quando mi viene detto a fronte del mio dolore, non domandarti ‘’perchè’’, ma “per chi’’. Perché uno profeta non ci nasce!
Perché il mio sì a Dio mi rende partecipe del suo sguardo, interpreta il mio dolore alla luce dei Suoi occhi e dunque la mia sventura diventa profezia di salvezza per altri.
Io posso essere profeta.
Anzi, mi viene da dire che io ho il dovere di esserlo. Siamo stati tutti chiamati tanto alla santità, quanto alla profezia, attraverso la nostra testimonianza e attraverso l’amore alla Verità.
Sibilla
Preghiera finale
Signore, ti ringraziamo e ti benediciamo: ti ringraziamo perché ci doni la grazia di vedere come la tua parola oggi è viva ed efficace, non solo negli studiosi, ma anche nella vita di ciascuno di noi e dei nostri fratelli; ti ringraziamo perché ci fai crescere in una “santa invidia”, quando è necessario, ma soprattutto in gratitudine, in arricchimento reciproco, in un vero cammino che ci unisce e ci fa percepire come non siamo isolati, ma siamo inseriti in una vera storia di salvezza.
Ti preghiamo di benedirci, di custodirci e di beneficarci, di renderci sempre più capaci di integrare i nostri doni con i doni dell’altro, per poter rendere poi anche un servizio umile e fecondo.
Per Cristo Nostro Signore

Condividi sui social